Soccorso alpino Piemonte: nel 2022 meno morti ma record di salvataggi

Nel 2022 complessivamente i tecnici SASP sono stati impegnati in 2.122 eventi di soccorso gestiti dalla centrale operativa e 1.310 missioni.

Soccorso alpino Piemonte: nel 2022 meno morti ma record di salvataggi
di Massimo Massenzio
(pubblicato su torino.corriere.it il 16 marzo 2023)

«In montagna bisogna essere prudenti e consapevoli dei rischi che si possono correre».

I tecnici del SASP (Soccorso alpino e speleologico piemontese) lo ripetono da sempre e le statistiche dell’attività svolta nel corso del 2022 lo confermano facendo registrate un record di interventi e di persone soccorse.

Le cadute e i malori sono sempre le principali causi degli incidenti. Complessivamente i tecnici SASP sono stati impegnati in 2.122 eventi di soccorso gestiti dalla centrale operativa e 1.310 missioni.

Fortunatamente il numero dei morti in montagna è diminuito rispetto al picco tragico dello scorso anno, mentre le richieste di aiuto sono state 2122, oltre 100 in più del 2021, arrivando a sfiorare le 2.146 chiamate del 2020.

Un dato che si spiega con il miglioramento delle reti telefoniche, con l’introduzione delle applicazioni per smartphone (tra cui Georesq sviluppata proprio dal soccorso alpino) e con la riapertura completa dei comprensori sciistici. 

Richieste di aiuto e interventi
Non tutte le richieste d’aiuto si traducono in un intervento sul campo e le 1.310 missioni di soccorso testimoniano una sensibile flessione rispetto al 2021 (1.492) che attesta come il 38% delle chiamate siano state gestite e risolte dalla centrale operativa senza la necessità di allertare le squadre di aria o di terra.

Nel 2022, comunque, l’elicottero è intervenuto nell’80% dei casi, soprattutto per gli incidenti sulle piste da sci. 

Record di salvataggi
Nel 2022 le persone soccorse sono state 1596, un record che supera le 1.512 del 2020. Un aumento esponenziale dovuto a una maggiore frequentazione della montagna piemontese. Le drammatiche situazioni di siccità possono aver favorito le opportunità di frequentazione di cime e vette.

Complessivamente i feriti sono stati 1083 (68% dei recuperati), mentre calano del 5% i morti in montagna (75) anche se il numero, resta sempre troppo alto.

Le principali cause di infortunio in quota sono le cadute (48%) seguite dai malori (19%). Gli incidenti riguardano gli uomini nel 76% dei casi e le donne nel 24%.

Infine, il 92% delle persone soccorse praticava attività del tempo libero contro il 6% di residenti in montagna e il 3% di persone infortunate in terreno impervio per lavoro.

«Vorrei ringraziare i quasi 1.200 volontari del servizio regionale che hanno saputo gestire un significativo incremento di interventi – ha commentato il presidente Luca Giaj Arcota – Da oltre 10 anni non si sono più verificati incidenti gravi tra i volontari in operatività. Non è un argomento secondario perché i nostri soccorritori vengono impiegati in condizioni ambientali ad alto rischio Fare un lavoro bene, perché così si deve fare‘ scriveva Cesare Pavese. Questa è la bussola che deve orientare il lavoro di tutti gli organi del nostro servizio».

Il commento
di Carlo
Crovella

Il resoconto statistico del Soccorso Alpino Piemontese conferma l’impressione che l’elevata qualità di un servizio di soccorso agisca come un “pull factor” sin merito all’accesso antropico alle montagne, specie per la categoria di fruitori meno preparati e quindi meno prudenti.

Non sto affatto affermando che essi dicano scientemente “c’è un ottimo soccorso, quindi vado comunque e agisco senza pormi dei limiti, perché tanto l’ottimo soccorso mi viene sempre a tirare fuori da guai”.

Evidentemente scatta un meccanismo inconscio: nessuno si pone il problema di esser sufficientemente preparato, a libello individuale, nel saper affrontare gli inconvenienti. Hanno tutti il giusto materiale nello zaino? Hanno indumenti di riserva, due o tre paia di guanti più berretto pesante, cibo e bevande in più, coperta termica, pila (anche in uscite in giornata) addirittura il famoso fischietto (serve per essere localizzato nella nebbia)? Quanti si portano dietro tutto ciò?

A giudicare dagli zainetti in formato mignon che ormai si vedono in giro, non pare proprio che la gente ragioni in termini di saper/dover affrontare degli imprevisti. Oltre al materiale con sé, occorre saperlo usare. Si sono preparati (sia tecnicamente che emotivamente) a sopportare un bivacco imprevisto? La sensazione è che non ci pensiono neppure (all’ipotesi di un bivacco imprevisto o a qualsiasi altro imprevisto), perché tanto, inconsciamente, sanno che c’è il “grande ombrello” del soccorso alpino. L’articolo stesso lo conferma: le continue migliorie della rete telefonica (e annessi trabiccoli, tipo le app) agiscono anche loro come elemento che spinge sempre più alla sottovalutazione del rischio. Basta comporre il 112/118 o pigiare l’icona dell’app e ti vengono a prendere.

Lascio ai lettori curiosi e diligenti il compito di apprendere di persona i dati forniti dall’articolo.

Due rapidissime considerazioni, in conclusione:

  1. Aumento delle persone soccorse rispetto al 2021, riduzione annua dei decessi (rispetto al picco del 2021, ma nell’ambito di un trend pluriennale in crescita) e ulteriore aumento dei cosiddetti eventi di soccorso (“richieste di aiuto”) su base annua: nel solo Piemonte sono stati 2.122. Se moltiplichiamo tale dato per 20 regioni italiane, il teorico dato nazionale delle ”richieste di aiuto” si pone in area 40.000-45.000.  Tante, poche? A naso sono tantissime (ergo: eccessivo ricorso al servizio, come sostengo io nelle righe soprastanti). In realtà, volendo raffinare l’analisi, occorrerebbe rapportare il dato con il numero aggregato delle uscite individuali annue in montagna, numero quest’ultimo che non esiste proprio (e non è neppure stimabile, quanto meno non con una approssimazione di rilievo). Ciò servirebbe per comprendere se, percentualmente sul totale delle uscite dei praticanti, ci sono più o meno richieste di aiuto. La mia sensazione è che siano sensibilmente aumentate tanto le richieste di aiuto quanto le conseguenti missioni. Oggigiorno quando sono in gita (sia con gli sci che senza), mi capita, ormai quasi sempre, di “sentire” un elicottero. A volte nello stesso vallone, a volte in lontananza. Certo l’elicottero potrebbe essere coinvolto in altre attività (eliski, trasporto materiale, rifornimento rifugi ecc), ma ormai sappiamo che nei week end gli elicotteri che si muovono in montagna sono quasi esclusivamente quelli coinvolti nel soccorso. Più elicotteri in giro significa anche più chiamate al servizio.
  2. L’articolo sottolinea che un certo “triage” delle richieste di aiuto viene effettuato fin dalla prima chiamata telefonica. Questo screma il numero di uscite sul terreno. Tuttavia la cosa non pare sufficiente per contenere la facilità di indirizzare una richiesta al Soccorso. Il fenomeno pare incontrollabile. Considerazione: 2.122 richieste di aiuto meno 1.310 missioni effettive uguale 812 richieste gestite senza far partire la missione. Queste 812 “chiamate” (inutili) sono tantissime: la gente telefona a sproposito! Inoltre quante delle 1.310 missioni erano davvero “necessarie”? Nonostante la professionalità e la buona fede di chi ha risposto al telefono, non si può escludere che alcune richieste siano sfuggite alla semplice analisi telefonica. Io sono convinto che, in casi non evidenti, alla fine si fa partire lo stesso la missione: non farlo potrebbe comportare, ex post, non poche responsabilità giuridiche gravanti sul funzionario. Nel dubbio…
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