di Smaranda Chifu
(pubblicato su smarandachifu.com il 25 gennaio 2020)
Ad andare da primi su una via trad o spittata lunga ti giochi un numero non indifferente di vite mentre guardi in alto e dentro pensi che questo slego è più lungo del campo di Holly e Benji. Ecco, basterebbe fermarsi lì, invece no, quando pensi che peggio dei friend precari sui quali ti domandi come diamine ci sei finito appeso non possa andare, scopri che c’è di peggio. Il peggio è andare da primi su ghiaccio.

Andare da primi su ghiaccio è la versione evoluta di molte torture mentali. Andare da primi su ghiaccio, soprattutto le prime volte che lo si fa, è più sfiancante dei pranzi di Natale coi parenti, più angosciante del “è online ma comunque non ti caga”, roba che reagisco con maggiore calma ai miei coetanei che figliano che ad un muretto di acqua congelata. Per farla breve, ti ritrovi all’attacco che sembri RoboCop, più armato di ferro che nelle guerre medievali, hai un peso che la gravità ti sembra quella di Giove (sereni, ho cercato su Google “pianeta con forza di gravità maggiore”), sembra d’andare in guerra. “Sembra”.

Sono le sei del mattino quando superiamo il confine svizzero con Angelo, Pelo e un socio nuovo di Angelo, Andrea. Tutti e tre decisamente più bravi di me, tutti e tre decisamente meno spaventati di me, più esperti, più calmi. Scalerò con Pelo oggi, diventato in poco tempo per me una specie di fratello maggiore, uno di quelli che ci siamo conosciuti davvero quando io ho fatto da prima una placca di V+ e sono svenuta con le Miura. Lui l’ha fatta con le scarpe d’avvicinamento e mi ha detto “ma sei stata brava, da secondo è facile”. Pelo di pelo sullo stomaco ne ha fin troppo, ma quando mi ritrovo le mie corde nel secchiello alla base della cascata 5.2, guardando verso l’alto, tutto sembra più inclinato, più impossibile. I primi tiri su ghiaccio da primi hanno il sapore di guerra sì, tant’è che mi alzo da terra e pianto tre viti in tre metri. Aspetta, i metri sono 40 circa. Nei tiri su ghiaccio c’è questo piccolo dettaglio, che devi proteggerti quando riesci, avere la calma per capire che comunque il tiro è lungo, devi chiodare quando il ghiaccio è buono, per proteggerti devi prendere le viti dall’imbrago, piantarle nel ghiaccio, non farle cadere, avvitarle, rinviarle e comunque è una cacchio di vite nel ghiaccio, improvvisamente i friend precari sembrano solide certezze. Poi sì, te lo dicono che le viti nel ghiaccio tengono x tonnellate, che le prove e i test e il materiale. Sì. Poi ci sono i post scriptum di queste cose.
“Sì, ma il ghiaccio deve essere buono”. Ma tu l’hai visto cinque volte in vita tua e quindi boh, ciao ghiaccio, sei buono?
“Sì, ma con inclinazione a tot gradi.” Il goniometro l’ho lasciato a casa.
“Sì, basta stare tranquilli.” Mi è venuto un crampo alla spalla ad una certa.
Il tutto possibilmente prima che arrivi la primavera e ti sciolga tutta la poesia.

Ho fatto il mio primo tiro così, con quella paura che mi ha fatto mettere una vite ogni metro, ma anche con quella fiamma che è amore che comunque mi ha fatto andare avanti lo stesso, perché a Sertig ci sono cinque cascate una di fianco all’altra, che sono uno spettacolo della natura ma le persone, quando amano più di quanto hanno paura, sono uno spettacolo ancora più bello.
Il Pelo ovviamente quel tiro lo ha fatto esattamente come il famoso V+ di placca, ad occhi chiusi, per poi dirmi “ma sei stata brava”. Sì, non sono morta, in effetti possiamo considerarlo a tutti gli effetti un successo plateale.

Chiaramente quando ci siamo calati le corde si sono infradiciate un po’ e ora posso anche raccontarvi di quanto sia bello rimanere appesi su una sosta (bruttina) a limonarsi il machard per scongelarlo per riuscire a calarsi.
Ci siamo calati e abbiamo fatto anche la 5.4 di fianco, senza il candelone perché era tardi e il mio secondo tiro da prima già è andato meglio, perché come in ogni cosa, la paura pian piano si fa da parte, l’amore poi se esiste, vince.

Purtroppo mi sarebbe tanto piaciuto averla una mia foto su quel tiro ma non è stato possibile. Mi sarebbe piaciuto perché, per quanto mi faccia paura pensarlo ora, so che un giorno, un giorno quel tiro non farà più così tanta paura e mi farà sorridere, come tutte le pelli del serpente e le precedenti versioni di me stessa che mi sono lasciata alle spalle. Come tutte le volte in cui ho avuto più amore che paura, mi ricorderò solo il momento, quello in cui sì, mi sono sentita sola e ho avuto paura, quello in cui un po’ mi sarebbe piaciuto avere qualcuno moralmente vicino. Ma spesso nella vita bisogna accettare di dover camminare soli, avercele di fianco le proprie paure, sfiorarle, lasciarle andare, guardarle da vicino, che sembravano massi enormi e invece che bello scoprire che sono farfalle. Che il mondo è comunque troppo bello per avere paura e non amare.

Sì, magari ci si ritrova a tremare, bestemmiare ma comunque bisogna andare, evolversi, diventare. La paura più grande che ho è di ritrovarmi a fare solo ciò che non mi fa più tremare, vivere di certezze, fare solo ciò che già so che mi riesce fare. Sicuramente non si muore, ma si invecchia male.