Orestes Hütte, tempo del cuore

di Emanuela Provera
Foto di Emanuela Provera
(pubblicato in camoscibianchi.wordpress.com l’11 settembre 2022). Il post rientra nella rubrica “Il movimento delle donne solitarie”, curata da Emanuela Provera. Qui il link alla rubrica per coloro che fossero interessati a leggere ulteriori contributi)

Satá: ti ne sawén: na kanien ‘keha
skwenienhst tsi nitisé: non tsi
sonkwehón: we

Parla la tua lingua
sii orgoglioso della tua ancestralità

Risotto con porri e alghe (wakame e dulce) è un menù inconsueto per un rifugio di montagna dove ci si aspetta di mangiare polenta e cervo, fontina, oppure di bere in compagnia di amici con una grolla.
Qui all’Orestes Hütte tutto è vegano, libro, legno e rocce. Tutto è marmotta e dimenticanza. Meditazione e miscuglio di etnie. È un luogo adatto a disarticolare le ossessioni, a ritrovare il centro.

Orestes Hütte

Sono nella Valle del Lys alle pendici del Monte Rosa dove diversi secoli fa si insediarono migranti provenienti dal Canton Vallese, i walser. Nel 1886 il medico Giovanni Giordani autore del primo dizionario della lingua walser il ‘titzschu’ scrive al teologo alpinista Giuseppe Farinetti informandolo dei suoi studi linguistici. Non voleva che la sua lingua scomparisse. E mentre ceno davanti alle cime accarezzate dal sole che tramonta, sfoglio la recente riedizione del suo dizionario, la codificazione in forma scritta di un’antica cultura orale.

Il posto che mi è stato assegnato per la cena e la colazione, le luci del tramonto oltre la finestra (sala del rifugio)

Ma antico è anche il tempo di un giovane papà che davanti al rifugio fa esercizi yoga accanto alla sua bimba, di nove mesi. È un alpinista, e forse anche Iris da grande lo seguirà. Il movimento è un linguaggio che parla di sé, della persona che lo compie. Li osservo dalla finestra, sento forte la vita, e poi un senso di serenità, tenerezza, stupore. Chi sei quando nessuno ti guarda?

Un ospite fa meditazione davanti al rifugio con accanto Iris, la sua secondogenita

Marta Squinobal è nipote di Oreste Squinobal cui è intitolato il rifugio, lo gestisce e cucina. Oggi ci sono persone che vanno e vengono, è molto indaffarata per far fronte alle esigenze di un rifugio situato a 2600 metri di altitudine, dove l’approvvigionamento non è comodo come in una città di pianura. Ma nella zona relax, intorno al camino, noi ospiti godiamo di un tempo che è sospeso. Estraggo dal mio nuovo zaino giallo il Kindle e proseguo la lettura del saggio di Helmut Böttiger su Ingeborg Bachmann e Paul Celan, Ci diciamo l’oscuro; sono arrivata alla lettura del capitolo “Dura legge d’Amor! L’euforia amorosa” scritto in italiano anche nel testo in lingua originale.

Orestes Hütte, zona relax

Al rifugio ci ero arrivata la mattina, insieme ad un’amica, con la quale da tempo aspettavo di camminare. Lei tornerà a casa come avevamo programmato, io decido invece di restare cambiando i miei programmi. Non penso ai doveri inventati, agli obblighi che vivono nella mia mente. Accompagno la mia amica in direzione Gabiet mentre proseguo per raggiungere il Lago Blu 2689 m, incontro due coppie e una famiglia, mi sento felice di essere sola. La montagna non mi stanca mai, ricordo questo messaggio che inviai ad un amico non molto tempo fa, ma soprattutto ricordo e conservo come preziosa la sua risposta, semplice, vera, complessa: perché ti fa stare bene e ti senti nel tuo ambiente. Mi siedo su una pietra di fronte alla Piramide Vincent; prevale un paesaggio roccioso, a tratti aspro, essenziale, uniforme nella vastità dell’orizzonte che mi è consentito osservare; vengo travolta da un’onda di piacevole oblio e benessere, di nostalgia per qualcosa di sconosciuto e primordiale. Le persone che avevo incontrato si allontanano per tornare, resto davvero da sola per un tempo indefinito, piano piano arriva la paura, eccola. È confusa, e mi spinge a lasciare quel luogo incantevole e fiabesco. Resisto, voglio stare qui, ma vince lei.

Lago Blu 2689 m

Torno verso il rifugio, spostandomi nel vallone di Indren dove aspetto il tramonto e incontro una marmotta in carne. So che il rumore sempre più forte della cascata mi incute timore. Per questo vado li, mi avvicino al flusso, respingo i fantasmi, osservo il ghiacciaio, ricordo la salita al rifugio Gnifetti di qualche anno fa, insieme ad Enrico, Luca e Umberto.

Una marmotta esce dalla sua tana poco prima del tramonto, nella conca di Indren

Marta mi assegna una camera da letto a otto posti, ma sarò sola, anche qui, perché un gruppo ha disdetto la prenotazione. Di notte, dai vetri delle finestre, vedo le stelle, e piano piano arriva la luce dell’alba, mentre proseguo la lettura del libro perché fatico a dormire, a causa dell’insonnia e un lieve mal di testa.

Orestes Hütte, la camera

Mi alzo dal letto e faccio colazione, con fatica perché il menù è rigorosamente vegano; a pochi minuti da lì ci sono magnifiche pareti rocciose; Fil, che gestisce il Rifugio insieme a Marta, intercetta il mio sogno e chiama una guida di Gressoney che avrebbe potuto accompagnarmi ad arrampicare; resto in trepida attesa della risposta… purtroppo è già impegnata con un altro cliente. Tornerò e lo farò. Felice di questa prospettiva mi metto in cammino, solitaria.

Per le circostanze in cui mi sono sempre trovata a vivere, devo ogni volta scegliere cosa vale la pena raccontare: l’orrore o il desiderio. Oggi ho scelto il desiderio: “così puro così immorale così impossibile ma non importa perché è quello che ci rende vivi’ (Youth, Paolo Sorrentino)”.

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