Ci sono tante etologie. Quella di laboratorio e quella di chi si mette in viaggio verso le cime himalayane (o l’arco alpino) per osservare gli animali selvatici, seguendone tracce, impronte, effluvi. La posta in palio è la stessa: conoscere meglio il pianeta e i suoi abitanti. Intervista a Sandro Lovari.
Sandro Lovari, etologo esploratore
di Enrico Alleva
(pubblicato su corriere.it/sette/green il 23 aprile 2022
L‘etologia è materia composita, ci sono tante etologie. La più classica, quella di Konrad Lorenz, osservava oche semidomestiche in giardino, taccole nel sottotetto del castello avito, ma anche polli, anatre, insetti e cinciallegre cadute dal nido. Insomma, era ben lontana da quelle esplorazioni avventurose di cui parla Il leopardo dagli occhi di ghiaccio. Sulle tracce di grandi carnivori e altri animali di Sandro Lovari, che segue un altrettanto affascinante libro di viaggio alla ricerca della capra rupestre (L’enigma delle pecore blu. L’altra faccia della zoologia , Orme editori). Il libro è un dotto e scorrevole diario di viaggio tra leopardi comuni e leopardi delle nevi, qualche lupo, i re nepalesi Gyanendra e Birendra, straordinarie avventure di guide-sherpa, amicizie locali profonde e culturalmente nutrienti, lunghissime marce.
Homo sapiens & animali
Osservazione di tracce, raspate di zampe, feci fumanti ora scure ora chiare, pozzanghere olezzanti di urine carnivore, proprio per questo dall’odore acre che le svela al naso professionale dell’etologo che le sa fiutare e apprezzare. Che si ritrova a sera chiazze cavigliari sanguigne di sanguisughe negli scarponi. Autore anche di Etologia di campagna (Bollati Boringhieri), un testo che ha istruito generazioni di studenti di etologia per le loro tesi e le loro prime ricerche, Lovari è un pozzo di aneddoti, avventure, pubblicazioni etologiche su riviste prestigiose e tuttora molto citate. I confronti tra culture umane diversissime, ma anche e soprattutto tra Homo sapiens e gli animali che scorrono nel testo, sono utilissime per la narrazione, rendendola dilettevole e dandole un sapore di viaggio in una natura tutta esotica ma proprio per questo esplorabile. Con le “borre” di pelo rigurgitato dal predatore, che permettono di analizzare con delicata esattezza la dieta locale delle due specie di leopardi, tra un viaggio a Kathmandu e una passeggiata al parco regionale della Maremma o nei variati ambienti del Bangladesh, inclusi i sapidi contatti con la sfortunatissima etnia dei Rohinga.
Etologia sul campo
La vicenda del leopardo antropofago di Ayuba – che nel gennaio 2015 uccise con un solo morso la piccola Amina, 4 anni – e altri simili disastri animali fanno ribrezzo, ma stimolano utilissime riflessioni sull’antropomorfismo di noi “ricchi” occidentali e sul nostro sciocco turismo di massa. Gli ultimi elefanti e le loro fascinose storie arricchiscono questi copiosi aspetti narrativi. Sandro Lovari racconta un’etologia diversa dalla neuroetologia di chi, come me e il nostro gruppo, lavora anche, o soprattutto, in condizione di laboratorio o seminaturalistiche: un’etologia sul “campo”, e il suo campo di lavoro è stato non solo il Parco nazionale dell’Abruzzo e l’intero arco alpino (dove inseguire ungulati quali camosci, stambecchi o mufloni) ma l’Himalaya e il Canada.
Il tuo “laboratorio selvatico” di Manaslu, attorno all’Everest, a ottomila metri, è ben diverso da un consueto laboratorio di etologia. E il parco Hell’s Gate, “la porta dell’inferno”, in Kenya, nomen omen , è certamente cosa differente da una stanza di laboratorio che si raggiunge in ascensore.
«In realtà non c’è una grande differenza tra ricerca in laboratorio e sul campo. Ti ricordo che io mi sono formato a Madingley, nella molto british Cambridge, mettendo a punto l’etogramma (rilevamento e registrazione delle azioni di un animale di una data specie) della comune tortora domestica, sotto la guida di John Hutchinson, etologo e neuroendocrinologo di stretto laboratorio. Costruire un etogramma di base è la chiave dell’osservazione etologica. In natura le variabili ambientali non sono così controllabili come in laboratorio perché il solo avvicinare un animale selvatico richiede pazienza e abilità originali, e disturbi, rumori, odori improvvisi possono turbare la raccolta del dato. Ma certamente la ricerca sul campo è accompagnata da una salutare gratificazione che in laboratorio è raramente presente. La grande differenza della ricerca sul campo sono le variabili ambientali, che non puoi assolutamente controllare: rumori improvvisi, spifferi di vento che portano odori che allarmano gli animali, temporali o nevicate. Spari di cacciatori. Cani che latrano. Bisogna dunque adattare la propria etologia tecnica e sapere seguire tracce, impronte, effluvi. Per poi arrivare a delle conclusioni scientifiche però altrettanto entusiasmanti e rigorose. Ma sul campo quello che mi ha sempre attirato è quella contemplazione in solitudine, immerso in una natura che si fa scoprire con difficile, ma piacevolissimo sforzo fisico e intellettuale».
Ma questo è un libro di scienza, che racconta ricerche originali importanti. Quali sono?
«Questi miei studi hanno dimostrato che varie specie predatrici di grandi felini si adattano vicendevolmente per meglio sfruttare la catena alimentare rappresentata dalle prede. Questo riguarda l’adattamento reciproco tra leopardi delle nevi e leopardi comuni, e quello più complesso tra leopardi comuni e tigri o lupi».
Questo libro, intriso di una narrazione avvolgente e “saporita”, svela l’anima dei luoghi insieme all’anima degli animali e dell’osservatore etologo?
«Sì, certamente, il mio racconto è intriso dappertutto di queste molteplici sfaccettature. Solo quando sono in montagna, in solitudine, mi sento davvero vivo, ne sono profondamente conscio. Eccolo, un aspetto del mio libro che però ha anche a che fare con la mia scienza».