Gli scheletri della montagna

La costruzione in disuso più a sud è uno skilift a Nicolosi e risale al 2003-2004. A Viola Saint-Grée (Cuneo) c’è addirittura un comprensorio di 30mila mq.

Gli scheletri della montagna
(skilift e ovovie arrugginite nel dossier di Legambiente)
di Enrico Martinet
(pubblicato su lastampa.it/montagna l’8 agosto 2023

Il vento non ha coscienza, altrimenti non farebbe gridare cavi inutili, imposte su finestre senza vetri, plastiche, tralicci di funivie e skilift. La proverbiale bellezza alpina, dolomitica e appenninica sfregiata. C’è chi lotta perché la neve resista sui ghiacciai dello sci d’estate e chi ha lasciato tutto lì, pali e edifici perché tanto la neve non viene più. Il dossier dei relitti, che non hanno certo il fascino delle carcasse di navi naufragate alla fine del mondo nella Terra del Fuoco, è finito anche sulla scrivania del Presidente della Repubblica. «Sì, la richiesta ci è giunta dal Quirinale dopo che abbiamo presentato la nostra documentazione», dice Vanda Bonardo, responsabile di Legambiente per le Alpi e che dal 20 agosto guiderà la Carovana dei ghiacciai partendo dal valdostano Ruitor, per testimoniare il disastro dei cambiamenti climatici.

Proprio l’assenza di neve ha costretto a tante chiusure. Per investimenti sballati e per quote troppo basse. Sono 249 gli impianti abbandonati su Alpi e Appennini, 22 in più del 2022. Cifra che comprende anche i 138 «temporaneamente chiusi».

Non c’è Regione dell’arco alpino che faccia eccezione, dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia. E poi le tracce di ferraglia e mattoni inutili si inseguono fino in Calabria, oltrepassano lo Stretto e approdano in provincia di Catania, a Nicolosi.

Qui c’è l’impianto abbandonato più a Sud: è uno skilift costruito tra il 2003-2004 e che copre un dislivello di 600 metri, da 1900 a 2500. Si legge nel dossier Legambiente: «È di proprietà comunale e non è mai entrato in funzione. Non sono mai stati messi né cavi, né seggiolini».

L’abbandono più a nord è in provincia di Trento, a Canazei, sulla Marmolada, dove nel 2019 è stata chiusa la «storica cestovia» che da Pian dei Fiacconi raggiungeva il Passo Fedaia, a 2057 metri, tra Trentino e Veneto.

In vetta alla lista nera c’è il Piemonte, con 34 impianti. Segue la Lombardia che ospiterà i Giochi Olimpici invernali nel 2026, con 24 e il Veneto con 18.

Negli Appennini l’Abruzzo è a quota 11, in Emilia Romagna a 9 e in Toscana a 7.

In Valle d’Aosta ciò che resta d’un tempo di neve è espresso da sei strutture: la più alta è ai 2400 metri di Plan Maison, la stazione di partenza della funivia del Furggen. Legambiente: «C’è perfino ciò che resta della stazione intermedia costruita addirittura nel 1939».

Anche Mountain Wilderness ha nel suo sito tre documenti (Piemonte, Lombardia e Friuli) datati dal 2007 al 2011. Nonostante gli anni trascorsi la situazione, se raffrontata all’indagine di Legambiente, non è cambiata di molto.

In tutte e due nel disastroso elenco compare, per esempio, la pressoché incredibile situazione di Viola Saint-Grée (Cuneo). «Esiste – scrive Legambiente – un vasto comprensorio multifunzionale abbandonato che occupa una superficie di 30 mila metri quadrati». La stazione sul modello francese di quelle integrate venne costruita nel 1980 e l’anno dopo ospitò perfino i Mondiali di sci. Tutto finì nel 1997. Ma ora c’è chi ha acquistato l’ecomostro. Si legge nel dossier Legambiente che una società a conduzione familiare «si è aggiudicata gli edifici per diecimila euro e si è impegnata a ristrutturare con il 110 per cento. Servono almeno 25 milioni».

E sempre senza tempo di recupero o eliminazione resta Aquila a Giaveno (Torino). Era una stazione di sci molto nota negli Anni di avvio (1961). Due seggiovie e uno skilift, da quota 1300 a 2250. Fu perfino ampliata fino al 1980, poi l’addio nel 1994. Nello spartiacque tra le vallate Sangone e Chisone nacque lo sci con Adolfo Kind, nel 1898. Si legge: «La maggior parte degli impianti è stata smantellata, rimangono l’edificio della stazione di monte della seggiovia e alcune strutture degli skilift».

Ma nella speciale cartina dei «casi simbolo», l’associazione ambientalista individua per il Piemonte un impianto chiuso nel 2012 in località Desertetto di Valdieri, sempre in provincia di Cuneo: oltre a due skilift, sono abbandonati la biglietteria e un punto ristoro.

Per la Valle d’Aosta è segnalato lo skilift su di un lieve pendio che ha trainato ben pochi sciatori nella sua breve carriera: quello di Challand-Saint-Anselme, nella Val d’Ayas, a 730 metri di altitudine. Restano nel verde come «monumenti d’abbandono» tralicci a forma di trapezio il cui colore originario è impossibile da ipotizzare.

Alle alte quote c’è ancora chi vuole costruire impianti e soprattutto chi tenta di preservare il ghiaccio. Succede allo Stelvio. Il Passo è a 2750 metri e ci sono nove alberghi. Le temperature mangiano la neve del vasto ghiacciaio su cui funzionano quattro skilift.

È l’unica stazione d’Europa che non apre d’inverno, quando resta senza accesso. Il patron delle piste, Umberto Capitani: «Già, la chiamano la strada più bella del mondo, s’inerpica in tornanti, ma d’inverno resta chiusa. E così i nostri impianti funzionano per cinque mesi, ma non in quelli più freddi. Ai primi di novembre si chiude. Credo che sia una situazione da ripensare per l’inverno, dal momento che il ghiacciaio soffre d’estate. C’è chi mi dice di chiudere tutto per rispetto all’ambiente e io replico sostenendo che sia meglio restare e salvaguardare il ghiaccio il più possibile. Non è solo questione di sci e turismo, ma di acqua per paesi e città».

Il commento
di Carlo Crovella

Ormai ci sono troppi impianti in montagna. E’ una verità scomoda, ma va detta e va detta a chiare lettere.
Come agire? Iniziamo dal non costruirne più di nuovi. Le stazioni sciistiche “piccole”, in genere a bassa quota, avranno sempre più problemi di innevamento. Inutile insistere: teoricamente dovrebbero essere smantellate per definizione. I mega comprensori stanno ancora in piedi, ma spesso con notevoli aiuti a spese della collettività (ingenti finanziamenti a fondo perduto) e “mangiando” voracemente risorse ambientali, in primis l’acqua per sparare la neve artificiale (l’acqua sarà sempre più una risorsa chiave per la sopravvivenza e “sprecarla” per farne neve è davvero stupido).

Quindi non possiamo più permetterci né le piccole stazioni, se sotto il limite delle nevi, né i mega comprensori. Fin d’ora dovremmo smantellare, in via preventiva, tutto quello che è “superfluo”. Cioè prima che gli impianti diventino dei relitti inquinanti al seguito della chiusura delle stazioni.

A maggior ragione dovremmo asportare dalla montagna i tralicci arrugginiti (e con loro gli altri residui) che, già oggi, sono dei “relitti inquinanti”. Portarli via corrisponde a una spesa non da poco, con grane logistiche non irrilevanti. Chi se ne devo occupare? I Comuni, lo Stato, le società che li gestivano? Boh. Spesso quelle società non esistono più. Bella diatriba.

Per intanto ce li teniamo ed è l’ipotesi peggiore per la montagna. Pare che la maggior parte di questi relitti siano in Piemonte: una volta tanto i piemontesi non devono esser fieri del primato che li contraddistingue.

More from Alessandro Gogna
L’ultramontagna
di Federico Balzan, scritto il 31 agosto 2016, pubblicato su Vividolomiti. Ci...
Read More
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *