Lo scialpinismo su pista: un esempio dal Tirolo che anche noi dovremmo seguire. Ne scrive il rifugio Orso Bruno 2200 m che, gestito dalla Famiglia Giacomoni, serve la clientela sulle piste da sci di Folgarida, Daolasa, Marilleva e Madonna di Campiglio.
Lo scialpinismo su pista
di Rifugio Orso Bruno
(pubblicato sul profilo fb del “Rifugio Orso Bruno” il 5 gennaio 2025)
Il Land Tirol ha dimostrato come una gestione intelligente e collaborativa possa trasformare lo scialpinismo su pista in un’attività sicura e regolamentata. Con il modello “Sicher & Fair”, sono stati introdotti tre pilastri fondamentali:
1. Decalogo di comportamento, con regole chiare per tutti gli scialpinisti.
2. Sistema di segnaletica dedicata, per garantire flussi ordinati e prevenire incidenti.
3. Serate riservate agli scialpinisti, con piste disponibili in sicurezza grazie a una pianificazione degli orari.
Questo approccio ha permesso di ridurre i conflitti con le aree sciistiche, favorendo una convivenza armoniosa tra gli appassionati di scialpinismo e gli operatori del settore.
E qui in Trentino???
L’interno del rifugio Orso Bruno
Mentre in Austria questo sistema è già una realtà, nelle nostre zone – da Folgarida, Marilleva, Madonna di Campiglio, Pejo e Tonale – fatichiamo ancora a ottenere anche il minimo indispensabile. Eppure, questo territorio appartiene alla popolazione della Val di Sole, e non è giusto che non possa goderne appieno per un’attività tanto importante per i nostri giovani e le loro famiglie.
Gli scialpinisti chiedono da anni un accordo con le Ski Area per:
- utilizzare UNA pista da sci in sicurezza, una volta a settimana, per ogni località, per un paio d’ore la sera. Questo permetterebbe alla gente locale di praticare uno sport salutare anche dopo l’orario di lavoro, favorendo unione e distrazione in una valle che offre poche alternative per i giovani, offrendo loro un’opzione positiva e costruttiva per il tempo libero.
- minimizzare l’impatto sul lavoro dei gattisti: basterebbe posticipare di qualche ora la battitura della pista interessata, lasciandola per ultima quella sera.
- gestire la sicurezza in modo sostenibile: se non fosse possibile impiegare il personale del soccorso piste, si potrebbe contare sui ragazzi volontari, pronti a garantire supporto e intervento in caso di necessità.
Inoltre, gli scialpinisti sono disposti a pagare uno stagionale dedicato, dimostrando piena collaborazione e rispetto delle regole.
Un’alternativa per i giovani, una risorsa per il territorio.
Offrire ai giovani un’alternativa salutare e sportiva, evitando che passino le serate nei bar, non sarebbe solo un beneficio per loro, ma anche un’opportunità per valorizzare il nostro territorio, promuovendo un utilizzo responsabile e condiviso delle nostre risorse montane.
Un piccolo cambiamento, per un grande passo avanti.
È ora che anche da noi si prenda esempio da iniziative virtuose come quella del Tirolo! Collaborazione, rispetto e visione da parte di tutti possono fare la differenza.
Il commento
di Carlo Crovella
Mah… tutto ciò è ancora “scialpinismo”?
Mi capita a volte di risalire con le pelli alcuni tratti di pista, standomene diligentemente sul bordo, per evitare di dare fastidio agli sciatori che sono i veri destinatari delle piste. Utilizzare questo stratagemma può aver senso in giornate di tempo incerto o in finestre temporali molto strette, giusto per fare due passi… Però praticare lo “scialpinismo” solo (o principalmente) su pista, cioè nel modo qui descritto, a me, vecchio scarpone, non pare proprio più scialpinismo.
Una versione regolamentata (con decalogo, pannelli informativi, serate dedicate…) mi sembra la negazione stessa dello scialpinismo: è un altro sport e occorrerebbe definirlo sganciandolo completamente dal termine “scialpinismo”. Infatti so che da altre parti si chiama Speedfit, ma alla fine il vero problema non è neppure il nome.
Non sono un sostenitore dei comprensori dello sci di pista, ma personalmente ritengo che, se questa specifica attività innesca polemiche e attriti con i gestori degli impianti (e connesse rivendicazioni “sindacali”, come sopra esposto), forse converrebbe non “spingere” su tale versione dello scialpinismo, che alla fine si rivela solo un ulteriore tassello della montagna luna park.
Come suggeriscono Telmo Pievani e Mauro Varotto (Viaggio nell’Italia dell’Antropocecene) entro il 2786 non ci saranno più la neve né i ghiacciai. In Marmolada per esempio ci saranno solo sassi entro il 2035. Coi tempi della politica italiana conviene preparare per tempo un’alternativa turistica e sportiva conforme al riscaldamento globale.
Aggiungo un particolare a quanto già osservato. La correlazione fra “gare”, “piste” e “in notturna” è il massimo dello sconforto per uno scialpinista vecchio stile come il sottoscritto. Dopo 60 anni di sgroppate con le pelli in terreno aperto (quello che io considero sia “l’unico e vero” scialpinismo), è purtroppo arrivato anche il cocktail fatale.
Da La Stampa del 16 gennaio 2025 (Universiadi invernali)
Gara in notturna
Stasera, con la specialità sprint, le gare di scialpinismo di Sestriere hanno avuto un fascino particolare (?!?, NdR), perché disputate in notturna: sulla pista olimpica Kandahar Giovanni Alberto Agnelli illuminata per l’occasione dai potenti fari installati per i Giochi olimpici invernali di Torino 2006.
Scialpinista dal ’75, mi trovo completamente d’accordo con Crovella, e non mi capita sovente.
Luna park, la negazione dello scialpinismo.
Queste condizioni rispecchiano forse il 40% dello scialpinismo: la socialita al rifugio , e l’atletismo.
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Mancano la varietà e la progettazione delle gite , manca la solitudine dell’ambiente, mancano i mille elementi e scelte che fanno si che lo scialpinismo sia anche un’esperienza dello spirito.
Pur approvando questa offerta, se fossi un cane sarebbe la sgambata all’area cani , non un giorno di libertà in montagna.
Ci si è dimenticati che lo Scialpinismo è una forma di alpinismo, ovvero un’attività che prevede esposizione, progressione, quota, ambiente, accettazione del rischio e un progetto di ascensione, l’ambizione del raggiungimento della vetta.
Poi c’è la discesa, molto raramente godibile, il più delle volte è una continua ricerca di soluzioni ai problemi.
È l’avere a che fare col la Montagna e le mie ambizione di ascensione.
Tutto ciò che faccio con sci e pelli con una connotazione “sportiva” o “escursionistica” non è Scialpinismo.
Tutte quelle gite che faccio dove d’estate sono prati, sentieri e stradine non sono Scialpinismo.
Non basta avere sci e pelli ai piedi per dire di fare Scialpinismo.
Saluti
Lasciamo agli appassionati della lotta con l’Alpe le loro soddisfazioni.
“La montagna è libera, e libero ne è il suo godimento in tutte le forme” (art. 1 di una costituenda costituzione della montagna.)
“I libri di gloria sono già stati scritti, le pagine sono tutte piene e oramai c’è posto solo sulle lapidi) (art. 2).
Ergo: ” la sola cosa che conta è divertirsi e non farsi male” massima universale (tanto per giovani che per diversamente tali)
Pienamente d’accordo con le opinioni di Carlo Crovella. Vorrei anche aggiungere che non è scialpinismo andare in 150 a fare una gita come fa la Sucai .Non è scialpinismo andare su tracce quasi autostradali con decine di gruppetti che ti precedono , superano , seguono come accade in certi periodi al col Serena , alla Muanda…Dov’è finita l’avventura di decidere dove fare la propria traccia, di orientarsi ,del piacere della silenziosa contemplazione , di discese su pendii non tritati al centimetro ? Qualche compromesso si è obbligati a farlo ,a non esageriamo !
Beh, c’è una profonda differenza. Le scuole servono per insegnare e (agli allievi) per imparare a fare “bene” scialpinismo. Meglio gite intruppati, in cui però gli allievi imparano la giusta forma mentis, che lasciarli andare fin dall’inizio allo sbaraglio con il rischio che, per inesperienza, si caccino nei guai anche seri. Certo la fase dell’appartenenza a una Scuola deve essere transitoria e strumentale a imparare la dotazione mentale di base: dopo 3-4 stagioni al massimo in una scuola, chiunque dovrebbe sentire in sé il desiderio di fare scialpinismo in prima persona (anche gite facili, ma scelte e condotte in modo autonomo). Se non si arriva a questo livello, significa che in realtà ci si rivolge alle scuole per “farsi accompagnare in sicurezza”. non a caso io che giro un po’ per le scuole della ns zona, a volte incontro degli allievi che, in passato, erano stati allievi di altre scuole. E’ un problema, non lo nego, ma paradossalmente è un problema molto più difficile da estirpare nelle scuole medio-piccole, che formano una comunità su poche decine di individui, che nelle scuole grandi, che in fondo sono un po’ dei porti di mare, per cui no si corre dietro all’allievo anche per il decimo anno consecutivo… Cmq, io non disdegno il valore sociale delle scuole, cioè il fatto di “fare gita insieme”. Chi continua a stare nelle scuole come istruttore lo sente questo valore, altrimenti, una volta “capace e autonomo”, se ne andrebbe per conto suo. Infime sottolineo che la Scuola SUCAI, qui nel nord ovest, ha dimensioni decisamente superiori a tutte le altre scuole, ma ve ne sono altri che ormai cubano per 50-60-70 persone. E alla fine per i soggetti terzi (cioè per i malcapitati individuali che si trovano sullo stesso itinerario), incontrare una scuola di 50-60-70 persone o una di 120-140, non cambia granché. Inoltre, poiché le Scuole battono in genere itinerari molto “classici”, basta che i soggetti terzi cerchino (fin dalla sera prima) altri itinerari. specie nella fase invernale in cui le scuole si muovono con i pullman, gli itinerari in cui si impegno, sono noti a tutti. Se un soggetto privato decide di andare al Col Serena di domenica, deve mettere in conto che, quasi sicuramente incontrerà una scuola…
Lo stesso dicasi, anzi ancora di più, per tutte le gite sociali del CAI (non solo di Torino, ma di tutta Italia). In alcuni casi sono anche molto affollate, circa come una scuola. Al di là del numero, hanno lo stesso effetto intruppamento per i partecipanti e lo stesso effetto fastidioso per i soggetti terzi. E non hanno neppure la finalità didattica come le scuole. Però che facciamo? Cancelliamo 150 anni e più di tradizione delle gite sociali del CAI??? E’ chiaro che è un “mondo” che ha il suo “perché” e ci sono molti affezionati partecipanti.
Cmq, anche chi fa attività didattica sistematica (=istruttori) o fa l’accompagnatore di gite sociali, se è un vero scialpinista, ogni tanto “sente” in sé il desiderio di una uscita in pochi, con il “vero” confronto con la montagna. Se non sente ciò dovrebbe porsi un interrogativo su cosa sta facendo. Chi si limita alle sole uscite sociali (gite sezionali o uscite di scuole) e non fa mai uscite private, incappa nel rischio di rimanere prigioniero di un recinto, né più né meno come chi fa scialpinismo sulle piste oppure in quei “centri per lo scialpinismo” che vengono attrezzati qua e là (vedi articolo di qualche giorno fa). Questo è verissimo e l’attività individuale va spronata sempre, anche per gli istruttori più “bravi”.
Bravo Andrea canguro.
Non capisco cosa ci sia di male, a fine giornata lavorativa, farsi una salita e relativa discesa lungo una pista da sci, l’ho sempre fatto come allenamento (oltre che divertimento in sé) per le uscite del fine settimana in ambiente, come migliaia di altri scialpinisti..del resto ci si allena quando e come si può, almeno quelli che lavorano..poi se ci sono quelli che fanno solo su e giù per le piste da sci, ma saranno ca..voli loro!
Se è un problema usurpare la parola scialpinismo, per noi sfigati che utilizziamo parzialmente le piste, non c’è nessun problema, chiamateci SCISFIGATI.
L’importante è che i VERI SCIALPINISTI siano contenti, tranquilli, pacifici e sereni e non si sentano offesi per essere stati accomunati a questi SCIPIRLA..
state a casa la sera che il giorno dopo avete l’uscita in ambiente.
@ Marco
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Credo che a nessuno fotta niente di chi sei e se sei sfigato fighissimo, tutti noi abbiamo fatto scialpistismo , io volevo solo dire che l’esperienza che fai quando decidi di fare una gita, divorando cartine condizioni, pericoli , imprevisti, orientamento, solitudine, cima , e poi vedi che questi tasselli vanno insieme come speravi , è una esperienza più intensa che lo acialpistismo.
Chiamiamolo Pippo e non se ne parli più…
Però ci vedo tanto snobismo (per non dire altro) nel pensare che solo se fatto in un certo modo si possa chiamare “scialpinismo”, mentre la risalita su traccia attrezzata è roba da dilettanti, pistaioli pentiti, incapaci che è meglio che stiano confinati nelle riserve.
Avviarsi sull’itinerario stra battuto della “gita di Gulliver” di turno, infilandosi in una traccia già fatta e insieme a centinaia di persone non lo vedo tanto diverso dal rimanere in un percorso attrezzato. Perlomeno non credo che abbia implicato studio dei bollettini, delle condizioni, ecc., si è semplicemente aperto il PC e si è visto dove andavano tutti.
Certo che, fatto seriamente e con spirito d’avventura, lo sci con le pelli è altro e presuppone studio e conoscenza. Ma la lingua italiana offre meno vocaboli adatti a differenziare le varie sfumature dell’attività, per cui perché sofisticare? Boh, lo si chiami Pippo (o Pluto, o Paperino) ma che ognuno si diverta come preferisce
Senza peccare, oltre il mio solito, del mio solito snobismo (ben noto), posso assicurare che circa 100 anni fa la scelta del termine “scialpinismo” non fu casuale. Nel senso che lo sci fuori pista, con l’uso delle pelli ecc avrebbe potuto anche chiamarsi sciescusionismo (definizione in epoca molto successiva utilizzata per le gite fuori pista con gli sci da fondo), perché nell’80% dei casi si percorrono itinerari che sono “escursionistici” (salvo quando ti avventuri su ghiacciaio o in terreni complessi: allora picca ramponi ecc). Non è la dotazione di picca e ramponi che giustifica la presenza del suffisso “alpinismo” nella definizione di scialpinismo. Ma la forma mentis, che (nel vero scialpinismo) è e deve rimanere di stampo alpinistico. Significa: preparare, condurre e portare a termine un’uscita scialpinistica non ha nulla di diverso dal preparare, condurre e portare a termine una vera uscita alpinistica.
Ho già scritto che concordo con l’amico Gogna il quale da tempo è impegnato nella “battaglia” per far archiviare il termine “gita” riferito alle uscite di scialpinismo, quelle in campo aperto intendo, perché “gita” allude a un approccio disincantato, godereccio, superficiale, quanto di meno coerente con lo scialpinismo. Lo scialpinismo (quello vero) è la disciplina più impegnativa e più implicitamente rischiosa che si possa praticare in montagna, perché, a differenza dell’idea che ti trasmettono i terreni (spesso più escursionistici che alpinistici), a ogni metro incorpora il rischio (potenzialmente mortale) della valanga.
A ciò si aggiungono altre criticità, come le giornate corte, le temperature più fredde, il maggior isolamento. Insomma per fare scialpinismo, quello vero, occorre esser molto preparati, di testa intendo. la capacità atletica (=quanto si corre in salita) e quella sciistica (quanto pennelli in discesa) non c’entrano una mazza, al massimo sono delle aggiunte, ma non sono l’asse portante dello scialpinismo.
Ecco perché è fondamentale partecipare ai corsi delle scuole, nonostante il modo di andare un po’ “intruppato” che si ha in quelle uscite. Partecipare a una scuola non è soltanto fare la gita (da intruppati invece che da liberi battitori), ma significa assistere a lezioni teoriche, eseguire sistematiche esercitazioni pratiche, studiare, passare test ecc…. fino a diventare scialpinisti maturi e consapevoli cioè capaci di scegliere la gita giusta, di saperla tracciare nel modo giusto e di avere sempre contezza di ciò che si sta facendo. tutte cose che NON si imparano salendo e scendendo sulle piste o in attività di quel tipo (comprese le gare).
Quando all’effetto gregge che purtroppo domina oggi, concordo sul fatto che seguire come animali le “stelle” messe su Gulliver la sera prima, senza neppure sapere in che valle si sta andando, sia davvero becero e certamente molto più pericoloso che correre sulle piste con le pelli sotto gli sci. E’ quindi un fenomeno da combattere davvero.
Lo Speedfit, lo Skialp Race, i centri attrezzati con itinerari per usare le pelli (vedi articolo di qualche settimana fa), sono degli “sport”, LEGITTIMI e da incoraggiare (specie vs lo sci con gli impianti…), ma è bene che perdano completamente l’aggancio semantico con il termine scialpinismo. Altrimenti inducono chi pratica principalmente questi sport a pensare che non ci sia differenza fra salire e scendere sulle piste e avventurarsi in terreno aperto. E così si vanno a cacciare nei guai…
Piuttosto vorrei segnalare a questo blog un progetto molto discutibile che, pare, stia prendendo corpo in alta Valle di Susa. Mi riferisco all’idea, presentata dall’ex sindaco di Cesana T.se, di rimpiazzare la pista di bob con uno Ski-dome, cioè un impianto per lo sci al chiuso come ne esistono a Dubai e in altri luoghi dove la neve non esiste, della lunghezza di 800 m e larghezza di un centinaio circa. Per vendere meglio la cosa si spaccia l’auto sostenibilità energetica garantita dalla copertura in pannelli fotovoltaici. Di impatto ambientale e paesaggistico non se ne parla. La Stampa riporta acriticamente le prospettive, magnifiche e progressive, per il turismo locale ventilate dai promotori. Si parla di studi di fattibilità in fase avanzata.
Per me vale il giudizio di Fantozzi sul film di Ėjzenštejn
In merito all’ipotetico Ski Dome di Cesana se n’è parlato sul Gogna Blog già in data 25 febbraio 2023, cioè due anni fa ! Vedi: https://gognablog.sherpa-gate.com/a-cesana-si-vuole-sciare-anche-destate/
Lo Ski Dome dovrebbe “inserirsi” nella ormai abbandonata struttura della pista di bob costruita per le Olimpiadi del 2006 e mai più utilizzata (se non per una gara di Coppa del Mondo di slittino, gennaio 2007). Però, dopo vari tentativi di rivitalizzare detta pista per usarla in sostituzione di quella di Cortina nei prossimi Giochi 2026, fallito tale obiettivo, nel novembre 2024 il Ministro delle Sport Abodi, il Presidente della Regione Piemonte Cirio e il Sindaco della Città metropolitana Lo Russo (ovvero le tre autorità competenti in merito alla ex-pista) hanno annunciato che tale impianto sarà smantellato con ritorno dell’area alla naturalizzazione precedente.
Il sindaco di Cesana, Mazzoleni, tenta di infilarsi ancora con l’idea demenziale dello ski dome, ma oltre ad avere contro tutte le autorità competenti, ha davanti una montagna che è il costo di realizzazione del progetto di cui si fa paladino: 60 milioni di euro (stimati, poi fra il dire e il fare…). Al momento, accantonata ogni finalità olimpica della ex pista, pare che non sia neppure più a disposizione quel tesoretto “olimpico” che poteva costituire un primo mattoncino per mettere insieme i 60 milioni. Per cui Mazzoleni dovrebbe trovarli tutti bussando presso investitori privati. Ammesso che ci riesca, dovrà poi superare la contrarietà degli ambientalisti e infine la posizione, ormai sembra definitiva, delle tre citate autorità politiche… Incrociamo le dita e speriamo che NON se ne faccia nulla.
Grazie, mi ero perso l’articolo sul blog.
Tutto vero, ma è il recente arrivo del Club Mediterraneè a preoccuparmi.
Ma già solo il fatto che una parte dei residenti di Cesana lo veda con favore è grave e indice di una visione distorta del turismo
Concordo con la tua conclusione: anche io preferirei molto di più che quell’area (se proprio NON dovesse tornare alla rinaturalizzazione definitiva) venisse utilizzata come piccolo “stadio per lo scialpinismo” (trovando però un altro nome, mi raccomando!) piuttosto che per nuove piste “all’aria aperta” o peggio “al chiuso”.
Da villeggiante storico di Cesana, auspico la rinaturalizzazione e non se ne parli più. Però è sintomatica la preferenza di molti residenti (come hai sottolineato) per il business anche a scapito dell’ambiente.
Se tale “preferenza” emerge per un micro problema come uno Ski Dome lungo 800 metri, non dobbiamo stupirci che lo stesso accada, in grande, in tutte le Alpi (e non solo) per i macro problemi, come l’estensione dei già enormi comprensori sciistici o tutto il “casino” innescato dalle Olimpiadi.
Scusate il ritardo , ma vorrei ancora aggiungere qualcosa .
Mi è sempre piaciuta la seguente frase : “Gli alpinisti ( e gli scialpinisti ) sono gli ultimi anarchici rimasti a difendere la libertà in montagna.”Quindi ognuno é libero di divertirsi come vuole , purché non arrechi danno all’ambiente e fastidio al prossimo .
Ciò premesso trovo giusta la equiparazione fatta da Carlo Alberto : “Avviarsi sull’itinerario strabattuto dalla” gita di Gulliver di turno”infilandosi in una traccia già fatta e insieme a centinaia di persone non lo vedo tanto diverso dal rimanere in un percorso attrezzato”. Queste due categorie( bordo piste e gita Gulliver autostada) di frequentatori della montagna con sci e pelli , a mio avviso, hanno qualcosa in comune con gli eterni allievi delle scuole di scialpinismo : sono uccellini che non riescono a spiccare il volo fuori dal nido . Forse sarà l’eccessiva cultura della sicurezza . Certamente è rassicurante andare in gruppo dove ci sono tante persone : qualcuno ha già fatto la traccia , se mi si stacca una pelle o si rompe un attacco ci sarà certamente qualcuno che mi aiuta e se poi mi faccio male senza il minimo dubbio chiameranno subito l’elicottero.
E poi bisogna ammettere che nel gruppo vi sono anche persone piacevoli e simpatiche con le quali è bello condividere una bottiglia e magari posso trovare anche una fidanzata . Sono i piaceri sociali del gruppo a cui si riferisce Crovella. Tutto giusto e bello per carità , tant’è vero che persino taluni istruttori al pari di taluni allievi , diventano eterni . Quando non c’è l’uscita della scuola un po’ gli manca . Hanno perso l ‘abitudine a programmarsi una gita specifica e magari telefonano per unirsi ad un altro gruppo . In fondo è così comodo e bello….
Vi ho brevemente descritto la” sindrome del gregge “.
Per coloro che percorrono sistemicamente i bordi delle piste la pista è un surrogato del gruppo ,rassicura .Ovviamente non mi riferisco a chi si allena alla sera per migliorare o recuperare la forma. Anzi fa bene a farlo .
Ritornando al problema del grande gruppo bisognerebbe far conoscere a queste persone quanto sia bello , inebriante e creativo fare la propia traccia sia in salita che in discesa ( magari in neve vergine ,ma molto difficile se si è in 150) .
Scoprire l’adrenalina dello spirito d’avventura !
Risolvere da soli i problemi che si presentano di volta in volta improvvisando e dando il meglio di noi stessi .
Forse uno o due amici un po’più esperti possono essere la soluzione giusta , evitando l’abitudine al grande gruppo che ti deresponsabilizza . Infatti riflettendo sull’argomento penso che forse le scuole di scialpinismo così come sono concepite attualmente sono in parte responsabili di questa sindrome . Dovrebbero fare solo teoria e prove pratiche sul terreno di soccorso valanghe e recupero da crepacci e poi incoraggiare gite in gruppi autonomi al di fuori della scuola e solo a fine corso una gran bella uscita di due giorni tutti insieme . Grande festa .
Sono opinioni sincere . Cordialmente.
Il problema individuato dall’amico Roberto è oggettivo e non mi voglio nascondere: “far uscire gli uccellini dal nido” non è sempre facile per una suola. Non nego che esista, come esistono non solo gli allievi a vita (che proprio per questo, raggiunto il limite massimo di anni di iscrizione in una specifica scuola, si iscrivono “da zero” in un’altra), ma anche gli istruttori a vita, cioè quelli che magari fanno magati TUTTE le uscite stagionali della scuola, ma fanno SOLO (o principalmente) quelle. Tuttavia il fatto che esistano ANCHE tipologie umane del genere, non significa che il modello delle Scuole CAI di scialpinismo sia fallimentare e NON riesca proprio a produrre fior di scialpinisti maturi e responsabili che attueranno una propria attività con cognizione di causa. Nel mucchione ci sono gli uni e ci sono gli altri e per avere gli “output” di pregio (in senso scialpinistico) occorre avere una base molto larga, dove inevitabilmente sguazzano di cosiddetti “parassiti” (=quelli che si agganciano all’uscita combinata, per comodità, per pigrizia, per inettitudine a organizzarne una privata).
Però l’efficacia o meno di una scuola dipende dal gruppo dirigente della scuola stessa e in particolare dal Direttore del momento. Frequento l’ambiente della Scuole di scialpinismo (e, in particolare, la Scuola SUCAI Torino) da oltre 40 anni e posso testimoniare che a direttori “sceriffi” (come fu il sottoscritto), che spronano gli allievi – al limite a pedate nel sedere – affinché crescano per rendersi autonomia e indipendenti, si alternano altri direttori, quelli che come li chiamo io, in stile “Robin Hood” (quelli che, tarpando le ambizioni dai forti, tutelano la persistenza nella scuola dei tranquilli).
Io non amo la figura del direttore Robin Hood, ma riconosco che le scuole blasonate e quindi di lungo corso (per esempio la SUCAI, che compirà in autunno 75 anni di ininterrotta attività!) hanno bisogno di questa alternanza di direttori/stili di gestione, perché essa garantisce la continuità sociale dell’istituzione.
Far parte di uno scuola di scialpinismo è molto diverso dal far parte di una scuola di alpinismo/arrampicata, a parità di modello didattico del CAI (che vale per le une e per le altre). Nelle scuole di scialpinismo il valore sociale dell’appartenenza al gruppo e della continuità di tale prerogativa è molto più forte, con tutti i suoi risvolti, che spesso hanno poco a che fare con l’andar montagna in senso stretto. Per esempio cito il fatto che la SUCAI si è dimostrata, nei decenni, una efficientissima “agenzia matrimoniale”, di cui hanno beneficiato schiere intere di istruttori/istruttrici/allievi/allieve (di ogni periodo storico) con matrimoni che durano tutta l’esistenza degli interessati e le cui giovani leve (= i figli) a loro volta si frequentano sistematicamente fin da bambini/ragazzini e poi si ritrovano fra loro iscrivendosi come allievi alla scuola, di cui saranno gli istruttori di domani, trovando lì la compagna/compagno di vita e generando ulteriori nuove generazioni…
Queste due categorie( bordo piste e gita Gulliver autostada) di frequentatori della montagna con sci e pelli , a mio avviso, hanno qualcosa in comune con gli eterni allievi delle scuole di scialpinismo : sono uccellini che non riescono a spiccare il volo fuori dal nido .
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Secondo me quelle che fa Roberto sono considerazioni inoppugnabili.
Nella mia esperienza io mi sento rassicurato dalla presenza di “gente” , ma mi è sufficiente avere intorno un paio di amici “giusti” per essere tranquillo.
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Aggiungo un’altra considerazione personale : per questioni di responsabilità i gruppi numerosi sono spesso guidati dai responsabili in modo un po’ rigido , e questo non accade per gruppetti più agili ed omogenei ; nel mio caso , insieme alla scelta di “soci” in cui mi rispecchiavo , questa considerazione mi ha spesso portato alle prime esperienze autonome.
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Poi c’è una cosa , che per me è un grande “bonus” , e per altri vale zero : la bellezza di fare esperienza progettando “viaggi” su rischi limitati , e vedere confermate o smentite le proprie aspettative…per me non ha prezzo , invece trovo sempre più persone , che anche in condizioni di perfetta visibilità e rispetto degli orari , si affidano ad un GPS come se dovesse essere la fonte già scritta dell’esperienza che vado a fare.
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Per me , compatibilmente con il grado di rischio , un’uscita è anche estro , improvvisazione , ricerca della neve più bella , etc. , non mi importa se poi cambio in corso d’opera la meta della gita , o prendo un taxi per tornare alla macchina : una bellissima giornata si costruisce minuto per minuto.