Omaggio agli ometti

di Paolo Crosa Lenz
(pubblicato su Lepontica n. 19, maggio 2022)

Gli ometti non sono piccoli uomini. Niente a che fare con gnomi, nani e folletti. Per noi alpinisti gli ometti sono quelle pile di sassi accuratamente accatastati che troviamo sulla cima di una montagna, su un valico, ad un bivio, lungo un sentiero a confermare la via. Se ci sono è perché qualcuno li ha eretti, da lì sono passati una donna o un uomo che hanno confermato una presenza mettendo un sasso sopra l’altro. I segnavia bianco-rossi di vernice sono cosa recente, è una pratica per “segnare il territorio” ad uso escursionistico, il segno di un nuovo uso ricreativo della montagna. Gli uomini delle terre altre non sono mai andati in montagna per piacere, solo per lavoro, per commercio o per andare a pregare. Su questi percorsi tracciati nei secolo, la presenza di un ometto, la cui realizzazione non costava niente, era un atto di solidarietà per chi sarebbe venuto dopo. Magari bagnato e nella tormenta, avvolto dalla nebbia e in fuga dai fulmini. Tutti gli alpinisti hanno vissuto la gioia rasserenante, quando non sai più da che parte andare, dell’incontro con un ometto che ti indica la via.

Gli ometti sono diversi dai cippi di confine che segnano una separazione, di qua comando io, di là comandi tu. Gli ometti sono un simbolo di unione, dicono che puoi proseguire, che sei arrivato ad una meta, che puoi andare oltre. Questo in tutto il mondo: dagli altipiani del Tibet ai sentieri himalayani, dalle pianure in quota sulle Ande alle montagne d’Europa. Gli uomini li hanno fatti da sempre, solo dopo, molto dopo, vi hanno messo le croci. Ho amici alpinisti che, quando in estate vanno al mare con la famiglia, per passare il tempo sulla spiaggia costruiscono ometti, come fossero in montagna.

Alpe Groppo in Valle Antigorio: Foto: Gianpaolo Fabbri.
Ometto al mare. Foto: Paolo Crosa Lenz.
Ometti al mare. Foto: Paolo Crosa Lenz.
Costa del Dosso in Val Bognanco: Foto: Gianpaolo Fabbri.
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