di Erri De Luca, pubblicato su Fondazione Erri De Luca in data 10 novembre 2020
Il sentiero sale e dietro i primi alberi ogni suono di valle si attutisce fino a scomparire. Li sovrasta il calpestio dei passi sulle foglie cadute, il respiro che avvia la sua macchina a vapore.
Ai due compari che mi precedono, la salita mette nelle gambe un ritmo da bersaglieri, a me impone il passo pensoso dei ruminanti. Senza rallentare l’andatura mi presento il bosco che sto salendo. Al suolo bado a non schiacciare le piccole bacche rosse del sorbo dell’uccellatore, ai lati del sentiero si spogliano i fitti noccioli, i carpini robusti, i frassini che ancheggiano nel tronco. Più in alto i castagni hanno già deposto in terra i gusci levigati e i faggi si scrollano le foglie tondeggianti. Il fiato si riempie dei loro profumi macerati in terra.
Il giorno prima eravamo più in alto, dove gli alberi smettono e resiste nell’erba qualche fiore ostinato. Un gruppo di camosci sul versante in ombra si accorgeva in ritardo del nostro passaggio. È periodo di loro accoppiamenti e delle risse che decidono a chi spetta l’onore. Una piccola vipera, tardiva per i duemila metri, assorbiva calore su una pietra.
Il bosco è più intimo ambiente, ripido ma raccolto. La montagna è piazza aperta sotto il cielo, il bosco è museo, si va di sala in sala, da penombra a penombra, diverse per tipo di rami a copertura.
In una radura i resti di un vecchio mulino rammentano l’opera di comunità ingegnose che trasformavano lo scroscio di un torrente in forza motrice per la macina. La costruzione è avvolta dalla vegetazione che la riassorbe in sé. Le opere decadono, resta la memoria della loro necessità.
Nel bosco si dimenticano le notizie del fondovalle, il succedersi dei presidenti, delle guerre, delle epidemie. Nel bosco le cronache sono i fulmini, gli incendi, le tempeste di vento, le valanghe, gli inverni. Lasciano un segno nei cerchi del tronco.
In discesa si sente il taglialegna che fa le ultime scorte.
Ognuno dovrebbe salire in un bosco d’autunno, compiere un giro di pellegrinaggio alle sorgenti dell’ossigeno. Non sono credente nell’alto dei cieli, credo alle stagioni della terra, unico esperimento della vita nella periferia della galassia. Credo al bosco che mi ha preceduto come un antenato e che proseguirà dopo di me.
Intanto lo attraverso e lo respiro.