di Paolo Bursi
Inverno 2020: le temperature durante il giorno superano i 15 gradi; la sera, se la temperatura scende sotto i 5 gradi, possiamo ritenere che stia facendo freddo.
Questa la situazione in pianura padana, con l’inizio del nuovo anno.
Domenica sono andato a sciare – sci alpinismo, ormai per me non esiste altro – in Val di Fleres, esattamente l’ultima valle prima del confine con l’Austria; la scelta è ricaduta su questa valle per la grande quantità di precipitazioni e la grande frequenza con cui si trova la polvere nei versanti settentrionali. Nulla da dire, la giornata non è delle migliori, sono abbastanza fiducioso delle indicazioni che mi hanno dato alcuni miei amici guide: c’è polvere, sono stati lì appena 2 giorni prima.
Parcheggiamo. Ha inizio il solito rituale. Scarponi, pelli, guscio. Guscio? Per partire? Tirerà vento viene da pensare, invece no, piove. Quota 1375 metri, siamo in Italia, nonostante il cellulare prenda la rete austriaca, e piove.
Sci ai piedi. Per fortuna pioviggina e a tratti smette; le nuvole sono alte e ci permettono di vedere le cime delle montagne, solo Cima d’Accla (Aglsspitze) resta coperta. Il Tribulaun, invece, domina incontrastato la valle. Saliamo non troppo lentamente, alla ricerca del punto in cui la pioviggine, che ci sta accompagnando si trasformi in neve, candida, soffice ed impalpabile. Quella neve, che si aspetta per tutta la settimana, per riuscire a fare una sciata che valga la pena di essere ricordata in tutti i giorni seguenti. Ci inoltriamo nel bosco, lungo le scorciatoie che tagliano la lunga forestale, l’intermittenza con cui cade la pioggia è quasi rinfrescante. Finisce la forestale, si arresta la pioggia. Riprende poco dopo, saliamo i bei pendii ai piedi delle cime, superiamo i 2000 metri e poi i 2200 metri, la pioggia sta cominciando a virare a nevischio. Dai 2400 metri la leggera nevicata ci accompagna per gli ultimi pendii e per la cresta finale che ci porta alla cima.
Sci, pelli, casco, stringi gli scarponi. Siamo pronti a scendere.
Il nostro ideale di partenza di sciare sulla bella polvere altoatesina si disgrega, in realtà aveva iniziato a dissolversi durante tutta la salita, dove più si saliva e più si confermava la pesantezza della neve.
Non è un problema, se sai sciare sulla neve brutta, quando trovi la neve bella ti senti al settimo cielo. Oggi sarà un’ottima giornata di allenamento in attesa di nevi migliori.
Scendiamo.
Respira. Tieni il controllo del busto e delle braccia. Espira.
Per fortuna ci sono dei pendii ripidi dove si può accumulare velocità.
La neve è lentissima. Tieni il controllo delle gambe. Su questa neve ci si infortuna alla prima disattenzione.
Fine della gita. Sci, pelli e scarponi dovranno essere asciugati più delle altre volte.
Oggi il caldo è stato decisamente insopportabile. Temperatura minima rilevata 5°C, quota raggiunta 2700 metri.
La mente comincia chiaramente a vagare, pensando a tutto quello che viene detto sul riscaldamento globale e sull’alterazione del clima. Cosa sta facendo l’umanità per arrestare il fenomeno? Cosa sto facendo io?
Ormai queste domande mi affliggono sempre di più. Non sopporto il caldo, mi intontisce, mi impedisce di esprimere il 100%, sia al lavoro che nelle attività che pratico.
Il riscaldamento globale ormai è diventato il problema del secolo (forse del millennio? Ci sarà ancora l’uomo nel 3000?). Tanti ne parlano, pochi ci credono e ancora meno si attivano per contrastarlo.
Riuscire a contrastarlo al giorno d’oggi è molto complicato, quasi qualunque azione della vita contemporanea ha effetti molto impattanti sull’ambiente. Riuscire a ridurre al minimo l’impatto è obiettivo nobile, ma quanto mai difficile.
Siamo abituati a volere tutto e subito, difficilmente siamo disposti ad aspettare, portare pazienza e sopportare per ottenere qualcosa. Pensiamo che con il denaro si possa ottenere qualunque cosa in qualunque momento. È così, peccato che il prezzo che paghiamo con la moneta non equivale al prezzo ambientale della nostra azione.
Io penso che questo andamento ambientale debba decisamente cambiare. Non è più sostenibile.
Parlo innanzitutto in difesa della montagna, ma secondariamente di tutti gli ambienti naturali e terrestri.
Bisogna dimostrare di avere la forza di riuscire ad andare oltre l’apparenza materiale. Bisogna dimostrare che da persone informate, le azioni che compiamo non sono volte al nostro semplice tornaconto, ma ad una più grande visione del nostro ecosistema in salute.
Il grosso problema dell’umanità è che fa fatica ad accettare degli sforzi e delle fatiche finalizzati a dei risultati che o non vedrà mai o vedrà in minima parte e di cui potrà godere solo indirettamente.
Quante persone sono disposte a rinunciare ad un piacere istantaneo per far godere un loro discendente? Pochissimi, se non nessuno, perché è un atteggiamento non naturale nell’uomo; perché se così fosse allora saremmo ancora nella savana a cercare di sopravvivere dai predatori. Invece ormai noi siamo il predatore più temibile del pianeta.
Rispetto ai nostri antenati abbiamo però un qualcosa in più che può farci cambiare le regole dell’evoluzione. Abbiamo la consapevolezza che se non ci muoviamo subito, se non iniziamo ad agire, ci ritroveremo con un pianeta distrutto, in cui le gravi conseguenze ambientali non sono più un ipotetico scenario catastrofico di alcuni pazzi meteorologici o scienziati del clima, ma un dato di fatto che diventa ogni anno sempre più certo e sempre più evidente.
Mi domando: costa tanto riuscire a tenere il riscaldamento ad una temperatura adeguata? Se siamo in pieno inverno, non si possono tenere i 26 gradi in stanza. In inverno non si può e non si deve stare con le maniche corte. In inverno bisogna stare con i vestiti pesanti, è normale patire un po’ di freddo, è sempre stato così negli scorsi secoli e dovrebbe essere così anche in futuro.
Per l’uomo invece non deve andare così, la natura ed ogni cosa si deve abbassare alla propria volontà. Ma non è un fatto nuovo osservare che la natura, presto o tardi, riporta gli equilibri cui tanto aspira.
Voler mantenere la temperatura desiderata, in ogni momento si può fare, ma non è sostenibile con il ciclo naturale della temperatura nel mondo.
Lo stesso dicasi per le attività in montagna. Risulta ostinato voler andare a praticare attività anche quando non ci sono le caratteristiche climatiche che lo permettono.
Un esempio tra tutti, forse banale, è rappresentato dallo sci alpino. Ormai molti vogliono sciare, ma non vogliono soffrire il freddo, senza considerare che una “conditio sine qua non” per poter sciare è la presenza del freddo.
Ancora, le persone vogliono sciare anche se non c’è neve e quindi si spara la neve artificiale (uno dei più grossi errori della montagna moderna, pensare di superare il problema naturale con una soluzione artificiale), creando innumerevoli danni alla terra e all’ambiente che si trova in quelle zone.
Non capisco come mai, nonostante le innumerevoli avvertenze, le relazioni degli esperti e quant’altro, la gente si ostini ad andare a sciare sulla neve sparata. È un po’ come pretendere che un velista (sì, sono anche velista oltre che alpinista) vada a veleggiare senza vento.
Non so ancora bene quale possa essere la soluzione a questo problema. Sicuramente mi dispiacerebbe se si dovesse affrontare il problema attraverso una sempre più selettiva e vincolante legislazione che porterebbe gli uomini a fare della montagna non tanto un posto di avventura o di scoperta, ma un semplice parco di divertimento.
Probabilmente il primo passaggio che verrà fatto sarà quello di chiudere al traffico le strade di montagna e permettere l’accesso solo tramite navetta o le proprie gambe. D’altronde anche noi oggi siamo venuti in macchina, mi sto lamentando della situazione in cui siamo, ma sto facendo molto poco per evitare che il circolo vizioso continui.
Sono ancora favorevole all’idea che questo cambiamento possa provenire, e anzi, debba provenire da noi giovani, che stiamo ereditando un mondo che è sempre più distrutto e fuori controllo (non solo dal punto di vista ambientale); dobbiamo essere in grado di conciliare il moderno alpinismo con le più moderne conoscenze ecologico-ambientali. Non mi piacerebbe l’idea di dover prendere una navetta per andare a fare una via in Dolomite, forse il futuro ecologico che dobbiamo raggiungere deve passare inevitabilmente da un ritorno al passato. Probabilmente l’utilizzo di mezzi di trasporto sostenibili diventerà l’abitudine, e quello che una volta sembrava una grande impresa (ad esempio Hermann Buhl che sale il Pizzo Badile in solitaria arrivando da Innsbruck in bicicletta), diventerà la routine dell’alpinismo futuro.
Dobbiamo essere in grado di saper rinunciare a quello che una volta ero la standard, perché altrimenti si rischia di non potersi più permettere nemmeno la più semplice esperienza in montagna.
Dobbiamo riuscire a trasmettere a chi ancora non lo ha capito, che se non si inizia da oggi a muoversi per salvare ciò che amiamo, ce lo ritroviamo distrutto prima di subito.
Sto guidando verso casa, vedo che le montagne tanto desiderate si allontanano dietro di me. Esco dalla Val d’Isarco, entro nel bacino di Bolzano e mi immetto nella Val d’Adige. Il sole deve ancora tramontare, i suoi raggi ci segnano il cammino.
Forse non è tutto perduto.