Il mazzolino dei fiori

di Bruno Telleschi

Ciclisti sul lago di Carezza

Così anche Matteo Righetto confonde le Dolomiti con l’Abruzzo se accanto ai larici e gli abeti bianchi o rossi colloca anche «gli ultimi pini neri e tassi» con i tipici «prati di stelle alpine» (Righetto p. 95), dove semmai si vedono negritelle. I tassi e le stelle alpine convivono solo nei musei. Troppo generico per i prati i boschi e le montagne, ma troppo specifico per l’autostrada da Milano al passo di Costalunga (Karerpass) dove alloggiano i due protagonisti del romanzo in cerca di sollievo per la perdita del figlio. Il viaggio in autostrada finisce ovviamente a Bolzano, poi percorre la val d’Ega e raggiunge Nova Levante (Welschnofen). Passa accanto al lago di Carezza (Karersee) con le maestose pareti del Catinaccio e del Latemàr. Ugualmente specifico è il percorso escursionistico per guadagnare la cima dello Schenon, che si trova sul margine orientale del Latemàr, a partire invece dal lago di Carezza, ovvero dal margine occidentale, attraverso il Mitterleger e il Labirinto fino alla ignota forcella dove i due incauti milanesi incappano nel temporale e trovano riparo in una provvidenziale grotta. La rocambolesca gita sul Latemàr troppo specifica all’inizio diventa troppo generica alla fine: dal lago di Carezza non si può salire sullo Schenon del Latemàr, a meno di non impegnarsi in qualche prodezza alpinistica.

Bambini negli anni Cinquanta
Fienagione negli anni Cinquanta

La letteratura ha la capacità di rievocare la bellezza del paesaggio naturale, ma se il reale diventa immaginario alla fine l’immaginario diventa reale, senza provocare una vera emozione e un vero coinvolgimento emotivo. Alla fine le parole confondono la sincerità con l’indifferenza. Senza la conoscenza diretta della natura la letteratura sostituisce alla realtà un mondo immaginario in cui la montagna è ovviamente imponente come l’erba è verde, il mare azzurro, il sole giallo e il tempo è sempre bel tempo. Ma in realtà l’erba non è verde né il mare azzurro, semmai è il mare ad essere verde come già vedevano gli antichi greci. Né in realtà il tempo è sempre bello, ma spesso nuvoloso o addirittura piovoso (Righetto, Apri gli occhi p. 100 «Fuori vento, tuoni e fulmini»). Si comprende che in Matteo Righetto ci sia una correlazione metaforica tra l’ambiente naturale e l’ambiente interiore, entrambi neri e tristi, perché il dramma sentimentale prevale sull’idillio (Righetto, Apri gli occhi pp. 81-2 «Penserai che in fin dei conti è proprio questa la metafora perfetta di ogni bosco: la rappresentazione dell’intimità, del raccoglimento e del nascondimento del sé. Una proiezione elegiaca. Il contrario dell’alta montagna, che è una metafora perfetta di apertura, estroversione, propagazione del sé. Una tensione verso l’infinito»). Fuor di metafora c’è il rischio evidente che le convenzioni narrative favoriscano l’indifferenza nei confronti della realtà, l’abitudine a non riconoscere nei luoghi immaginari la bellezza dei luoghi reali sostituisce al mondo reale un mondo virtuale che sospende la contemplazione della realtà o addirittura procede alla distruzione del mondo reale e preferisce il mondo virtuale. Per una bella escursione in montagna basta anche una giornata nuvolosa senza pareti imponenti. Del resto si può ballare e cantare anche sotto la pioggia come Gene Kelly nel film americano Singin’ in the Rain del 1952. C’è un’insidia nascosta nelle descrizioni generiche che trasformano i turisti in prigionieri delle illusioni commerciali con il rischio che vadano a Pampeago, per esempio, per vedere l’imponenza del Latemàr o a Predazzo per raccogliere ghiande tra i lecci. Quei turisti dovranno poi consolare a tavola la delusione del panorama e la privazione delle ghiande mangiando una tipica polenta. Come non si vede l’imponenza del Gran Sasso sui prati di Campo Imperatore dove invece si possono gustare deliziosi arrosticini. Per l’imponenza sarebbe sufficiente uno sguardo dall’autostrada dopo la galleria sotto il Paretone e per gli arrosticini basta una buona trattoria sotto casa. Allo stesso modo per vedere il lago di Carezza sarebbe sufficiente transitare sulla strada senza fermarsi, proseguire per Nova Levante o per il passo di Costalunga e poi raggiungere il lago a piedi per dimostrare di essere veramente interessati alla bellezza. Purtroppo per ragioni diverse legate all’ultraturismo Carezza non è più un luogo suggestivo con il lago il bosco e la montagna, ma una pozzanghera recintata come si vede nei laghetti dei parchi cittadini, accanto ai negozi e al parcheggio dei turisti frettolosi. Per non compromettere la magia del luogo sarebbe necessario cancellare il parcheggio, demolire i negozi e lasciare solo la strada per una prima e fuggevole impressione. Andare a Carezza per vedere il lago di Carezza? come andare a Viareggio o Rimini per vedere il mare. Il lago ormai esiste solo nelle vecchie cartoline: per vedere Carezza conviene andare in cartoleria o girare per internet. Di Carezza ormai rimangono solo le cartoline che sostituiscono la realtà con la fantasia. Se una volta l’escursionista passava dal paesaggio alle cartoline, oggi accade spesso l’inverso con le cartoline che descrivono il paesaggio, cancellano un paesaggio che non c’è più e vive solo nei ricordi. La svalutazione consumistica trasforma le cose da contemplare in feticci da collezionare e consolida l’omologazione che conduce dalla valutazione estetica alla svalutazione consumistica.

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