Falesie, trazioni e pazienza

di Smaranda Chifu
(pubblicato su Insalita in data 28 ottobre 2020)

Se potessi dire una sola cosa alla me ventenne, è di avere pazienza e soprattutto, quando sembrerà che non ci sia davvero nessuna possibilità, di averne un altro po’, di pazienza. Perché quello, spesso, è il momento chiave.

E in questo l’arrampicata nello specifico, quasi più che l’alpinismo, è stato il miglior strumento che potessi incontrare lungo la mia strada. Perché io la pazienza non ho mai saputo cosa fosse di casa, ho sempre voluto i risultati del mio lavoro subito, le risposte alle mie domande ora e che le cose succedessero quando ne avevo bisogno io.

Arrampicando ho imparato che bisogna avere una specie di profonda fede nel proprio lavoro, che se fatto bene, poi paga, che le risposte spesso arrivano dopo e che le cose succedono quando siamo pronti ad accoglierle non solo quando le vogliamo.

Mettiamola così, non sono un bambino prodigio, ma nemmeno lontanamente. Non lo sono nell’arrampicata, non lo ero quando facevo atletica, non lo ero al liceo, in università, al lavoro. Non c’è mai stato nemmeno una volta in cui mi ricordi che una cosa mi sia semplicemente “venuta bene”. Non sono mai stata negata, sia chiaro, ne sono consapevole, non ho mai fatto schifo e ho sempre avuto un mazzo decente di carte col quale alla fine mi sono giocata bene le mie partire. Eppure un talento, che tale non è, ho capito pian piano di avercelo: la consapevolezza che non ci sia nulla, o quasi, che l’impegno non riesca a colmare.

Falesia. FOTO: Massimo Bursi.

Tutto questo perché dopo una giornata in falesia sono tornata a casa, morta e per gioco e inizialmente, più per stiracchiarmi, mi sono appesa alla sbarra e ho fatto due trazioni. Due trazioni complete, senza scaricare nulla. E per chiunque risulta banale ma io ho iniziato a fare le trazioni scaricando 30 kg, che è quasi metà del mio peso e non ero mai riuscita a farne una decente prima di questa sera. E sono rimasta lì, un po’ inebetita, così, a bruciapelo, per giunta stanca dalla falesia. Falesia dove per altro ho anche provato, per curiosità e da due, un 7a che per la prima volta in vita mia ha avuto perfettamente senso dall’inizio alla fine, imbroccando il passo chiave a vista al punto che il socio, un po’ anche stupito e non certo uno che di 7a ne ha chiusi pochi, mi ha detto che dovrei provarlo.

È un periodo nel quale sto scrivendo poco e scalando molto in falesia e anche con una certa voglia di farlo. Ho visitato un po’ di falesie nuove, come Ceredo Alta e Versasio (quest’ultima per altro credo si meriterà un articolo a parte perché è nato un amore, davvero bellissimi i tiri) e sono tornata in alcune già visitate. In realtà qualche tiro me lo sono portato a casa ma sono più i cantieri che ho aperto in tutte le falesie dove sono andata recentemente. Però sono cantieri che non avrei mai nemmeno immaginato. È come se sentissi che tiri che prima erano assolutamente sinonimo di morte sicura, un pochino ora sono possibili, hanno iniziato ad avere senso, quei movimenti che prima mi risultavano talmente impossibili da non riuscire ad impostarli, ora iniziano ad avere un significato. Eppure manca ancora qualcosa, per molti dei tiri che ho in mente manca ancora un piccolo passo, che magari non farò nemmeno quest’inverno e dovrò aspettare ancora, ma sentirli a volte così vicini, averceli in testa, ricordarne i movimenti e le prese, è un viaggio che pian piano, ho imparato a godermi.

E quel qualcosa che manca so perfettamente cos’è: la pazienza. Aspettare che le cose succedano, senza forzarle, è qualcosa per cui non sarò mai abbastanza grata all’arrampicata.

Falesia. FOTO: Enrico Veronese.

L’arrampicata è uno sport lento, lentissimo e che richiede un’immensa caparbietà e capacità di riprovare, è uno sport dove le soddisfazioni stanno alle palate sui denti tipo 1 a 10 e soprattutto è uno sport dove c’è un segreto magico, una pozione incredibile, qualcosa di impensabile: bisogna scalare, tanto e allenarsi, ancora di più. Fine dei segreti. Poi certo, ci sono quelli che nel giro di sei mesi fanno il 6c, io ci ho messo due anni per chiuderne uno. È che per me il 6c è stato come la prima trazione, io so quanto ho dovuto crederci, anche quando avevo smesso di crederci.

Ma di cosa stiamo parlando? In fondo questo altro non è … che uno sport.

 

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