(tutto ciò che non sappiamo sul dramma del polo petrolchimico di Siracusa)
di Salvina Elisa Cutuli
(pubblicato su italiachecambia.org il 15 gennaio 2024)
Lungo la costa più inquinata della Sicilia, dove la popolazione convive da mezzo secolo con i veleni di un gigantesco polo petrolchimico, Fabio Lo Verso ha raccolto le testimonianze di attivisti, operai, sindaci, procuratori, esponenti della comunità scientifica e difensori dell’industria per raccontare il disastro ambientale e sociale di dimensioni incalcolabili in atto, che ogni giorno uccide vite e sogni. Retroscena, risvolti e possibili soluzioni di una vicenda drammatica sconosciuta a molti.
Un silenzio assordante continua a oscurare ciò che accade nel territorio a nord di Siracusa dagli anni ‘50, quando è sorto il polo petrolchimico più grande d’Italia, secondo in Europa. Uno dei 42 siti di interesse nazionale da bonificare che non ha nulla da invidiare ai più “conosciuti”, come l’Ilva e Porto Marghera, giusto per fare qualche comparazione. Confronti utili a quantificare i danni generati dalle inerzie e dalle condotte scellerate dell’uomo, e a comprendere le scomode verità che in tanti, ancora oggi, vivono sulla propria pelle e fanno finta di non vedere. Basterebbero “solo” i dati scientifici per prenderne coscienza, eppure…
Inquinamento e incidenza tumorale nella zona del polo industriale
Ad esempio, nel rapporto del ministero della Salute del 2019 e nello Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento del 2023 si notano, proprio nel quadrilatero a nord di Siracusa, morti in “eccesso” di carcinoma ai polmoni e al colon. Augusta presenta i tassi più alti di “incidenza tumorale”, seguita da Priolo, Siracusa e Melilli. È stata riscontrata anche negli uomini la presenza di tumori al seno che vengono colpiti quasi in eguale misura rispetto alle donne. «Il territorio è talmente intriso di contaminanti che ormai non c’è alcuna differenza tra lo stare dentro o fuori le industrie.
L’ISPRA nel 2008 ha censito più di tredici milioni di metri cubi di sedimenti nocivi nei fondali della rada di Augusta, l’equivalente di quattrocento palazzi di ventiquattro piani ciascuno. Mercurio, piombo, idrocarburi, arsenico, benzene, biossido di zolfo e diossine che costituiscono un ammasso di fanghi tossici e hanno contaminato mare, terra, aria e falde acquifere mietendo vittime sul lavoro, morti per tumore, emicranie e nausee provocate dagli effluvi maleodoranti – dal 2019 è a disposizione della cittadinanza una App per monitorarle.
Materiale che non può essere rimosso, che si irradia e viene mangiato dai pesci che, nonostante il divieto di pesca nell’area del polo petrolchimico sin dal 2007, continuano ad arrivare nei mercati. La quantità di mercurio sversata in mare è di circa 700 tonnellate. Le 400 tonnellate riversate nella baia giapponese di Minamata negli anni ‘70 provocarono circa duemila vittime».
Un viaggio inchiesta per ritornare al passato e avere consapevolezza del presente
Tutte queste inquietanti informazioni sul polo petrolchimico, sconosciute ai più, le fornisce il giornalista Fabio Lo Verso, siciliano di nascita e svizzero di adozione, autore del libro Il mare colore veleno, edito da Fazi Editore. Un viaggio inchiesta accompagnato da 32 foto di Alberto Campi che svela l’immobilismo e la corruttela delle istituzioni, le bonifiche abortite e le indagini insabbiate a fronte di un ricatto occupazionale, per cui ancora “si preferisce morire di cancro che di fame”.
Fabio ha sempre saputo delle vicende del polo petrolchimico: ricorda i racconti di suo padre, giovane disoccupato a Palermo, che preferiva restare tale piuttosto che finire a lavorare lì e alcuni mesi trascorsi ad Augusta, durante la sua giovinezza, per il servizio militare. Poi la Svizzera. Ha continuato nel tempo a raccogliere studi scientifici, articoli, monografie per poi decidere di scrivere un libro. Lo stesso libro che avrebbe sempre voluto leggere. E così nel 2018 si è rimesso in viaggio per tornare alle origini e al suo passato, per fare luce e contribuire, per quanto possibile, alla salvezza di queste genti e dei loro territori.
Fabio e Alberto, dal 2019 in poi, hanno incontrato attivisti, ex operai, sindaci, politici, procuratori, esponenti della comunità scientifica e difensori dell’industria, ma anche gente comune, famiglie colpite da gravissimi lutti, i cui sentimenti oscillano tra rabbia, paura e rassegnazione. Molti di loro hanno scelto di rimanere nell’anonimato, qualcuno invece, come l’attuale sindaco di Augusta, si è rifiutato di parlare perché non vuole dare una cattiva immagine del territorio. Qualche operaio ha manifestato paura a esporsi per il rischio di essere trasferito in un comparto più duro, ma anche per non scontrarsi con l’incomprensione della famiglia che non vuole che si parli apertamente delle industrie.
«Subito mi sono imbattuto con quella che credevo fosse la prima linea di contestazione – Don Prisutto, Cinzia Di Modica del Comitato Stop Veleni, Giusi Nanè – per poi scoprire che sono sempre e solo loro a lottare. Per alcuni cittadini il problema della zona dipende dalle ceneri dell’Etna. Mi ha stupito molto il non voler accorgersi di cosa accade sotto i loro occhi».Negli anni 2000 si verificò uno sversamento di mercurio da parte di EniChem nella baia di Augusta e il mare divenne completamente rossoPer strada gli dicevano di non fare cattiva pubblicità al territorio, di non parlare male delle industrie grazie alle quali non si muore di fame. «Ho contato circa 200 persone attive e coscienti su un territorio di 180mila persone. Fin quando non ci saranno dei processi con condanne importanti, come è successo a Taranto, qui si continuerà a morire nel silenzio e nella connivenza più totale», continua Fabio.
Un disastro ambientale in corso e nessuna inchiesta o quasi…
In effetti, in tutti questi anni sono stati solo due i procedimenti giudiziali, uno di questi già archiviato. Il polo petrolchimico genera il 51% del Pil della provincia di Siracusa. Difficile opporsi. Le stesse industrie hanno costituito un’associazione industriale protezione ambientale a tutela del territorio, anche se dal loro punto di vista non c’è alcuna prova che dimostri che l’origine dei tumori sia dovuta all’inquinamento industriale.
Eppure proprio di recente è morto di cancro un bambino di 4 anni – i morti di cancro raccolti nell’elenco di Don Prisutto, che li cita durante la messa ogni 28 del mese, dal 2014 a oggi sono oltre 1200 – e nel libro di Lo Verso è presente, tra le altre cose, anche la testimonianza del pediatra Giacinto Franco, che per primo ha consolidato con dati e analisi il legame tra inquinamento industriale e malformazioni congenite nei neonati.
«È il classico inciucio tra industrie e politica, dove tutti si allineano, anche i sindacati per paura di perdere posti di lavoro. La giustizia aveva provato a mandare un segnale diverso, ma uno dei due procedimenti giudiziali è stato archiviato. Mi riferisco all’inchiesta “Mare Rosso”: negli anni 2000 si verificò uno sversamento di mercurio da parte di EniChem nella baia di Augusta e il mare divenne completamente rosso. Più tardi si scoprì, grazie alla trasmissione Report, che il procuratore incaricato dell’inchiesta intratteneva uno “strettissimo rapporto di amicizia” con l’avvocato dell’azienda, che pagò un operaio che si assunse la colpa dello sversamento con la promessa di assunzione dei propri figli», racconta Fabio.
Solo nell’ottobre del 2019, a seguito di un’intercettazione di due dirigenti dell’impianto di depurazione, è stata aperta un’altra indagine che ha portato al sequestro di una struttura che per quarant’anni non ha mai funzionato. In questo polo, dove ogni anno si lavorano milioni di tonnellate di greggio, il 26% della raffinazione complessiva in Italia, l’impianto di depurazione non ha mai smaltito i reflui industriali che venivano, e vengono, mischiati a quelli civili.
Sogni, speranze perdute e transizione ecologica per il polo industriale a nord di Siracusa
Nell’area inoltre non sono stati realizzati gli interventi di bonifica che già nel 1976, attraverso i primi carotaggi, venivano considerati urgenti. Qui si convive con impianti di raffinazione, stabilimenti chimici, centrali elettriche, un cementificio e due aziende di gas: una ricchezza fittizia che di fatto non ha migliorato la qualità di vita di questi luoghi, anzi. Anche la speranza dell’occupazione è svanita negli anni: degli oltre 26000 impieghi garantiti dal polo petrolchimico negli anni ‘80, oggi ne sono rimasti 8500. «Serve un cambio radicale, se si continua a inquinare così tanto nonostante le riduzioni volute dalle norme sarà sempre più complicato. Le industrie che inquinano dovrebbero convertirsi in bioraffinerie, ma la transizione ecologica non sa bene cosa fare di un luogo come questo. Ci sono delle ipotesi, ma nessun progetto da realizzare da qui a poco tempo. Siamo solo all’inizio», conclude Fabio.
Inafferrabile, per me, l’accettazione di questa tragedia.