di Luigi Berio pubblicato su Redclimber in data 23 gennaio 2019
Quando ero piccolo studiavo la sua relazione su un libretto giallo che mi ero procurato al primo piano della libreria Hoepli di Milano. Quella taglia insolita, ridotta rispetto agli altri libri, quel colore molto giallo con scritta grassa molto nera erano alcuni tra gli elementi che mi avevano incuriosito. All’interno nessuna foto o quasi, solo relazioni tecniche e, per ciascuna, un commento scritto piccolo. Conciso e semplice. Nei primi giorni in cui lo tenni tra le mani mi colpì una punta che portava il nome della mia città, Milano, per la cui salita si consigliava avere con sé alcuni chiodi. Ne comprai allora un piccolo assortimento, in acciaio dolce, e feci un buco in un piccolo martellino che usavamo in casa per appendere i quadri. Quel foro permetteva, tramite un cordino, di assicurare quei pochi grammi di martello all’imbracatura.
A salire la punta Milano non ci andammo e, per la prima volta, provai quell’amara delusione che poi mi accompagnò, fedele, negli anni che seguirono. Avemmo poi (e mi sento di dire per fortuna) altre occasioni per sperimentare quella bellissima non coscienza che allora ci rendeva leggeri. Tra le prime pagine dell’alto Masino che consumammo (dopo quelle della val di Mello) ci fu quella della Nusdeo Taldo al Picco Luigi Amedeo che fu per noi, appena quindicenni, un’impresa d’altri tempi. Di lì a poco scoprii che per il ghiandone del Masino ci voleva altro tipo di chiodi e che il martello doveva avere un peso minimo necessario. Avemmo anche modo, tra le altre cose, di sostituire quelle due non leggerissime corde intere da 10,5 mm (che usavamo accoppiate!) con due mezze corde che con l’esperienza ci sembrarono più adatte alle nostre esigenze.
Un giorno il libretto cadde nel fiume della valle. Le pagine divennero spesse e rigide ma continuai a girarle e consumarle. L’entusiasmo, di per sé altalenante, si ricaricava ogni qual volta c’era l’occasione di andare. In una di quelle pagine, il cui bianco resistette più a lungo, il nome DELTA MINOX era inscritto in un triangolo. La piccola scritta recitava: Eccezionale e difficile itinerario tra i più belli nel suo genere di arrampicata (placca). La roccia è super, le difficoltà spesso elevate e la chiodatura a spit è spesso distante.
Dopo poco meno di quindici anni da quel giorno, mi sono ritrovato a sognare quel pilastro monolitico con gli occhi leggeri e l’entusiasmo di allora, in un Masino di storie di pietra e di uomini che, per fortuna, non finirò mai di scoprire, piede dopo piede, alla ricerca dell’appoggio che, prima di scomparire, aiuta il passo.
DELTA MINOX
T. Fazzini, L. e S. Gianola, N. Riva, 1988
7a+ e A1 (8a se in libera), 7a obbligatorio, 12L, 460 m
Ci sono placche e placche. Se qualcuno riesce ad immaginare la più bella via in placca delle Alpi Centrali, allora si avvicinerà molto alla linea incredibile di Delta Minox. Allenati per bene da un mesetto o due sulle più ripide friction della Val di Mello, si potrebbe progettare un ardito tentativo di buttarsi sul filo del pilastro che percorre questa via. Solo una ventina di cordate ci sono riuscite. Spit lontani, messi dal basso in precarie posizione, una roccia incredibile ed erosa anche sui muri più ripidi, semplicemente un must dell’arrampicata di placca e movimento, alla ricerca del cristallo e del fungo più adatto per tirarvici su… Buon viaggio (da valdimello.it).