Euro Montagna

L’accademico del CAI Euro Montagna è morto a 89 anni il 29 ottobre 2020 per CoViD-19, a Genova.

Euro Montagna
di Fulvio Scotto
(dal suo profilo facebook, 1 novembre 2020)

La maggior parte degli alpinisti delle Alpi sud-occidentali conosce il nome di Euro Montagna perché indissolubilmente legato alle Alpi Liguri e Marittime principalmente per le sue pubblicazioni, le guide dei Monti d’Italia per la collana CAI-TCI.

Euro Montagna in vetta al Mont Blanc du Tacul, dopo la prima ascensione dello sperone nord-est, 12-13 agosto 1965

La sua conoscenza di ogni cima e delle sue pareti, le vie aperte e le ripetizioni, la familiarità con i personaggi dell’alpinismo, la meticolosa esplorazione delle montagne da Genova alle Marittime fatta sul terreno e sui documenti, con il puntiglioso riordino delle relazioni, la documentazione sui protagonisti, sugli episodi del loro agire e sugli aneddoti, tutto ciò fa di Euro Montagna un personaggio unico nel panorama alpinistico sud-occidentale.
Ma i suoi orizzonti non si limitavano certo alle Marittime.

a destra, Rita Corsi ed Euro Montagna
Sperone nord-est del Mont Blanc du Tacul, 1a ascensione

Negli anni giovanili (cioè poco dopo la guerra, perché Euro era nato a Genova il 10 ottobre 1931) aveva esplorato assiduamente l’Appennino Ligure e le Alpi Apuane, per lui le montagne più comode da raggiungere da Genova, tracciandovi numerose vie di scalata di notevole difficoltà. Erano sicuramente ancora tempi duri, di faticosa rinascita.

Rubando le parole scritte dal suo amico Gianni Pàstine, profondo conoscitore anch’egli della storia dell’alpinismo genovese, nel fare riferimento ai mezzi di cui allora poteva disporre, diciamo che: “Euro ha percorso con tenacia grandi itinerari, specie nel Gruppo del Monte Bianco, partendo da un inizio basato su pochissimi mezzi, avendo per maestro nient’altro che la propria passione e volontà”. La determinazione è stata l’elemento catalizzante e fondamentale della sua attività.

Salvatore Gabbe Gargioni ed Euro Montagna (a destra) davanti al vecchio bivacco Varrone

Ridendo, lui stesso mi raccontò che a Genova i suoi amici dicevano di lui: “I mortali nemici di Euro non sono gli eventuali uccisori dei suoi genitori (una delle peggiori cose che potrebbe farti un nemico è ucciderti i genitori), ma, i nemici di Euro, sono i malcapitati che durante una salita non vogliono proseguire per la vetta…”.

Euro deve inoltre essere considerato la memoria storica dell’alpinismo ligure, sia per quanto riguarda le Alpi che per l’Appennino, fino alle Apuane comprese, da un lato, e al Monte Bianco dall’altro.

Euro Montagna sulla Punta Bich, cresta sud dell’Aiguille Noire de Peutérey con Nicola Campora (22 luglio 1963)
Euro Montagna in vetta alla Cima Sud dell’Argentera, 27 giugno 1970. Foto: Renato Boggero.

A lui va il grande merito di aver saputo documentare tutto ciò attraverso un’infinità di scritti, articoli e monografie, primi fra tutti i già citati prestigiosi ed enciclopedici volumi della collana Monti d’Italia. Alpi Liguri con Lorenzo Montaldo nel 1981 e Alpi Marittime, vol. I nel 1984 e Alpi Marittime, vol. II nel 1990, sempre col Montaldo e con Francesco Salesi.

Da sin, Pietro Galleri, Euro Montagna, Gianni Pàstine, Vittorio Pescia, Alessandro Gogna, Stefano Sironi, Salvatore Gabbe Gargioni, Ferruccio Joechler, Giorgio Noli, Nicola Campora, xx, Dunny, yy.
Da sinistra, Monica e Marta Cassin, Graziella Canepa, Euro Montagna, Guido Cassin, Giulio Gamberoni e Salvatore Gabbe Gargioni.
Euro Montagna in vetta alla Cima di Curmaon, cresta est, via Gervasutti, 28 luglio 1968, con Franco Piana

Da ricordare inoltre, in precedenza, nella stessa collana, il volume Alpi Apuane del 1979, coautori Angelo Nerli e Attilio Sabbadini.

Bisogna poi citare anche un altro lavoro, enciclopedico anch’esso: Le origini dell’alpinismo in Liguria, scritto insieme a Giulio Gamberoni, pubblicato nel 2012 e in seconda edizione nel 2017 con la collaborazione di Gianluigi Baraldi.

Tra gli interessi alpinistici di Euro, cioè quelli della sua attività in parete e non solo con la penna, al di là delle Marittime e delle Apuane, ci sono in primo piano il Monte Bianco come già accennato, e poi il Cervino sua prima grande montagna, e anche le Dolomiti.

Tutta questa attività gli valse già dal 1962, all’età di trentuno anni, l’ammissione al Club Alpino Accademico, il CAAI.

Parete nord del Torrione Grande del Castello della Pietra, con Giancarlo Croci, Nicola Campora, Salvatore Gargioni e Gino Musso, dal 16 novembre 1975 al 25 luglio 1976.
Parete nord del Torrione Grande del Castello della Pietra
Euro Montagna sul terzultimo tiro della via SUCAI (più conosciuta come via Vaccari) sulla parete sud-ovest del  monte Nona, Alpi Apuane.

Euro è un incontenibile narratore di storie, riportando nomi date e aneddoti con una lucidità e una incredibile propensione per i dettagli. Basta dargli il “la” e ci ritroviamo travolti da una valanga di ricordi: dall’Argentera alla Maledia, al Marguareis, o dall’Uia di Santa Lucia al Procinto, Pizzo d’Uccello, Pisanino, Dames Anglaises, Drus, Tacul, Campanil Basso in Brenta e scoprire che ha conosciuto Tizio e Caio, che ha bivaccato nei posti più disparati e un’infinità di altre storie di fronte alle quali, nei pomeriggi che ho recentemente trascorso con lui per una lunga intervista, anche l’orologio getta la spugna e va in esaurimento… Io ascolto, e le sue parole, nel racconto dell’infanzia e dei primi approcci, visualizzano nella mia immaginazione fotogrammi, che paiono scorrere in bianco e nero come in un film del neorealismo.

Disegno di Euro Montagna

Mentre nel suo studio parliamo, Euro sfoglia minuscole agendine, più piccole di un pacchetto di sigarette, e sulle quali, anno dopo anno, ha segnato le sue vicende.

Non sono io che lo intervisto, è lui che racconta, inarrestabile. Sì, ma se per ogni anno di attività, per ogni agendina impieghiamo un pomeriggio… questa intervista dura 20 giorni…

Poi tira fuori foto, disegni, schizzi, appunti e un libro che ha stampato in una quarantina di copie, tutte numerate per gli amici e di cui mi ha regalato una copia, la numero 33. Una raccolta di suoi racconti autobiografici già pubblicati negli anni su varie riviste e che, così confezionati, ha intitolato Racconti di alpinismo. E di avventure da raccontare, Euro, ne ha tante.

Disegno di Euro Montagna

Alcuni appunti
Un altro grande amore di Euro Montagna è stato il Corno Stella (alpi Marittime). Lo salì per la prima volta il 16 luglio 1955, per la via De Cessole, con suo cugino Duilio Montagna.

Euro e Gabbe (Salvatore Gargioni) salirono la parete nord del Corno Stella percorrendo la via Rabbi (6a salita) il 15 e 16 settembre 1958 con un bivacco a 50 metri dalla vetta (“Abbiamo mangiato dei fiori per la sete… col risultato di impastarci ben bene la bocca!”, ha raccontato Euro).

Sulla stessa parete nord del Corno Stella, dopo la via Rabbi nel 1958, Euro ha salito anche la via Ellena (10a salita) un anno dopo, il 19 luglio 1959, con Ottavio Bastrenta e Carlo Sabbadini partendo direttamente dalle Terme di Valdieri, ove avevano dormito nella caserma in rovina su un po’ di paglia e con una coperta fornite loro da Italo Alchieri.

Euro Montagna (al centro), Giorgio Noli (a destra)

Quando con Giorgio Noli ha effettuato la traversata della Cresta Savoia da nord a sud, il ritorno è stato a piedi fino al bivio di Entracque per prendere la corriera per andare alla stazione di Cuneo a prendere il treno per Savona e da lì con cambio treno andare poi fino a Genova… questo era sovente il “contorno accessorio” dell’alpinismo ligure in Marittime alla metà degli Anni ‘50…

Il Monte Bianco è stato il grande amore di Euro Montagna. Lo salì per la prima volta il 25 luglio del 1952 facendo la traversata dal rifugio Torino per il Mont Blanc du Tacul e il Mont Maudit con Felice Ridella (con cui il giorno prima aveva scalato il Dente del Gigante) e Giorgio Noli, insieme ad altri due amici (Conti e Mongiardino). Discesa, manco a dirlo, dopo essere tornati al Col du Midi a piedi fino a Chamonix…

Euro Montagna nello studio di casa sua: “Sun segûo che u l’ea scritu chi dréntu (sono sicuro che era scritto proprio qui)”.

Ma è la parete della Brenva che ha affascinato Euro, che sale per l’omonimo sperone il 13 aghosto 1956 con Duilio Montagna per la prima volta, e poi il 24 agosto 1962 per la spettacolare via Major con l’amico savonese Carlo Aureli

Euro ricordava che al Bivacco della Fourche c’era anche Gaston Rébuffat e che al ritorno Toni Gobbi gli regalò un cinturino nuovo per la piccozza. Meglio non indagare in che condizioni fosse il cinturino di Euro…

La Cresta di Peutérey è una spettacolare scala che la natura ha costruito per salire al Monte Bianco. Euro la percorre con l’amico Silvano Massa nel 1958. L’idea era di andare alla Dames Anglaises, ma già che erano lì… “Cosa dici Silvano, già che siamo qua, se facessimo la cresta di Peutérey…?”. Il copione recita: un bivacco in cima all’Aiguille Blanche (senza adeguata attrezzatura ovviamente…). Euro, anche lui in scarponcini leggeri da roccia, che allaccia i ramponi all’amico che li usa per la prima volta in vita sua (!!!). Secondo bivacco al Col de Peutérey in una truna scavata nella neve. Terza notte alla Vallot e… rallentando il ritmo quarta notte al rifugio Gonella. Arrivati a Courmayeur vanno a farsi curare i principi di congelamento dal dottor Bassi. Arriva Cosimo Zappelli: – Avete fatto la Peuterey? Ma vestiti così?… – e diventa una favola metropolitana… Anni dopo quando un amico presenterà Euro a Cichin Ravelli: – Ti presento il mio amico Euro Montagna… che ha fatto la Peuterey in mutande…

“Se per ogni anno di attività, o agendina impieghiamo un pomeriggio… questa intervista durerà 20 giorni…”. “Va ben, vuriâ dî che stemmu ‘n pö ciù insémme“.

Euro salì il 21 e 22 luglio 1963 con Nicola Campora l’Aiguille Noire de Peutérey per la cresta sud, bivaccando sulla Punta Welzenbach, e prendendo anche la pioggia…

Mont Blanc du Tacul: una delle più belle ascensioni di Euro è la prima salita dello sperone nord-est (a sinistra del Couloir Gervasutti). Salita effettuata con Carlo Aureli, Enrico Cavalieri e Stefano Sironi il 12 e 13 agosto 1965.

In Apuane, la sua via più bella è l’inviolato Gran Pilastro Sud-Est della Pania Secca, con Gino Dellacasa il 7 luglio 1963.

Euro mi racconta: – Nella notte andando verso la parete, mi sono mangiato ben tredici pesche che mia moglie Giulia mi aveva nesso nello zaino per il ritorno… Gino sperava che, per gli effetti di quella colazione fossimo costretti a fare un dietro front… invece no (…) Poi però nella parte alta ci siamo beccati un temporalaccio micidiale che ci ha inzuppati come spugne… (ecc…).

Scorribande alpine e… “detti memorabili”
di Gianni Pàstine
(pubblicato su La Pietragrande 2020)

Appennino Ligure: Reopasso, spigolo Questa alla Biurca con lo scrivente, maggio primi anni Sessanta. Scendiamo sul versante Vobbia per terreno non facile. Euro: «Il 5 maggio 1585 messer Agosto Spinola e messer Giovanni de Salvareca precipitarono dalle Rocche del Reopasso e furono portati in sepoltura a Busalla» (dall’archivio parrocchiale di Crocefieschi).
Io: «Tîa ’n pö fêua a còrda perché chi, s’o me vèdde vegnî zu, o præve de Noxæo o no fa ’n ténpo a dâme l’asoluçión sótta condiçión! (tira un po’ fuori la corda perché qui, se mi vede cadere, il prete di Noceto non fa in tempo a darmi l’assoluzione sotto condizione!, NdR)». Mi lega e assicura…

Rocca del Prete, spigolo nord, prima ascensione. È novembre e fa freddo. Manuel Guarnieri, di Chiavari, è in difficoltà: «Tira, tira!» Euro, dall’alto, si rivolge a un amico che li osserva: «Dìgghe a-o Mànoel che s’o dîxe ancón ’na vòtta tira, mòllo tùtto e o va fìnn-a ’n fóndo. Éuggio ch’o dìgghe: recùpera…! (Dì a Manuel che se dice ancora una volta tira mollo tutto e lui va giù fino in fondo. Voglio che dica ‘recupera’!, NdR)».

Gianni Pàstine (al centro) ed Euro Montagna (a destra) in vetta al Pizzo Badile, luglio 1960.

Riva Trigoso, placca triangolare, via centrale. Sono laureato da poco. Passa una barca di pescatori: «V’anæ a çercâ o mâ cómme i mêghi! (vi state andando a cercare il male come i medici!, NdR)». Pronta la risposta di Euro: «O sémmo mêghi! (ma noi lo siamo medici!, NdR)».

Castello della Pietra, parete nord: l’ascensione avviene a più riprese. È davvero dura e occorre anche un notevole uso di mezzi artificiali: l’Oscar della pazienza anche a chi lo assiste in basso.

Alpi Apuane: Pizzo d’Uccello, parete nord, via dei Genovesi: prima ascensione solitaria, in poco più di tre ore. Nel viaggio di andata, sulla automotrice Aulla-Lucca, molti passeggeri si spostano strofinandogli in faccia i crisantemi. Come augurio per una prima solitaria…

Pizzo d’Uccello, parete nord, via Oppio-Colnaghi con Sergio Rinaldi: una cordata davvero d’eccezione. In vetta li attende l’indimenticabile Franco Chiarella: li disseta, scende con loro e li porta a casa con la sua guida “alla Nuvolari”.

Tratto “apuanicamente” infido. Una sosta è davvero precaria. Euro parla italiano: un po’ come Cevasco che parlava italiano solo quando era incazzato. «Soprattutto ti proibisco di volare!» Gino non vola…

Monte Contrario, parete sud, prima invernale, con Ottavio Bastrenta. Fa un freddo terribile. È necessario anche un bivacco. A Resceto siamo ad attenderli nella incombente seconda sera sempre meno ottimisti. Improvvisamente compare Euro, per primo. Lo abbraccio. Poi l’immancabile Franco li riporterà a casa.

Monte Pisanino, parete est, prima invernale con Sergio Rinaldi e Giorgio Piombo. In un primo tentativo una nuvola rossastra avvolge la montagna: «O Pisanìn o ciàmma sàngoe! Nìnte! (Il Monte Pisanino vuole sangue! Niente da fare!, NdR). Tornano con bel tempo. Terreno ostico: neve, roccia calcarea poco solida, un pendio di erba gelata ripidissimo. Cima raggiunta, anche se un sasso lesiona una corda. Le solite Apuane, belle a vedersi…

Corsica: Capo Tafonatu, parete ovest, prima ascensione. Salita difficile, in ambiente severo ma su roccia solida. Anche il compagno, il notissimo pisano Angelo Nerli, è una garanzia.

Euro Montagna (dietro) su una qualche vetta

Alpi Marittime: Colletto Coolidge, Canalone di Lourousa, 3 novembre 1952. Purtroppo, nella discesa al Colle del Chiapous, muore l’amico Ermanno Quaglia.

Corno Stella, spigolo sud-est con Enrico Cavalieri, primi di luglio 1959. Violento temporale che blocca la mia cordata sulla Ovest della Cima Nord dell’Argentera. Quando, dopo un fortunoso bivacco, sono quasi al nevaio di base, vedo non pochi amici che mi vengono incontro, ripartiti da Genova dopo la salita al Corno, fra i quali Euro. Indimenticabile!

Corno Stella, parete nord, via Ellena-Soria. Siamo arrivati a Terme con la macchina di Renzo Conte, con il quale vado al Bozano per salire lo spigolo inferiore del Corno. Euro va con Ottavio e Carlo alla Nord. Scesa la seconda doppia della parete nord-ovest, vedo Euro, ultimo e solo su una sosta espostissima. Mi viene in mente una storia semiseria del primo alpinismo bolzanetese al Castello della Pietra. Dico a Euro: «Dôve ti métti o pê; in sciô giànco ò in sciô néigro? (Dove metti il piede, sul bianco o sul nero?, NdR)» Risposta: «Chi l’é tùtto néigro! (Qui è tutto nero!, NdR)». Nel tardo pomeriggio siamo tutti al Bozano e, a sera, a casa.

Catena delle Guide: traversata con Rita Corsi. Giunto alle cenge del Corno, vede Lucci e Gin armeggiare in maniera poco ortodossa fuori via sulla De Cessole: «Lócci! De lì no gh’é mai pasòu nisciùn! (Lucci, da lì non è mai passato nessuno!, NdR)». Se la cavano e Gin dirà a Lucci: «Quéllo che te doviæ dî ti t’ò-u peu inmaginâ (Quello che dovrei dirti te lo puoi immaginare, NdR)».

Cima Sud dell’Argentera, via Campia: senza storia.

Foto: Ferruccio Joechler

Corno Stella, parete sud-ovest, via Campia: Euro, io, Cavalieri e Bussetti. Salita tutt’altro che facile, con qualche armeggio in più. Se la tira da primo praticamente tutta lui. In vetta lo abbraccio. In discesa, la prima doppia rimane tesa in aria per il vento…

Alpi Cozie: Rocca Castello, Spigolo Castiglioni (sud-est) con Lucci e Gio. Vuol tirarsela tutta da primo, ma, ad un tratto: «Pescia! Són a l’estrêmo! (Pescia, sono al limite!, NdR)», «E mi cöse fàsso? (E io cosa faccio?, NdR)». Tutto si risolve. Il Pathos lo ha sempre affascinato… Farà anche la Castiglioni Ovest.

Gruppo del Monte Bianco: fu qui dove Euro seppe esprimersi al massimo. Fu davvero una partenza in salita. Nonostante il buon livello tecnico raggiunto da non pochi degli amici bolzanetesi, il Bianco incuteva sempre almeno giustificati dubbi. Euro tagliò subito corto con il cugino Duilino, fisicamente idoneo, ma alpinisticamente ancora piuttosto inesperto: puntò subito grosso, con lo Sperone della Brenva e l’Aiguille du Grépon, ma rimediò soltanto due bivacchi nelle rispettive discese. A questo punto si inserì un malaugurato incidente, dovuto ad una manovra tecnica evidentemente errata.

Foto: Ferruccio Joechler

Ma la chirurgia ortopedica era allora (1956) ben lontana dalla efficienza attuale. Solo con un testardo esercizio il nostro riuscì a ricuperare parzialmente la funzione della articolazione del ginocchio sinistro. Agì quasi di nascosto, con un compagno poco conosciuto e, almeno oggettivamente, quasi principiante quale Silvano Massa. A mezzanotte salirono su un accelerato per Torino che fermava in tutte le stazioni. Proseguirono per Aosta, Pré-Saint-Didier e Courmayeur. Quindi subito per la Val Veny e la capanna Gamba, avendo come meta le acute Dames Anglaises, con base al bivacco Craveri. «Se no ti te lêvi fîto i mónti fæti a pónta, quànde t’ê vêgio te pónzan inta schénn-a (Se non ti fai fuori subito i monti fatti a punta poi, quando sei vecchio, quelli ti pungono la schiena, NdR)». Ma alla Gamba trovarono altra atmosfera: Sabbadini, Pinelli, Alletto e altri (che volevano andare sulla Peutérey fino in vetta al Bianco, NdR). «Cosa dici, andiamo anche noi?». Andarono e, prima dell’Aiguille Blanche, li colse il maltempo a notte ormai incombente. Non era il caso di montare attrezzature da bivacco. Euro ebbe il “coraggio” di togliersi la giacca a vento e di stenderla per coprire anche il compagno. Attraversarono la Blanche e scesero al Col de Peuterey. Nuovo bivacco, ma, stavolta, meno disagiato grazie all’igloo costruito da tre tedeschi. Quindi via, al Bianco, facilitati dalla scalinata intagliata abilmente da Carlo Sabbadini. Vallot-Bionassay-Gonella-Miage-La Visaille-Courmayeur, dove diedero sollievo ai piedi comperando al mercato i comodi e termici “scouffoun” valsesiani.

La scena cambia: Torino Porta Nuova, scendo dalla automotrice che ho preso a Châtillon e vedo davanti a me Euro e compagno. Li raggiungo. Euro mi chiede: «Da dove vieni?». Gli rispondo: «Dal Cervino e voi?». Risposta di Euro: «Abbiamo fatto la Peutérey al Bianco». Resto di sasso. Euro ha ripreso a fare ascensioni del genere! E quel compagno chi è? Sul diretto per Genova la conversazione riprende normale sull’argomento preferito. Una donna non giovane ci guarda con tristezza: «Povere vostre mamme!». Già, ma quella di Euro, ad onta di una paralisi che la obbligava su una seggiola, sapeva a memoria «Bionassay-Brouillard-Innominata-Peutérey»…

Foto: Ferruccio Joechler

Euro tornò ancora in vetta al Bianco, giungendovi in uno splendido tramonto per la prestigiosa via Major, in cordata con un compagno davvero degno di lui: l’indimenticabile Carlo Aureli, primo istruttore nazionale di alpinismo e scialpinismo della Liguria.

Ma rimaniamo ancora nel Bianco perché, nell’agosto 1959, Euro capita ad Entrèves, dove mi trovo provvisoriamente alloggiato, e mi propone la normale al Petit Dru. Non è una normale da poco. Andiamo e, dopo una lunga peregrinazione, raggiungiamo il rifugio della Charpoua. Una atmosfera da romanzo di Frison-Roche… Ci riavviamo nella notte e, raggiunta facilmente la “spalla”, attacchiamo le difficoltà così ben descritte nel sopracitato romanzo. Euro va davvero forte. Io mi arrangio abbastanza, forte della sua corda, e ci lasciamo dietro anche due tedeschi che all’ultima difficoltà ci hanno chiesto corda. Ci ricambieranno con la risalita di una doppia recalcitrante. Uomini del Karwendel e delle Pietre Lunghe sulla stessa prestigiosa vetta. La lunga serie di doppie, sempre in sintonia con il celebre romanzo, ci riconduce alla spalla quando ormai è buio. Si bivacca. Le poche razioni energetiche sono rigorosamente razionate. Infilo il mio primo duvet Moncler e prendo sonno. È quasi mezzanotte quando Euro mi sveglia: «Ti sæ che a st’ôa chi un o l’intra inte ’n òstàia e o ghe dîxe: mêzo lîtro. Ghò-u dàn, ghò-u dàn in sciô sério (Sai che a quest’ora uno entra in un’osteria e chiede un mezzo litro. Glielo danno, glielo danno davvero, NdR)». Oramai contiamo le ore che scorrono con inesorabile lentezza. Albeggia. Euro va a risistemare le corde per la discesa, slegato e senza scarpe. Un banale richiamo alla prudenza sarebbe inutile, una citazione storica colpirebbe nel segno. Ho davanti a me la Nord delle Jorasses: «Stai attento, Haringer! (si riferisce alla disgrazia di Peter Haringer, caduto nel tentativo di prima ascensione allo Sperone Croz mentre, dopo un bivacco, si allontanava di poco ma senza scarpe dal luogo del bivacco, NdR)». «T’æ dîto? (Cosa hai detto?, NdR)» Ripeto. Si mette le scarpe e si lega. L’avventura volge alla fine.

In vetta al Petit Dru (a sinistra Euro Montagna e a destra Gianni Pàstine)

Nel Bianco compì ancora una notevole impresa su uno sperone del Tacul, di fianco al canale Gervasutti. L’immancabile bivacco ebbe stavolta solo un aspetto comico causa una attrezzatura finalmente idonea. Euro non voleva rinunciare ai classici preparativi ma «quéllo diâo de ’n Sironi o ronfâva za…! (quel diavolo di Stefano Sironi ronfava già…!, NdR)».

Non mancarono ovviamente frequentazioni ad altri gruppi montuosi. Non poté mancare ovviamente il Cervino, come pure una prestigiosa Nord del Lyskamm Orientale, in un anno dalle condizioni glaciali particolarmente favorevoli. Non mancò neppure una Corna di Medale, dai risvolti comici che cominciarono già all’uscita del casello di Binasco. L’auto guidata da Lucci aveva la prima vicino alla retromarcia, costringendolo ad armeggiare in modo poco ortodosso. Il casellante sbottò: «Veh! Per parti se mett la prima». Pronto Lucci: «Senta lei, scemo del belino, lo sa che lei c’entra come l’acqua nel vino..?». Ripartì. Sulla Corna Euro e Piergiorgio uscirono prima che facesse notte, mentre Gianluigi e Lucci diedero fuoco a un albero per scaldarsi. Santi bricchetti (fiammiferi, NdR)!

Nelle Dolomiti avvicinò il gruppo del Brenta con due ascensioni al Campanile Basso, variante finale Pooli-Trenti, e lungo la via Fehrmann in condizioni meteorologiche tutt’altro che ideali causa di un pittoresco alterco dialettale fra Euro e Gino che, per l’occasione, sfoderò le più colorite espressioni in uso in porto dove era anche una autorità. Lucci, presente, commentava: «Eppure sono amici!».

Con l’indimenticabile Guido Rossa scalò la Dibona al Croz dell’Altissimo. Per una tale cordata era ordinaria amministrazione.

Foto: Ferruccio Joechler

Voglio terminare con il ricordo più bello. Nel luglio 1960 partimmo da Genova con la mia seicento (la prima auto personale): Serravalle-Milano-Como-Chiavenna, dove lasciammo l’auto. Ci facemmo trasportare in breve a Promontogno, dove trovammo un fienile dalla paglia morbida davvero svizzera. L’indomani salimmo alla capanna Sasc Furä, dove sostammo e pernottammo. Euro era ansiosamente concentrato. Si muoveva come un pugile in allenamento, ripetendo «Són ansciôso de picâme co-o Pìsso Badîle! (Sono ansioso di lottare con il Pizzo Badile!, NdR)». E raddoppiava i pugni in aria. La salita, magistralmente condotta, non ebbe praticamente storia. Solo in un tratto saliva troppo dritto e una guida svizzera lo ammonì: «No lì, sesto crado!» Euro si gira serio: «Schêua de Baiardétta e de Prîa Grànde! (siamo della scuola della Bajardetta e della Pietragrande, le palestre di roccia più frequentate a quel tempo, NdR)». «Ah bene, bene!» «Ti véddi, o a conósce ànche lê! (Vedi, la conosce anche lui!, NdR)» Toccata una vetta tanto storica, scendemmo a pernottare al Gianetti. Il giorno dopo il ritorno fu laborioso: Ardenno-Colico-Chiavenna-Como-Milano. Poco dopo aver attraversato il Po, ci comparvero i nostri famigliari monti: «I gigànti! O Tóggio e o Fìgne, o Tacón e o Lêco (Ecco i giganti! Il Monte Tobbio, il Monte delle Figne, il Taccone e il Lecco, NdR)». Per tradizione lasciammo l’autostrada e varcammo i Giovi: Mignanego-Pontedecimo-San Quirico-Serro-Morigallo-Via Bolzaneto 13. Tutti gli amici di Bolzaneto, senza essere stati avvertiti, erano lì ad aspettarci con il padre di Euro che mi domandò subito: «Alôa, gh’êa do quàrto? (Allora, ce n’era di quarto grado?, NdR)» Era salito sì e no alla Madonna della Guardia, ma era debitamente catechizzato anche lui… Addio Euro, vorrei dire arrivederci nemmeno troppo tardi.

Nomi e persone citati nell’articolo: Carlo (Sabbadini), Gianluigi (Vaccari), Gin (Solari), Gino (Dellacasa), Gio (Giorgio Noli), Lucci (Vittorio Pescia), Ottavio (Bastrenta), Piergiorgio (Ravajoni).

Si ringrazia il Prof. Franco Bampi, Presidente dell’associazione culturale genovese “A Compagna”, per aver controllato che la trascrizione del genovese fosse corretta.

Il libretto edito dal CAI Sezione di Bolzaneto per commemorare Euro Montagna

Per Euro Montagna
di Salvatore Gabbe Gargioni

Ho pensato e scritto queste poche parole con frequenti interruzioni perché alla fine di ogni frase o periodo realizzavo che rappresentavano un epilogo. Ma con fatica ho proseguito per me stesso, per la Famiglia e per la Sezione del Club Alpino Italiano di Bolzaneto, per parlarvi del nostro amico Euro Montagna.

Non è la prima volta che scrivo di Euro, che ne parlo in qualche articolo o che lo cito in una conferenza, è stata una consuetudine che si è protratta per decenni, ma oggi, se scrivessi con la penna incespicherei ad ogni sillaba, per l’emozione. Il pc mi aiuta. Durante questi giorni, tra cento telefonate e cento messaggi, abbiamo avuto la misura di quanto Euro Montagna fosse conosciuto ed amato per quanto ha saputo dare a tutto il mondo della montagna e non solo.

Euro era un uomo dal “multiforme ingegno” che ha saputo essere un marito e un padre ammirevole come la famiglia ci ha testimoniato, e un amico di tutti noi e di molti altri. Non possiamo ricordare, oggi, tutta la sua attività alpinistica che lo ha portato al Club Alpino Accademico e alla nomina di Istruttore Nazionale di Alpinismo. E, nel corso degli anni a scrivere, oltre a cento articoli di montagna, guide alpinistiche che spaziano dalle palestre di arrampicata liguri, alle Apuane, alle Liguri, alle Marittime, all’Appennino Ligure, ecc., alla redazione di riviste per il CAI di Bolzaneto e per la Ligure. E a far parte della Commissione per la Guida dei Monti d’Italia e, come storico in possesso di un archivio mentale infinito, per la realizzazione di un volume sulla storia dell’alpinismo ligure.

A sinistra, Enrico Bornia sul traverso del Pizzo delle Saette, prima ascensione 1957; al centro, Campora, Dellacasa e Bordo (Bunni) sul Pizzo delle Saette, 1960; a destra, Vittorio Pescia e Salvatore Gargioni in vetta al Monte Pisanino (Alpi Apuane), dopo la salita della Cresta della Mirandola, 1958.

E noi di Bolzaneto sappiamo che è stato capace, con altri soci che purtroppo lo hanno preceduto nell’ultima ascensione, di vivificare l’alpinismo in un contesto provinciale e povero – siamo nei primi anni ’50 – dove era difficile alzare lo sguardo per ammirare le montagne. Ed alcuni anni dopo, ormai affermato, affabulatore come pochi, è riuscito a “sdoganare” con i suoi racconti, per niente fantastici, l’Alpinismo anche in questo ambiente.

Permettete una nota personale: stavo per dire “ci sentiamo spesso”, no, non ci sentiremo più. Mi mancheranno tutte quelle telefonate e quelle visite che ci permettevano di disquisire di un articolo, una quota errata, una foto stampata al contrario su una rivista, il ricordo di un episodio, o la data di un’ascensione. Era un correttore di bozze degno della redazione di un’enciclopedia.

E poi sapevo che se le sue guide descrivevano tutti i versanti, le pareti o le creste di una montagna importante, potevo trovarvi una relazione simile per tutti i sentieri che portano sulla cima della più umile vetta dell’Appennino. Anche perché li aveva percorsi tutti per redigere la Guida. E spesso assieme a sua moglie Giulia. Ciao Euro, so già, quando ci rivedremo, dove trovarti: sul tuo immenso ed amatissimo Monte Bianco.

Euro sulla Torre Castello (Alpi Cozie)

6 Ottobre 2021
di Salvatore Gabbe Gargioni

Genova Palazzo Ducale, Sala del Maggior Consiglio.

Buona sera. Un ringraziamento a tutti i presenti, e a coloro che non hanno potuto intervenire a questa riunione di amici che vogliono ricordare il nostro Euro Montagna. Delle sue salite e della sua attività troverete testimonianza nella pubblicazione della Manifestazione e nel racconto per immagini che vedremo assieme.

Voglio ringraziare, se fosse sufficiente, il nostro giovanissimo Gino Dellacasa che malgrado i suoi cinquant’anni lavora come un trentenne e grazie al suo entusiasmo, alla sua dedizione ci ha portati questa sera in questa prestigiosa Sala, onusta di Gloria e di Storia.

Molti anni fa, unità di misura temporale che mi è ormai abituale, ad un pranzo Sociale della nostra Sezione, quando usualmente si consegnano le Aquile d’Oro per i 25 o 50 anni di iscrizione al CAI, premiammo tre Soci: Euro Montagna – Giorgio Noli – Aldo Timossi. Giovanissimi, avevano rinverdito la vita associativa interrotta dal Regime e dalla guerra con l’approccio ad un alpinismo di qualità stimolando la frequentazione e la passione per la montagna. Per ringraziarli li accomunai in una sorta di elogio con un’affermazione: “Se tutte le Sezioni del CAI avessero tre Soci come voi potrebbero evitare l’onore e l’onere dei Corsi e delle Scuole di Alpinismo. A Bolzaneto è accaduto!”.

Ma prima di quell’omaggio ai nostri amici, rivedendo e risentendo quanto raccontavano delle loro prime avventure, avevo formulato un’ipotesi, forse fantasiosa ma suggestiva: a Bolzaneto si era ripetuto in sedicesimo la Storia dell’Alpinismo, dalle origini alle grandi salite. Analisi “storica” che, nel tempo e partecipandovi, ho verificato registrando discussioni, tensioni, entusiasmi, ecc. come in qualunque vicenda che si svolge ed evolve. Ma vediamo se colsi nel segno!

I “tre ragazzacci” che si erano dati un nome “I Piri” e così si firmavano sulle rocce o sui manufatti incontrati, provenivano dallo Scautismo. Ben presto iniziarono a salire tutte le cime dell’Appennino Genovese e poi Ligure, compiendo memorabili “concatenamenti”, ore di cammino e… vette conquistate. Ed almeno per Euro e Aldo, tutto regolarmente annotato sulle mitiche “agendine giorno per giorno”! Testimonianza di una frequentazione, una dedizione ed attenzione particolari.

A proposito di soprannomi, il mio Gabbe è un’invenzione dei tre appena nominati che storpiando e tagliando il nome dell’officina di mio padre “GABEFRIGOR”, che conteneva le iniziali sue e del socio, hanno iniziato a chiamarmi Frigor e infine “GABBE”. Sono affezionato a quel nome: mi sembra di ascoltare la loro voce quando mi chiamano così! Si riaprono improvvisamente i ricordi.

Infine scoprirono la Pietra Grande, l’insolito prisma alto c. 15m, di diabase, nascosto in una valletta incassata e… da trovare. E per salire sulla “Cima” cioè “sopra”! passano subito “all’artificiale”: pezzo di barramine ed una cinghia trapezoidale per chiodo e staffa! La corda di un materiale che non si poteva maneggiare tanto pungente. Era “a corda d’öo” presente in Sede. Poi un amico vuole insegnare la tecnica di discesa a corda doppia. I tentativi autarchici sarebbero da descrivere.

Tutti alla “Grande” per le prove, ma: solo chi sale può discendere! L’amico viene… “accompagnato sopra” e quindi, finalmente imparano scendere in doppia. Di seguito la scoperta dell’arrampicata passa per le Rocce del Reopasso e per il Castello della Pietra ed infine le grandi “Montagne Nevose”: l’Aiona d’inverno dove si arrangiano a scavare qualche scalino persino con un coltello ed un cucchiaio. Una foto ne è testimone.

A sinistra, Euro al bivacco Alberico e Borgna alla Fourche della Brenva; a destra, Euro sull’Aiguille du Pian, 1955.

Ed infine le esplorazioni di tutte le cime rocciose dell’Appennino che verranno in seguito descritte nella prima Guida redatta da Euro: Palestre di arrampicamento Genovesi.

Ma Euro inizia a guardare lontano, trascina tutti alle montagne più vicine: le Alpi Marittime dove ripetono le “Grand Courses” dell’Appennino. Ed infine il primo sguardo al Corno Stella.

D’ora in poi Euro ha mire più alte: Cervino, che tenta con un amico, per riuscirvi dopo due tentativi falliti per le condizioni. Ed infine il “Bianco” per vie diverse e salendo molte delle sue “Aiguilles”, famose: Grépon. Requin, ecc. Il curriculum nella pubblicazione è esauriente: 222 salite, di alto o altissimo livello, 60 prime ascensioni!

Di questo nostro amico, uomo capace di assumere la statura di un Personaggio partendo, come si dice “darwinianamente” dal basso, è necessario evidenziare non solo la forza di volontà, che sprizzava ed emanava evidente da ogni gesto o da ogni affermazione ma la determinazione nella scelta della Montagna o della Salita. E come rispose Mallory, su richiesta del “desiderio di salire” arduo e pericoloso sull’Everest rispose: “«Because it’s there» (“Perché è là”), sublime sintesi fra humor britannico e motivazioni personali. “Perché è la” anche per Euro, e la risposta valeva anche per il Monte Piricicchio, come diceva ridendo Luciano Pescia.

Ma Euro, forse senza saperlo era un affabulatore: a Bolzaneto, volentieri raccontava le sue imprese alpinistiche. Erano avventure che Euro arricchiva di personaggi e nomi esotici per i più: Burgener, Lammer, Heckmair ,ecc., tanto che ci apostrofavano amichevolmente, quando ci vedevamo “Bukemecher”! Nome inventato ma che aveva un significato: Euro aveva, per l’ambiente di quel tempo “sdoganato” l’Alpinismo!

Voglio ricordare un gesto ripetuto, e osservato, cento volte, sulle “Sue” Palestre Liguri o sulle Apuane, dove era facile essere disturbati da arbusti o erbacce dove, seppur in posizione precaria, si soffermava a spezzare o piegare quelle intrusioni, che l’indimenticabile Gianni Calcagno definiva l’essenza del “Il quarto vegeto minerale”, o in altre occasioni spostando sassi in bilico senza farli precipitare, incastrarli in fessure o posarli su una sporgenza. Per apprezzare questa “Precisione” che lo possedeva a fronte di qualunque intrapresa, gli amici ricordano le sue famose agendine su cui annotava tutti gli avvenimenti del giorno, il nome dei partecipanti, ecc. E a seguire le Guide scritte di cui trovate l’immagine delle copertine e la capacità, non sempre condivisa, di interpretare la figura del perfetto Correttore di Bozze. Avrebbe potuto lavorare per qualunque casa Editrice. Per tutto questo mi ha ricordato la “precisione” delle Lezioni americane di Italo Calvino.

Ricordo infine una passione, che forse racchiude metaforicamente l’alpinismo, per le guglie, i pinnacoli, le vette acuminate che un carissimo amico per scherzo chiamava i “pigneu do Euro”. Ne aveva trovato e salito… “millanta che tutta notte canta”. Come chioserebbe il mio carissimo Gioan Brera fu Carlo.

Il mio maestro
di Alessandro Gogna

Quando la perdita di un amico mi scuote, quando provo quel dolore che s’insinua nel mio essere presente a me stesso, feroce e subdolo in ogni momento della giornata, la sola immagine che mi rasserena e mi ridà speranza è quella dello scoglio che, esposto alla carezza delle onde ma anche alle mareggiate più violente, si ritrova coperto da una piccola colonia di cozze che gli garantiscono quella vita di cui il minerale di per sé non dispone.

Ma quando questa perdita investe la scomparsa di un Maestro, l’immagine dei mitili che resistono non è più sufficiente a dileguare la sensazione che al posto dei flutti ci sia una gigantesca piovra, un essere alieno e contrario alla nostra vita.

L’ulteriore e nuova possibilità di morire che da un anno ci è stata imposta senza alcun riguardo dal coronavirus ci ha portato via, tra i tanti altri, il nostro Euro Montagna, che per me, più che un amico, era un vero Maestro.

Euro (al centro) in vetta al Monviso, 1948

Se penso a lui, mi ritrovo con i miei primi ricordi, quando avevo tutta la vita davanti ed ero assetato che qualcuno m’insegnasse le cose che volevo sapere. Ero pronto al rispetto dell’esperienza altrui, disposto a soffrire un cammino di apprendimento. Appena iscritto al CAI, nel giugno 1960, con tanto di presenza e firma materna, avevo notato la bellezza della biblioteca nella sede di via SS. Giacomo e Filippo, a Genova. I libri erano disposti in ordine negli scaffali, adeguatamente protetti da spesse ante a vetri. Sul dorso di ciascuno di loro aderiva un’etichetta di catalogazione, compilata con amore e simpatica pignoleria dal bibliotecario, sig. Barabino, che di nome mi sembra si chiamasse Bruno. Era un pomeriggio piuttosto afoso, nella sede sociale c’erano soltanto la gentilissima e bellissima segretaria Maria Antonietta Porfirione (prima stanza a destra dopo aver salito le scale) e il compassato sig. Barabino (seconda o terza stanza del corridoio di destra) seduto compostamente dietro al grande tavolo di lettura della biblioteca, con una giacca a quadrettoni chiari e la cravatta d’ordinanza per qualunque pensionato di allora.

Ma ci volle ancora un po’ di tempo prima che osassi entrare nella sacralità di quella stanza luminosa. Nel mentre avevo continuato le mie solitarie escursioni estive in montagna, iniziate in Valsugana e continuate poi in Val di Fassa. Avevo trascinato mia madre in vetta al Piz Boè, ero riuscito ad accodarmi a una numerosa comitiva che saliva alla Marmolada per la via ferrata, avevo iniziato a scalare le frane di terra rossa che circondavano la mia abitazione di vacanza a Zester di Soraga. E nei primi mesi del 1962 avevo iniziato a conoscere i monti erbosi attorno a Genova, sui quali scorrazzavo il più spesso da solo, partendo da casa con autobus e tram. Ero in seconda liceo scientifico, un po’ meno bambino: la montagna m’incuriosiva non solo per le escursioni ma anche per la sua storia. La magica parola “alpinismo” mi aveva afferrato ed esigeva che me ne occupassi.

Un giorno trovai il coraggio di affrontare l’asciutta figura del sig. Barabino e, dopo averlo salutato, gli chiesi se mi poteva consigliare “un libro di montagna”. Avevo notato che aveva risposto solo con un cenno al mio “buongiorno”: ma non ci avevo badato più di tanto. Lo vidi scrivere qualcosa su un foglietto con una calligrafia minuta. Poi me lo consegnò, facendomi capire con semplice gesto d’essere sordo-muto. Sul pezzo di carta mi pregava di scrivergli la domanda. La vergai veloce, lui la lesse e finalmente si aprì a un bel sorriso. Con aria di intenditore e di chi sta per dare un buon consiglio, si voltò, aprì la libreria e ne estrasse un volume. Era Sette anni nel Tibet di Heinrich Harrer. Espletate le pratiche per il prestito, me lo portai a casa. Nei classici quindici giorni di tempo prima della restituzione, lo divorai. Quel mondo mi affascinava, appresi che Harrer era uno dei primi quattro salitori dell’Eiger, ma allora non sapevo cosa fosse questo Eiger. Sul Tibet e sul Dalai Lama avevo qualche vaga nozione scolastica. Quella lettura mi piacque ancora di più che i libri di Emilio Salgari o di Jules Verne, che sapevo quasi a memoria: però provavo, in fondo, una piccola delusione. Nel libro c’era tanta avventura, ma nessuna sulle grandi cime. Era ormai aprile quando tornai dal Barabino. Ma questa volta gli porsi una richiesta molto precisa. Gli scrissi: “Grazie, sig. Barabino. Questo libro è davvero bellissimo. Però ora, per favore, mi dia qualcosa di alpinismo”.

Sulla vetta italiana del Cervino, 1951

E fu così che mi ritrovai in mano un volumetto, Palestre di arrampicamento genovesi. L’autore era un certo Euro Montagna. Le 182 pagine erano fitte di informazioni, corredate da schizzi e foto, e descrivevano le vie di arrampicata su roccia possibili nella provincia di Genova. Notai anche che, pur essendo noi nel 1962, la data di edizione riportata nel frontespizio era 1963. Non sapevo allora che nel 1963 il CAI avrebbe festeggiato il suo centenario e dunque si voleva inserire anche quell’opera nell’insieme delle manifestazioni e delle iniziative… Quel libretto, del quale neppure avrei immaginato l’esistenza, era esattamente ciò di cui sentivo il bisogno. Nei quindici giorni a mia disposizione non lo lessi soltanto, lo copiai integralmente a penna su un quaderno. Anzi, quindici giorni non mi bastarono (avevo anche da studiare…), perciò chiesi al Barabino la dilazione di un’altra settimana. Ancora oggi, nella mia biblioteca, conservo gelosamente, oltre alla copia stampata che mi procurai in seguito, anche il grosso quaderno dove avevo trascritto ogni parola. Con la fine della scuola iniziai le mie peregrinazioni sulle rocce descritte così bene da Euro. Fu con quel testo che affrontai la salita solitaria della Pria Meüia. Il timore che provavo su quella roccia esposta e verticale m’insegnò cosa volesse esattamente dire la parola III grado, che poi in seguito divenne IV e anche V, nelle loro varianti “inferiore” e “superiore”. Nel 1963, con l’amico Alberto Martinelli, affrontai anche il VI e l’artificiale.

Quella guida fu dunque per me una specie di bibbia, della quale non osavo mettere in dubbio nulla, neppure le bizzarre graduazioni che Euro aveva dato a certe vie sulla puddinga del Castello della Pietra e delle Rocche del Reopasso. La figurazione astratta che ho dei gradi di difficoltà su roccia ancora oggi è basata sui primi esempi che ne ho avuti, cioè quelli di Euro Montagna. Da lui ho imparato il senso della misura, dell’amore apparentemente distaccato, della passione che naviga nel profondo, senza grandi manifestazioni esteriori. Lo stile asciutto, senza aggettivi inutili, l’ho appreso più dalla guida di Euro che non dall’insegnamento, peraltro ottimo, del mio professore di lettere Antonio Mor.

Solo due anni dopo ebbi in primavera il permesso di frequentare il Corso di Alpinismo della Sezione Ligure del CAI. Già avevo acquistato e usavo di nascosto corda, chiodi e moschettoni: materiale che alla sera, quando tornavo, lasciavo al gentile proprietario dell’edicola all’angolo tra via Casaregis e via Carlo Barabino, in modo da poterlo recuperare il giorno dopo e nasconderlo in camera mia senza che nessuno mi vedesse. Con il corso diventò tutto più facile: imparavo cose importanti su tecnica e sicurezza, ma anche conoscevo nuovi amici e quindi, andando in compagnia, riducevo la mia possibilità di durare poco.

Euro Montagna (a sinistra) e Giorgio Noli sulla vetta del Monte Bianco, 1952.

La prima volta che vidi Euro Montagna di persona fu in occasione di una sua lezione di storia dell’alpinismo. Finalmente lo vedevo, tarchiato e burbero ma qualche volta sorridente. Ascoltai le sue parole come un discepolo: avrei potuto, dopo, trascrivere fedelmente ciò che avevo udito, proprio come avevano fatto Luca, Giovanni, Matteo e Marco, comprensivo delle annotazioni in genovese schietto che ogni tanto punteggiavano il suo eloquio, colorandolo in modo indelebile.

Purtroppo Euro non frequentava tanto la sede della Sezione Ligure, lui abitava a Bolzaneto, quindi era di casa nell’omonima sottosezione. Lo incontrai ancora alle uscite pratiche di marzo e aprile 1964, ma la quantità di allievi e di istruttori, unitamente ai rigidi programmi di chi sarebbe andato con chi, m’impedirono anche solo di avvicinarlo.

Dovetti attendere il 28 maggio per potermi finalmente legare in cordata con lui. Ero stato destinato alla salita del Canalone Freshfield tra la catena della Madre di Dio e l’Argentera, con lui era anche l’aiuto-istruttore Vincenzo Bruzzone. Allievi eravamo in quattro, l’amico e mio coetaneo Bernardo De Bernardinis, Lorenzo Morchio, la mitica e bellissima Franca Simondi ed io. Per tutta la marcia di avvicinamento, nella neve dal Gias delle Mosche fino alla base del canalone, non mollai per un secondo il mio Maestro. Gli stavo alle calcagna tempestandolo di domande e facendo di tutto per farmi notare. Gli raccontavo di come stessi cercando di ripetere gli itinerari che lui così bene aveva descritto nella guida, omettendo soltanto il piccolo particolare che spesso li salivo da solo… Gli chiedevo delle sue più belle salite in montagna, di cosa significasse per lui essere Accademico del CAI. Le sue risposte furono gentili ed esaurienti, ricche di annotazioni sagge: ancora oggi costituiscono buona parte del mio bagaglio di esperienza, poca o tanta che sia. Sono gonfio di gratitudine e lo sono da allora. Che gli fossi simpatico lo dimostrò acconsentendo alla mia timida richiesta di battere per un po’ la pista: in effetti si sfondava una quindicina di centimetri, talvolta anche di più. E allora non si usavano i bastoncini. In testa a quella fila di sei alpinisti mi sentivo di toccare il cielo con un dito! Con quei precedenti, alla base del canalone non mi fu difficile, nello stabilire le due cordate, essere scelto e avere l’onore d’essere legato a lui.

In seguito le occasioni di fare cordata furono assai rare. In compenso i comuni amici Gianni Pàstine e Vittorio Pescia mi raccontavano innumerevoli episodi, assai divertenti, sul modo di andare in montagna di Euro, sulla sua forza di volontà, sulla sua tenacia, sulla mania di registrare tutto sui suoi taccuini. Ancora oggi, con i miei amici, quando sto per attaccare qualche tratto roccioso, spesso esclamo in buon genovese “Sun ansciôzo de picàme”, una frase che Euro pronunciava spesso proprio nel momento in cui stava per affrontare una difficoltà. Non trovate decisamente umoristico questo “desiderio di picchiarsi”, quindi di lotta corpo a corpo col monte? Per me è esilarante e mi ricorderà per sempre l’uomo che aveva saputo coniugare il fair play con la sua più genuina genovesità.

Ho seguito Euro Montagna in tutta la sua attività alpinistica, la sua ricerca di prime ascensioni e di prime invernali quasi eroiche (una per tutte quella sulla Sud-ovest del Monte Contrario, in Apuane, con Ottavio Bastrenta). L’ho seguito poi quando con infinita pazienza ha collaborato alla stesura di due volumi inseriti nella grandiosa collana dei Monti d’Italia, Alpi Apuane con Angelo Nerli e Attilio Sabbadini (1979) e Alpi Liguri con Lorenzo Montaldo (1981), seguiti poi dagli ancora più impegnativi due volumi di Alpi Marittime (1984 e 1990), assistito dall’amico Montaldo e da Francesco Salesi. Trovando in tutto ciò anche il tempo di pubblicare (assieme a Sabbadini) la guida escursionistica dell’Appennino Ligure (1974) e di concludere nel 2012 il suo percorso di scrittore con una ciclopica storia parziale dell’alpinismo genovese, Le origini dell’alpinismo in Liguria, assieme all’amico Giulio Gamberoni.

Sull’Aiguille du Grépon, 1955

E’ superfluo annotare che non si possono scrivere guide o libri di storia di quella portata in ambito local-regionale se non si posseggono vaste e solide basi di cultura alpinistica generale. Euro aveva non solo letto quasi tutto il leggibile, aveva anche una memoria eccezionale e una capacità di archiviare i dati che non riteneva dovessero necessariamente essere disponibili negli spazi della sua mente. Poteva consultare i suoi sterminati appunti con rapidità e precisione, perché li aveva organizzati in veri e propri cataloghi. E questi erano stati da lui costruiti nel tempo senza ovviamente l’ausilio degli odierni strumenti digitali. L’incazzatura di non trovare magari qualcosa al primo colpo era tenuta a bada dalla sua tenacia e dall’incrollabile fede che alla fine il suo sistema mnemonico avrebbe vinto.

Uno degli ultimi ricordi che ho di lui è di una dicembrina e frugale cena con mia moglie Guya e con l’amico Gabbe Gargioni, in una rumorosa e affollata osteria di Pontedecimo.

Ma, se oggi lo penso, e quando riesco a scacciare l’immagine della piovra, me lo vedo in una sala del Palazzo Ducale in centro a Genova, in occasione di un’assemblea nazionale del CAAI di qualche anno fa. Quel pomeriggio dovevo presentare i vari oratori, ma anche tenni una mia personale relazione. Vedevo la figura di Euro, purtroppo non più prestante come un tempo: in prima fila ascoltava tutti con la medesima attenzione, ben lungi dalla tendenza ad appisolarsi di cui uomini della sua età spesso soffrono (talvolta me compreso). E quando parlai io, era lui che guardavo. C’è sempre qualcuno tra il pubblico che il conferenziere predilige, non si può far cadere lo sguardo nel vuoto. Occorre appoggiarsi, trovare il calore di chi si crede capisca a fondo ciò che diciamo. E così, a dispetto delle sue rughe e dei capelli bianchi, vedevo in quel volto anziano lo stesso rapimento che avevo vissuto io quella sera di tanti, tanti anni prima, quando ascoltavo la sua meravigliosa lezione di storia dell’alpinismo.

Il Pilastro
di Luigi Gino Dellacasa

Sto sfogliando l’album con l’etichetta “Quelli di Bolzaneto” che contiene appunti, cartine, foto. Cerco le immagini delle salite con Euro e mi impegno, o meglio mi impongo, di ricordare senza farmi vincere dalla commozione. Ricordo come fosse oggi la nostra avventura sull’imponente Pilastro della Pania Secca e rivivo le stesse emozioni. C’è tutto Euro nell’approccio e nella proposta fatta per telefono: “Gino, tu che sei sempre in festa, te la senti di venire un paio di giorni nelle Apuane? Il Pilastro della Pania Secca ci aspetta”.

Sabato 6 luglio 1963. Ore 6 del mattino, sono con la mia Seicento a Bolzaneto, Euro è sulla soglia del portone di casa con in mano zaino e corda.

Itinerario Genova-Aulla-Castelnuovo di Garfagnana, Gallicano, il viaggio è piacevole, parliamo in genovese e Euro nella sua genovesità racconta esilaranti episodi, storie, fatti e giudizi sulle persone intraducibili.

Euro in arrampicata sul Pilastro Sud-est della Pania Secca

Raggiungiamo il paese di Fornovolasco (480 metri precisa Euro) in tarda mattinata percorrendo una stretta valle, lungo un lato scorre un grigio corso d’acqua, il rio Trimpello, il sole è alto nel cielo ma sembrano le sei di sera. Troviamo alloggio presso un piccolo albergo, dopo un frugale pasto Euro sentenzia: “Andiamo a dar un’occhiata al Pilastro”. Mi trovo quindi a salire su un ripido pendio erboso, senza alcuna traccia di sentiero, sul monte opposto alla Pania Secca (Monte Bicocca 1038 m, si limita a dire Euro, evidentemente il monte non ha una storia).

La sera dopo cena Euro chiede al alcuni apuani presenti notizie sul Pilastro, tra sorrisi ironici e compassionevoli mal celati, nel verace dialetto locale ci dicono che no, non c’è mai salito nessuno, nemmeno le capre, non ci nascono funghi e l’unica cosa certa è beccarsi un sasso sulla testa.

Euro si ritiene soddisfatto, io ancora più preoccupato. Domenica 7 ore 3 del mattino, dopo aver sostato alcuni minuti presso la Cappella del paese ci avviarne verso il pendio per raggiungere la base del Pilastro, un vallone sassoso, alcune case abbandonate, un tozzo gendarme che ci fa perdere tempo prezioso. Sono le sei quando ci leghiamo e iniziamo l’arrampicata. Dopo due tiri di corda Euro caccia un grido: “Gino c’è un chiodo!”. Lo raggiunge e lui riparte incupito, ancora un chiodo, poi un altro, un terzo a un metro di distanza… però da questo pende un cordino logorato dal tempo… chi ha tentato la scalata a quel punto ha rinunciato e si è calato in doppia. Euro ne trae entusiasmo e rinnovato vigore ma la pessima qualità della roccia di queste Apuane condiziona la velocità della scalata, occorre la massima attenzione nelle manovre, a placche prive di appigli si alternano tratti meno esposti e difficili ma ancor più delicati. Come non bastasse a una quarantina di metri dalla sommità del Pilastro si scatena un temporale di inaudita violenza e nel giro di pochi minuti ci trasformiamo in due spugne, bloccati in una posizione precaria su una lastra vertiginosa, appesi ai chiodi a sei-sette metri uno dall’altro.

Euro in arrampicata sul Pilastro Sud-est della Pania Secca

Una tregua del temporale consente di riprendere la scalata ma giunti sulla sommità del Pilastro non possiamo nemmeno festeggiare, si è alzato un vento gelido la cima della Pania Secca è ancora lontana. Siamo finalmente in vetta dopo dieci ore in parete. Il ritorno è solo fatica, io sono distrutto, Euro trova a forza di scherzare e fa riferimento a Giusto Gervasutti non ricordo per quale episodio. Resistiamo alla tentazione di una sia pur breve sosta al rifugio Pania e con altre tre ore di cammino raggiungiamo Fornovolasco dove una tranquillizzante telefonata a casa ci consente di dormire e tornare il giorno dopo a Genova riposati e… senza correre rischi.

La relazione tecnica della prima ascensione del Pilastro centrale della parete sud-est della Pania Secca 1711 m scritta da Euro è frutto degli appunti e schizzi che annotava su un minuscolo libretto durante la scalata in posizioni incredibili.

Dico cosa che tutti quelli che hanno arrampicato con lui sanno ma mi piace ricordarla.

Euro Montagna (a sinistra) e Gino Dellacasa in vetta alla Pania Secca dopo la prima ascensione del Pilastro Sud-est

La Cresta Sud del Salbitschijen
di Ferruccio Ferux Jöchler
Foto di Ferruccio Ferux Jöchler
(testo tratto dalla relazione pubblicata sull’annuario 2002 della sezione CAI di Bolzaneto)

Giungiamo all’attacco della nostra Cresta alle nove. Un po’ tardi per una salita piuttosto lunga come la Cresta Sud di questa bella montagna. Decisi e determinati ad andare avanti, senza più alcun indugio, ci leghiamo agli estremi di due corde da quaranta metri, una rossa e l’altra bianca. Euro assume il comando mentre a me spetta il compito, spesso ingrato, di documentare fotograficamente l’intera salita badando di non sfasciare l’ingombrante biottica Semflex che ho portato faticosamente con me. In breve superiamo una sequenza di placche ben fessurate sino alla base di una marcato camino. Un chiodo arrugginito ci indica che siamo sulla giusta via. Uno dopo l’altro ci innalziamo al suo interno. La roccia è ottima. Le corde sfilano lentamente nei moschettoni posizionati da Euro. Rossa, bianca… un ritornello che ci accompagnerà per tutta la salita. Alla sommità del camino una placca inclinata, solcata da una sottile incisione, che sembra fatta apposta per infilarvi la punta delle dita, ci permette di pervenire alla sommità del primo gendarme. Da qui ci appare l’intera Cresta Sud in tutta la sua bellezza ed eleganza. Percorrendone con lo sguardo il filo, scopriamo in alto sotto quello che sarebbe il “mauvais pas” della salita due cordate al lavoro. Ci appaiono piccoli quegli uomini. Quasi un non senso in mezzo a tutta quella ossatura di pietra levigata, facile scorciatoia per i fulmini, testimone silenziosa dello scorrere del tempo, ritrovo di nebbie e vapori.

Euro Montagna sul passo chiave della cresta sud del Salbitschijen

Dalla sommità del gendarme (il Salbitzahn), per mezzo di una corda doppia ci portiamo all’attacco della vera e propria cresta. Lì si incomincia veramente ad arrampicare. Ora in Dülfer su splendide lame di granito, ora sfruttando piccole fessure per le dita. Le soluzioni in Dülfer si susseguono vantaggiose rendendo rude e suggestiva l’arrampicata. Ad un certo punto l’impressionante impennata della cresta verso il blu del cielo ci costringe a ridiscendere alcuni metri per permetterci di obliquare a sinistra fino alla base di un lungo e verticale diedro i cui tratti evocano quello della Quinta Torre sulla cresta sud dell’Aiguille Noire de Peutérey. Un paio di lunghezze di corda attraverso quattro ancoraggi, muniti di moschettoni, ci permettono di superare anche questa difficoltà. Ormai ci stiamo approssimando alle cordate avvistate alla sommità del gendarme. Si odono ora, distintamente, le voci. Non ci sono più dubbi. Sono svizzeri. Evidentemente la placca che avevamo scorto sopra di loro deve averli impegnati a fondo. Dopo alcuni tratti di magnifico IV li raggiungiamo. Sono talmente impegnati che ci salutano appena con un cenno della mano.

Pazientemente attendiamo il nostro turno. Quando finalmente l’ultimo della seconda cordata scompare dalla nostra vista, la grande placca è nostra. Sono le 12.30 circa. Qualche chiodo arrugginito sul posto permette ad Euro di innalzarsi rapidamente sino ad una sporgenza rocciosa simile a ad un piccolo tetto triangolare. Con uno spostamento a sinistra in piena esposizione e con l’aiuto di un paio di staffe (orrore per gli alpinisti di oggi) anche il passaggio chiave è risolto. Sotto di noi il vuoto è divenuto impressionante. Nell’affranta rio sputo di lato per scaramanzia. Poi fotografo e ancora fotografo. Ancora qualche lama di superbo granito ed eccoci radunati su una comoda piazzola nuovamente insieme agli svizzeri.

Da questo comodo punto di sosta la cresta ovest del Salbitschijen ci appare in tutto il suo ossessivo profilo. Le sue torri, di taglia squisitamente “gréponiana”, i suoi aghi di granito, ci confermano i rivolgimenti della terra e i più spaventosi cataclismi.

Gli svizzeri ci offrono la proverbiale cioccolata al latte. Noi a loro, le uniche cose buone che ancora ci restano nel sacco: le nostre prugne secche. Gentilezze reciproche dunque ma il tempo stringe soprattutto in vista del lungo i viaggio di ritorno. Gli svizzeri capiscono e ci cedono il passo. Per un momento le nostre corde si confondono con le loro, poi una volta liberi di filare via ci impegniamo ancora in splendidi passaggi, “Azione e contemplazione mai una disgiunta dall’altra” alla Gaston Rébuffat e poi ancora una via, non del tutto esauriti. Euro si compiace della sua iniziativa e nei momenti di respiro si bea dell’ordine geometrico che ci circonda. Resosi nuovamente tagliente e impraticabile, l’ultimo tratto di cresta ci obbliga perpendicolarmente in basso di circa quaranta metri in corda doppia. Ora siamo alla base di una parete. Traversiamo a sinistra, indi a destra per poi riprendere ad arrampicare verticalmente. Gli ultimi tiri di corda si svolgono su placche “badilesche” con difficoltà affatto trascurabili, infine eccoci sulla cresta sommitale. Anche qui ordine e geometrismo di profilo. Gli svizzeri sono indietro, ormai lontani. Le nebbie che per tutto il giorno hanno stagnato poco sopra il fondo valle hanno ripreso a salire e ora avvolgono come bianchi sudari gli aghi e le torri della cresta ovest.

Euro Montagna sulla cresta sud del Salbitschijen

Un sabba di streghe e demoni pietrificati. Di più la nostra fantasia non ci concede.

Ancora massi accatastati. Euro scompare in alto, forse finalmente in vetta. Ma non è così. Nuovamente al suo fianco lo vedo cercare qualche cosa. Per un attimo scompare ancora, poi mi chiama. A questo punto si inserisce a buon diritto il suo racconto.

“- Ehi, Ferux! Vieni ci siamo – grido al compagno.
Appena sbuca fuori dai grossi pietroni rimane anche lui paralizzato da quella vista, e io mi diverto un mondo a vederlo lì a bocca aperta senza parola. Mentre mi dirigo verso l’ago sento che parla, mi dice qualcosa, ma non capisco, non ho più il tempo per ascoltare quel che mi dice, afferro con le mani il filo di quella lama affascinante e comincio a salire inebriato. Un attimo di esitazione mi sorprende verso l’alto, poi scatto rizzandomi sull’aerea cuspide. Salbitschijen! Eccoti, finalmente!
Attorno a noi c’è soltanto vuoto, la cresta Sud più regolare e la Ovest coi suoi smisurati pinnacoli, sono ormai più basse e stanno ora lottando con densi vapori che tra poco le inghiottiranno. Scenario possente e sublime! Passata una corda nel chiodo ad anello della cima scendo verso Ferruccio che nel frattempo va scattando fotografie.
Pochi minuti dopo anche il mio compagno alza il braccio sulla cima svettante nello spazio”.

Ricordi
di Gianni Carravieri

Da quando avevo 16 anni ho sentito una forte attrazione per la montagna e l’attività ad essa connessa in ogni sua configurazione. Ogni iniziativa proposta da enti, associazioni, amici attirava la mia attenzione: così andavo in montagna con gli scout, facendo escursioni, traversate di ghiacciai, arrampicate, esplorazioni nelle grotte anche se spesso in maniera approssimativa. Un giorno mi capitò tra le mani il manuale di arrampicata Palestre di arrampicamento genovesi scritto da Euro Montagna e fu un colpo di fulmine. Con Giangi e altri amici di quel periodo (e spesso anche in solitaria) incominciai a battere sistematicamente tutte le vie più facili indicate nel libretto, partendo ovviamente da quelle più rapidamente raggiungibili dal centro Città. E così scoprii il Campaniletto di Sestri (guglia dolomitica ora cancellata dalla cava del Monte Gazzo), la Pietra Grande a Geo in Valpolcevera, il Picco Palestra e il monte Pennone, la Palestra dei Laghetti e il Bric Camullà ad Arenzano, le Rocche del Reopasso a Crocefieschi, i Torrioni del castello della Pietra a Vobbia, la Baiarda e Punta Martin ad Acquasanta, i roccioni di Cravasco, la palestra sul mare a Riva Trigoso. Le descrizioni di Euro erano sintetiche ed essenziali, ma totalmente prive di errori. Indicavano solo le vie principali e lasciavano quindi spazio a scoperte e a tentativi molto invitanti. Era difficile, se non impossibile, trovare nel libretto qualche informazione sbagliata, qualche quota errata, qualche nome approssimativo. Come da abitudine Euro era attento e preciso fino alla pignoleria e non trovavi scritto nulla di scontato o banale. Poi all’inizio degli anni ‘70 mi iscrissi al CAI e ai corsi principali offerti allora ai soci (Scuole di scialpinismo e alpinismo) e venni a contatto direttamente con Euro, che era uno dei più esperti istruttori della scuola di alpinismo. Lo ricordo col suo maglione blu della scuola di alpinismo col distintivo della sezione al centro, agile e forte, non alto, ma con le spalle quadrate e uno sguardo sempre attento e un modo di fare pratico, di poche parole, ma essenziale come tutte le sue guide e i suoi manuali di montagna.

Bimbo di Monaco, Euro sulla parete nord-est, via Detassis-Graffer, 1956

Dopo un anno entrai nella scuola come istruttore. Euro era l’addetto alla valutazione allievi e sfornava continuamente nuovi modelli di pagelline in cui noi istruttori dovevamo diligentemente e con un certo impegno esprimere per ogni allievo e per ogni uscita una valutazione su tecnica, resistenza e forza fisica e predisposizione ad andare in montagna. Fu per me una breve e piacevole esperienza che dopo due anni terminò perché altri impegni più pressanti (la laurea, il militare, il lavoro, la famiglia) ebbero il sopravvento.

Ma dopo qualche anno i rapporti con Euro ripresero in un modo impensato. Non ricevevo più l’invito ad andare con lui a Vobbia a “tenergli la corda”, mentre apriva l’ennesima via sullo spigolo o in fessura al Castello della Pietra, o una richiesta di informazioni su un cippo, una grotta o monumento particolare da inserire nelle sue guide. Ora mi chiamava al telefono in ufficio all’Ansaldo dove entrambi lavoravamo. Euro era un funzionario del personale molto cortese, preciso ed efficiente, lo ero un giovane ingegnere neoassunto che arrivava sempre in ritardo in ufficio al mattino, evento dimostrato dalle quotidiane timbrature fuori orario. E le telefonate di Euro arrivavano sempre tempestive e cortesi, ma ferme nel riscontrare e richiedere gli indispensabili recuperi sull’orario. Non gli ho mai chiesto che cosa pensasse della mia inguaribile propensione al ritardo in una azienda dove ancora non era arrivato l’orario flessibile.
Fuori ufficio ci incontravamo spesso e parlavamo sempre e solo di montagna.

Alla sezione Ligure avevo fondato insieme con Elio Ghiglione e Stefano Marno Revello la scuola di fondo-escursionismo e gradualmente, in parallelo, assunsi alcuni incarichi sezionali fino a diventare nel 2009 Presidente della Ligure. Non persi molto tempo a convincere il Consiglio direttivo a ripristinare il prestigioso Premio Stelutis della Sezione Ligure. Il primo anno dopo la ripresa il premio fu assegnato ad Alessandro Gogna (simbolo di un alpinismo di punta e di ricerca per più di 40 anni). Nel 2011 il prescelto fu Euro Montagna, a coronamento di una vita dedicata alla montagna. La premiazione avvenne nel salone della Provincia in Largo Lanfranco con una folta presenza di soci e amici di montagna. Forse è stato uno dei momenti più importanti della mia Presidenza alla Ligure. Poter dare un riconoscimento meritato a chi aveva fatto tanto per l’alpinismo, non solo direttamente con le scalate sulle principali pareti delle Alpi (per cui Euro era diventato accademico del CAI), ma anche per il suo proselitismo, per le sue guide, per la attenzione riservata a tutto quello che sapeva di montagna.

Viaggiando con Euro
di Marcello Sanguineti

Conobbi Euro Montagna in occasione del mio ingresso nel Club Alpino Accademico Italiano (CAAI). Armando Antola – con il quale ero d’accordo per fare insieme il viaggio in auto Genova-Torino-Genova e partecipare all’Assemblea del Gruppo Occidentale del CAAI al Monte dei Cappuccini, dove sarebbero stati presentati i nuovi soci – mi telefonò alcuni giorni prima, dicendomi che avremmo potuto dare un passaggio a Euro. «Fantastico: viaggeremo con un pezzo di storia dell’alpinismo ligure!» – fu la mia risposta entusiasta. Passai a prendere Euro a Bolzaneto, sotto casa sua. Mi salutò complimentandosi per il mio ingresso nell’Accademico e stringendomi la mano, come si fa con un vecchio amico. In quel momento mi resi conto che, con la sua semplicità e simpatia (nel senso più profondo del termine, quello di “capacità di provare emozioni insieme”), mi era entrato, nel cuore come se fosse stato il compagno di cordata di una vita. Intuii subito ciò di cui ebbi conferma negli anni successivi: Euro sapeva conquistare le persone senza rendersi conto di farlo, grazie alla spontaneità del suo comportamento, all’entusiasmo che scaturiva dai suoi vivacissimi occhi e all’atteggiamento sempre aperto verso gli altri (non faceva differenza che fossero amici di vecchia data, interlocutori occasionali o persone incontrate per caso). Senza saperlo e senza volerlo, Euro era un “leader”, una persona coinvolgente nel modo più completo.

Dopo quel nostro primo viaggio insieme, in occasione di ogni riunione dell’Accademico mi telefonava con un paio di settimane di anticipo, con l’obiettivo di organizzare la trasferta torinese. Per me si trattava di un appuntamento assolutamente da non perdere! Oltre al mio contatto telefonico, aveva quello di casa di casa mia mamma, dove un giorno – non trovandomi sul cellulare – telefonò. «Buongiorno, sono Euro Montagna».

Mia mamma, che ben conosceva le mie scorribande alpinistiche, pensando di esser presa in giro rispose: «Buongiorno a Lei. Senta, ho un figlio che continua ad andare in giro per le montagne d’Europa e di mezzo mondo: ci manca solo che mi telefonino mettendo insieme la nuova moneta europea e l’alpinismo! Mi scusi, con chi parlo?!» Euro, colpito da quell’inaspettata e incalzante risposta, si affrettò a spiegarle che non si trattava di uno scherzo, che quello era il suo nome e che non aveva colpa di chiamarsi in quel modo… Quando le disse di essere un mio “collega” dell’Accademico, il tutto sfociò in una risata da parte di entrambi. Da quel giorno, Euro e mia mamma diventarono amici e ogni tanto si sentivano al telefono, scambiandosi battute.

Euro sulle Apuane

Una miriade di episodi legati ai viaggi fra Genova e Torino insieme a Euro affollano la mia mente… Gli piaceva un sacco parlare e raccontare e io adoravo ascoltarlo avidamente. Spesso, salendo verso il Turchino lungo la A26, gli chiedevo il nome di una delle montagne che ci circondavano, ben sapendo che la mia domanda sarebbe stata uno spunto perfetto. Era sufficiente per innescare in lui una sorta di reazione a catena, durante la quale parlava entusiasta indicandomi tutte le vette che si trovavano intorno a noi, anche le minori: le citava una ad una con la relativa quota, aggiungendo aneddoti ed episodi curiosi. Durante il tragitto ascoltavo insaziabilmente i suoi racconti, che spesso, ma non sempre, riguardavano la montagna. Ad esempio, aveva una passione per i treni. Ricordo quando mi descriveva in dettaglio la linea ferroviaria Genova-Torino e, in particolare, la costruzione della Galleria dei Giovi, necessaria per attraversare l’Appennino, con tanto di lunghezza e informazioni ingegneristiche. Poi passava ai dettagli sul “piano inclinato”, realizzato per superare i problemi relativi alla pendenza nel tratto collinare, con l’ausilio di carri-freno in discesa e di cavalli in salita. Numeri, dati tecnici e particolari riportati con una lucidità, una chiarezza e una precisione che non consentivano a chi ascoltava di distrarsi…

Euro in vetta al CornoStella, 1949

Stupendi i suoi racconti delle prime salite sul Bianco! Era come rivivere momenti di un alpinismo che non esiste più. Un alpinismo fatto di spostamenti in treno da Genova fino ai piedi del Monte Bianco, di grandi vie ripetute con un’attrezzatura che adesso farebbe rabbrividire, insieme a compagni di cordata improvvisati… Una volta mi raccontò che, al rientro da una salita, lui e il suo “socio”, entrambi giovanissimi, dovettero pernottare in un rifugio non gestito, senza più cibo. Ad un certo punto arrivò un gruppo di escursionisti svizzeri. Dallo zaino di ciascuno di loro spuntava una baguette. Alla vista di quel ben di Dio, a Euro & socio venne l’acquolina in bocca! Allora, nottetempo, i due si alzarono e, cercando di fare il più piano possibile, tagliarono un pezzetto dall’estremità di ciascuna baguette per poi infilarla nuovamente nel rispettivo zaino, facendo in modo che a spuntar fuori fosse l’estremità “sana”. L’indomani mattina si svegliarono di buon’ora e altrettanto silenziosamente si incamminarono verso il fondovalle con il ricco bottino, pensando alla faccia che avrebbero fatto gli svizzeri di fronte alle baguette mozzate…!

Euro sull’Aiguille Noire de Peutérey, dopo la cresta est,1953

Euro parlava come un fiume in piena e io non mancavo di incalzarlo con domande e di “stuzzicarlo” con la mia curiosità, per farlo parlare ancora. Arrivando al Monte dei Cappuccini ero quasi triste, perché i suoi racconti si sarebbero interrotti per un po’: non vedevo l’ora che riprendessero durante il viaggio di rientro. Per fortuna, durante l’Assemblea CAAI i suoi interventi non mancarono! Ogni tanto vi inseriva qualche parola in genovese – pronunciata con il suo inconfondibile accento – mentre la vivacità e lo sguardo luminoso catturavano l’attenzione di tutti in modo inevitabile. Quando, dopo il rientro da Torino, ci salutavamo sotto casa sua, iniziavo il conto alla rovescia per la successiva Assemblea dell’Accademico, che mi avrebbe regalato un’altra scorpacciata dei suoi racconti.

Questo è Euro – scrivo di proposito “è”, perché lo sento ancora presente e vicino: un alpinista capace di emozionarsi allo stesso modo parlando della Punta Martin o del Cervino. Sono sicuro fosse convinto, come me, che ogni montagna – anche quella apparentemente più insignificante – ha un valore inestimabile perché consente a chi la sale di realizzare una “scalata interiore” fatta di emozioni personali e di ricerca in sé stessi. Non si tratta semplicemente un grande alpinista e di un grande Accademico, ma di un grande innamorato della montagna e, prima ancora, di una grande persona. A dispetto dell’età, l’ho sempre considerato un giovane alpinista entusiasta. Un alpinista che cercava e trovava nelle montagne il gioco inesauribile di rinnovare le emozioni più intime, alla base della nostra esistenza: un gioco magico, capace di mantenerci eternamente bambini. È lo stesso che mi ostino a giocare anch’io: anche per questo mi sento così profondamente legato a lui.

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