La stesura originale di questo racconto risale alla metà degli anni Novanta, anche se è confluito nel libro La Mangiatrice di uomini del 2011. In questo testo Carlo Crovella affronta il tema della crescita femminile in montagna: la realtà ha compiuto passi da gigante e, sui monti, oggi non c’è quasi più differenza di genere. Ma chi ha attraversato i decenni dai Settanta in poi riconoscerà gli stati d’animo e le situazioni descritte, con la peculiarità che si tratta di uno dei rari testi di narrativa riferiti a discese di sci ripido.
Piccole donne crescono
di Carlo Crovella
(pubblicato in caiuget.it il 23 aprile 2020, il racconto è tratto dal volume La Mangiatrice di uomini, Vivalda Editore, Torino 2011)
Quando il sole lo lambì di striscio, Lolus (come lo chiamavano gli amici, da Carolus) era già salito oltre la metà del canale innevato. Il freddo era ancora pungente, come capita in certe giornate di giugno, più invernali che estive. Si fermò a riprendere fiato, slacciandosi il colletto della giacca a vento. In una mano impugnava la piccozza ed era salito veloce, ramponi ai piedi, lungo il ripido pendio bloccato dal gelo notturno. In spalla uno zaino leggero, gli sci agganciati a capannuccia.
Strano modo di fare sci alpinismo, il suo. Quasi tutto l’inverno senza mettere le pelli, ormai stufo delle tradizionali passeggiate in sci. Poi, quando tutti pensano al mare, ecco che Lolus parte per l’alta montagna. Gli piace l’atmosfera che si respira in questi mesi: vallate semideserte, ghiacciai ancora ammantati di bianco, prati già in fiore.
Ieri ha caricato lo zaino in auto ed è passato a prendere Loredana. Qualche sorriso, un buffetto ed eccoli fuori città.
“Dove facciamo la spesa?”.
“In valle c’è un negozio di alimentari. Ci puoi trovare dalle bustine di tè alle bombolette del camping-gaz”.
La sera li aveva colti ancora sul sentiero, poco lontani dalla neve. C’era giusto il tempo per piantare la tendina in un prato.
“Cucino io, così tu puoi preparare lo zaino per domani”.
Mentre lui riempiva la borraccia al ruscello, lei lo interrogò:
“A che ora parti?”.
“Quattro e mezza. Voglio essere fuori dal canale prima che arrivi il sole”.
Lei sorrise perplessa: “Ma chi te lo fa fare?”.
Era una vecchia polemica e non serviva tirarla fuori proprio allora. Lui impugnò la piccozza, come se dovesse soppesarla: “Dai, vieni anche tu!”.
“Lo sai che la montagna mi fa paura”.
“Non è peggio aspettarmi qui, da sola?”.
“Non riesco a vincere la paura”.
Sorseggiavano la minestra bollente. “Di che cosa hai paura?”.
“Ho paura di cadere, che domande?!? – rise lei. – Non sono abituata a trovarmi in un ripido canale, slegata e appoggiata solo alla mia piccozza…”.
“Ma ci sono io!!!”.
“Che cosa potresti fare, se scivolo?”.
Già, che cosa avrebbe potuto fare, lui? Un’altra sorsata di minestra, sa un po’ meno di dado.
“E’ perché sono una donna. Per decenni ci avete abituate, in montagna, a venirvi dietro. E’ l’ultimo baluardo della vostra virilità”.
“Io vorrei che tu saltassi il gradino!” sbuffò lui.
“Non è immediato. Voi uomini siete abituati a farlo. E poi avete il fisico che vi sostiene di più”. Ammiccò guardando le spalle di Lolus.
“Io ti dò un’opportunità, più di così…”.
“Attento che, quando partiamo, noi donne, voi non ci fermate più!”.
Quando suonò la sveglia in piena notte lei si girò dall’altra parte.
Fuori, freddo intenso. Il ruscelletto a fianco della tenda era tutto ghiacciato. Il caffè gli scaldò lo stomaco.
“Ho freddo, dunque esisto!”.
Sorrise, quelle sono sensazioni che, in genere, non attirano una donna.
E’ difficile spiegare perché vuoi davvero provare cosa significhi essere assetato, stanco, impaurito.
“Forse una donna ha altri meccanismi per capire che esiste…” e pensò al grande specchio in casa di Loredana. Un’ultima fetta di luna illuminava tiepidamente il limitare della neve.
Calzando i ramponi, si scoprì a pensare: “Quando le donne spingeranno sull’acceleratore, noi uomini spariremo del tutto?”.
Salì velocemente, ma non abbastanza da precedere completamente il sole. Una zona di placche ventate lo costrinse a procedere con maggior cautela.
“Lei avrebbe paura, qui?” Non seppe darsi risposta.
Sbucò infine in cresta e la piccozza scintillò al sole di giugno. La pelle del viso gli tirava, ma anche questo è un modo per sentire che esisti.
Giunse velocemente in vetta.
Vetta senza nome, forse anche senza quota sulla carta, ma ciò che gli importava era il canale, solo il canale, ripido e sinuoso.
Come in mille altre occasioni, non c’era altro da fare se non prepararsi alla discesa.
Anche questo non è così evidente, per chi non bazzica le montagne: che l’andare in montagna sia essenzialmente andare in montagna e non raggiungere le vette.
Che le sensazioni si vivono strada facendo, muovendosi nel largo oceano bianco che è la montagna con gli sci.
Sentì la mancanza di Loredana. Se la immaginò, seduta al suo fianco, lì in vetta.
“E se poi diventa più forte di me?”.
Nessuno pensa a un uomo in montagna, nessuno si immagina i suoi pensieri. Desidera che lei cresca per condividere le gite. Eppure teme questa crescita, potrebbe aprire spazi inimmaginabili.
Strinse gli scarponi e si lanciò nel primo diagonale. Le lamine frusciavano mordendo la neve gelata. Un’impressione di vuoto gli attanagliò lo stomaco, quando gli occhi scivolarono verso il basso, giù giù nel canale.
Il corpo rannicchiato per spigolare il più possibile ed era ora di fare la prima curva.
“Ho paura, dunque esisto!”.
Gli occhi ora sono concentrati sulla punta degli sci, a catturare la giusta contropendenza per curvare.
“Lànciati verso l’esterno!” urlò a se stesso e poi catturò di nuovo la neve ghiacciata con le lamine, i pugni avanti per avere il giusto peso sugli sci.
La seconda curva, come sempre accade, fu già meno sconvolgente e poi prese il ritmo.
Scendendo nel canale, la pendenza diminuiva e gli occhi scapparono verso il limitare della neve, a cercare la tenda in mezzo al prato.
Se la immaginò, sdraiata al sole con il libro in mano.
“Domani voglio che venga anche lei” si disse mentre scodinzolava con gli sci negli ultimi fazzoletti di neve, già cotta dal sole.
Quando giunse alla fine della neve, si tolse gli sci, li sbatté delicatamente l’un contro l’altro per pulirli dalla neve, prima di caricarli in spalla.
Dieci minuti e arriverà alla tenda.
Le racconterà della salita, il sole che lo aveva colto in uscita dal canale, e della discesa, quella prima maledetta curva che ti toglie sempre il respiro.
Chiacchiereranno davanti ad una tazza di caffè fumante.
Ma non ci sarà tanto tempo da perdere, perché una nuova sera si starà già presentando.
Lui penserà agli zaini e lei preparerà una nuova minestra.
Un veloce bacio spegnendo la pila.
Poi la sveglia squarcerà il buio profondo della notte.
Prima ancora che lui sia uscito dal sacco a pelo, lei già pronta gli dirà:
“Allora, ti muovi, dormiglione???”.
Piccole donne crescono.