La via dei Ragni allo Tsaranoro Atsimo

Dal 5 aprile 2020, con altra puntata di Ragni around the world, è visibile online la versione integrale e gratuita del film Rivotra Mahery – Vento Forte.

Questa volta il viaggio è in Madagascar, nel massiccio dello Tsaranoro Atsimo.
Il film, opera del regista Achille Mauri, è dedicato alla spedizione che il 29 agosto 2017 ha visto i Ragni di Lecco Dimitri Anghileri, Matteo De Zaiacomo e Marco Maggioni concludere l’apertura di una nuova via sul granito di quelle spettacolari e gigantesche pareti.

Le Grandi Storie di Sherpa naturalmente ha voluto approfondire e perciò vi propone tre articoli a firma dei tre protagonisti. Questi ci portano nella magica isola-continente ai confini del mondo e dai loro racconti si evince che la bellezza e la difficoltà della scalata sono lì, a disposizione dei futuri ripetitori, ma la straordinaria esperienza di questo viaggio resterà per sempre nel cuore e nella loro memoria.
Le fotografie sono tratte dall’archivio di Matteo De Zaiacomo.

Il massiccio dello Tsaranoro Atsimo, Madagascar

Giovane, l’hai aperto così? Mo’ te lo liberi!
di Dimitri Anghileri
(pubblicato su ragnilecco.com il 29 agosto 2017)

Per me, per noi, il viaggio in Madagascar è stato qualcosa di bello, divertente e pieno. Personalmente uso molto come scusa lo scalare per girare nuovi posti e conoscere nuove persone, anche se la roccia deve essere inevitabilmente presente, se no… Il nostro è stato un viaggio arrampicatorio, come si dice “sciallo”: tutto comodo e ben organizzato.

La cosa non certa era essenzialmente cosa avremmo scalato o fatto una volta arrivati nella valle che ospita quelle splendide, enormi pareti di roccia perfetta!

Io, Matteo e Marco arriviamo allo Tsarasoa camp armati di tante speranze e di un trapano, prestato dal Della (Matteo Della Bordella, NdR) “Usatelo poco!”, ci disse! Sì, perché una delle nostre intenzioni era quella di trovare una bella via da aprire sulle già affollate pareti dello Tsaranoro! “Va beh, è ovvio che la stiamo facendo fuori dal vaso”, ci dicevamo…

Dopo poche ore dal nostro arrivo nella valle, facciamo un primo giro esplorativo, riuscendo a perderci, ovviamente… Ragni di Lecco che si perdono su un sentiero evidente con le pareti di fronte… questo è l’anno degli avvicinamenti sbagliati!

Va beh, individuiamo una linea forse fattibile per un’apertura e una volta rientrati discutiamo sul da farsi. Cerco di convincere il Giga sulla linea di salita, ‘sto giovane vuole tiri duri dall’inizio! Alla fine la spunto e aggiriamo per belle placche appoggiate un primo muro difficile. Il Giga troverà comunque pane per i suoi denti poco più in alto!

Il giorno successivo con un filo di arroganza ci ritroviamo alla base, carichi come molle e pronti a far cantare il Bosch. Le settimane successive ci vedono impegnati su questi muri galattici. A turni, in base al ruolo del momento, ridiamo, ci spaventiamo e imprechiamo! Se sei in sosta bello sereno dopo aver fatto il tuo, non puoi fare altro che fumare sigarette e prendere per il culo chi sta rantolando sopra di te… siamo fatti così!

I personaggi:
Marco, detto Maggio, ribattezzato sto giro anche Camalon, per la sua velocità nello scalare (il ragazzo però sta attaccato, eh!). È il più tranquillo e metodico del gruppo, apre e libera lunghezze eccezionali, perde anche quasi tutte la partite per prendere le decisioni importanti, ovvero portare alla base 200 metri di statica ad esempio, o litrate di acqua e spit. Va beh, Maggio è andata così!

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Matteo, detto Giga, lui oltre a una tenenza furiosa e due braccia lunghissime (maledetto!) ha una tendenza a buttarsi nelle situazioni con assoluta mancanza di pudore, davvero ammirevole! Riesce a farsi regalare, tralasciando il modo, una bella corda singola, da una ragazza bionda piuttosto americana, una certa Sasha. Quella corda ora sarà appesa in camera sua e tenuta come reliquia! Una bella statica da 100 del rum e, in cambio di un cappellino raccapricciante tutto sudato, un bel carica batterie! Un asso! Per puro caso, ma il destino a volte ci vede bene, a lui tocca aprire il tiro più duro, durante la libera di questo tiro le conversazioni tra noi sono composte da una parola e dieci bestemmie. Alla fine di una giornata impegnativa, quella della vetta, praticamente lo costringo a liberare il suo tiro di 7c in alto alla via. Gli dico: “Dai, dai bestia, così non saliamo più qui!”. Parte titubante ma la classe non è acqua e stana, come dice lui, il tiro! Io gli sto facendo delle foto intanto che scala, in apertura ci ha creduto tanto e ha spinto sulla chiodatura, stanco e un po’ in panico mi chiede di fare un’asola sulla statica per alleviare l’aspetto psicologico. La mia risposta? L’unica che avrei potuto dargli: “Giovane, l’hai aperto così? mo’ te lo liberi!”.

Dimitri, io, ho avuto una gran fortuna, mi toccano tiri di media difficoltà, ma con una estetica davvero super! Cerco di spingere il più possibile, ma si sa quando inizia la tremarella e non hai zanche a portata di mano… panico! Chi mi conosce lo sa, sono buono e forse un po’ timido, ma anche nervosetto, scatto abbastanza rapidamente quando vengo provocato… il Giga capisce e si diverte parecchio! Nell’ultima settimana, complice il mio umore altalenante per via di una ragazza a casa che mi fa impazzire (‘ste donne ti fanno saltare in padella), sono piuttosto suscettibile e mi tocca subire incessanti prese per il culo dai miei compagni… grazie ragazzi!

Tsaranoro Atsimo, via dei ragni di Lecco, via Rivotra Mahery.

Mys, il risolutore! Qualsiasi cosa avessimo bisogno durante la nostra permanenza lui l’ha risolta con stile. Gli abbiamo chiesto delle sigarette, ad esempio, le ha procurate facendola sembrare un’impresa titanica. Poco dopo scoprimmo che si trovavano al villaggio a 10 minuti da dove dormivamo… un mito!

Tuavina, un ragazzo schivo, uno di quelli che però capisci al volo che ti puoi fidare ciecamente di lui! Grande passione per le lingue senza una scuola dove studiarle. In cambio di una vagonata di noccioline e abbondanti bis a cena, cerchiamo con i nostri limiti di fargli imparare qualche parola di italiano. Diventa in poco tempo “King of briscola”, sentirgli cantare davanti a molti francesi antipatici “Siamo i campioni del mondo” è stato epico! L’ultima sera ci salutiamo al buio, tutti sappiamo che probabilmente non ci vedremo mai più, c’è tristezza tra noi. Vederlo arrivare all’alba della mattina successiva tutto assonnato per salutarci di nuovo è stato magico! Adoro le persone così, sono quelle che meritano veramente, bisogna dargli tutto. Sono questi i ricordi e le sensazioni che ti rimangono incollati addosso per sempre!

Il lozzo, salsina piccante che accompagna tutte le nostre cene incendiandoci la bocca, immancabile nella brenta di riso-colla-sassi che mangiavamo di gusto!

Stelle, in questo posto ho visto le stellate più belle di sempre, nel silenzio, guardando in su, ognuno di noi si lasciava trasportare dai propri pensieri.

Rivotra Mahery è il nome della nostra nuova via, è là sullo Tsaranoro Atsimo!

Ma tutti sapevamo che probabilmente non ci saremo mai più rivisti
di Matteo De Zaiacomo
(pubblicato su ragnilecco.com il 29 agosto 2017)

C’è un comodo divano nel salotto dei miei genitori e proprio li affianco un armadio in legno chiaro con le antine in vetro. Lì dentro son custoditi anni e anni di evoluzione verticale raccontata attraverso le migliaia di pagine delle centinaia di riviste specializzate raccolte da mio padre durante il corso degli anni. Collezione che continua ancora oggi a espandersi!

Fu mio papà a trasmettermi la passione per l’arrampicata e non ci volle molto perché questa nuova passione diventasse presto una dipendenza, fu così che iniziai a fare di quell’angolo di divano affianco all’armadio uno dei miei posti preferiti. Passavo ore a sfogliare quelle riviste e come un vero appassionato aspettavo il nuovo numero. Un giorno entrò in casa un Vertical, il numero 15 del dicembre 2008 – gennaio 2009 e in copertina c’era un titolo: Portfolio Karambony Il futuro è in Madagascar. Non c’era alcun articolo ad accompagnare le foto, ma non serviva alcun articolo, era tutto così chiaro. Non facevo che guardare e riguardare le foto! Così ebbe inizio il nostro viaggio in Madagascar, con un sedicenne seduto su un divano a farsi assurdi viaggi mentali.

Da sinistra, Dimitri Anghileri, Marco Maggioni e Matteo De Zaiacomo

Non sono mai stato un ragazzo talentuoso, nemmeno costante negli allenamenti ma c’è sempre stata una fiamma dentro di me che mi ha insegnato ad essere curioso e a mettermi in gioco, amo confrontarmi con ogni modo di salire verso l’alto, dalla falesia al boulder alle vie in montagna. La verità è che non son mai stato bravo a far nessuna delle cose ma mi son sempre buttato a capofitto in progetti ben più grandi di me ed è soltanto grazie ai miei compagni che ho imparato e sto imparando a vivere l’arrampicata. Quest’anno i miei compagni sono due ragazzi da poco membri del gruppo Ragni di Lecco e come me non hanno grande esperienza di aprire una via dal basso con il trapano attaccato all’imbragatura. Fu infatti una decisione combattuta quella di portare veramente il trapano in un posto come la valle dello Tsaranoro, dove decine e decine di vie erano già state salite e nomi e cognomi ben più importanti dei nostri avevano lasciato la loro firma. Il dubbio era più che lecito: siamo sicuri di quello che stiamo facendo!?

Per di più io non avevo mai scalato con Dimitri, sapevo soltanto fosse soprannominato Satana e che non aveva paura di far lunghi voli, ed effettivamente è stato proprio lui ad azzardare i passi più difficili sui cliff in fase di apertura, magari dopo lunghi run-out!

Con Marco invece avevo già scalato qualche volta sia in Marmolada che in val di Mello e mi è sempre piaciuta la sua precisione, e dopo il suo viaggio in Messico con Simone Pedeferri mi ero accorto di una nuova confidenza anche con le pareti più grandi, preciso nelle manovre di corda anche più complicate.
Il team era pronto! Con una pericolosa arroganza chiudiamo i bagagli e con passaporto e carte d imbarco ci ritroviamo a Malpensa.

Dopo un interminabile viaggio in aereo intervallato da pasti di dubbio gusto e sonnolenti teste cadenti atterriamo ad Antananarivo che significa “la città dei mille” e prende il nome dal numero di soldati messi a servizio di guardia al Re. Tante volte nel mondo della scalata essere alti è un enorme vantaggio ma non è certo piacevole srotolarsi fuori da uno scomodo sedile di un aereo dopo 12 ore di viaggio! Aspettiamo i bagagli mentre la dogana ci controlla sommariamente il passaporto e una volta usciti dall’aeroporto troviamo ad attenderci una ragazza con il mio cognome scritto su un foglio, incredibilmente scritto nella maniera giusta! Avevo una professoressa delle medie che in tre anni non è mai stata in grado di pronunciarlo.

La logistica del viaggio è semplicissima, non dobbiamo far altro che salire su un furgone e stare seduti per altre 12 ore per poi arrivare nella tanto desiderata valle dello Tsaranoro.

A differenza di altre spedizioni che ho intrapreso, questo viaggio escludeva completamente quel discorso affascinante legato all’esplorazione, all’avventura vera e propria, all’isolamento e al doversi arrangiare, al campo base: tutte situazioni che ho scoperto mancarmi durante la permanenza in valle. Del resto eravamo ben coscienti di questo compromesso perché la valle dello Tsaranoro è ormai meta turistica e ben rodata, per scalatori ed escursionisti. Ciò non toglie che vedere una parete per la prima volta dal vero e sentirla ad un passo da te, sentire la sua imponenza e la sua maestosità travolgerti è un esperienza sempre nuova che lascia l’esclusiva assoluta di poter esplorare in se stessi il turbinio di emozioni da lei provocate: il fascino, i dubbi, le motivazione e le paure.

Tsarasoa camp è un campeggio/resort per tutte le tasche con la possibilità di vivere esperienze di soggiorni chic in bellissime casette con suggestivi mosaici e bagni con vista parete e per i più squattrinati tende a poco prezzo, noi ovviamente alloggiavamo in tenda, nell’unica tenda! Eravamo ovviamente considerati i barboni del campeggio e durante la nostra permanenza è andato rafforzandosi e tramandandosi di turista in turista la leggenda di non sedersi vicino agli italiani a cena, perché mangiavano tutto senza alcuna pietà… e noi eravamo gli unici italiani!

Trarasoa camp ha una filosofia molto bella! Si differenza dagli altri campeggi per piccole ma onorevoli iniziative: l’acqua offerta al cliente è quella dei torrenti, filtrata e resa potabile (viceversa va sempre comprata) il cibo offerto è il prodotto della terra e delle coltivazioni, l’energia elettrica è quella prodotta dai pannelli solari, nessun generatore, e nel corso degli anni è stato fatto un lavoro di rimboschimento. Questo rapporto diretto con la natura regala un’esperienza quasi autentica di vita malgascia ed è bello perché il rapporto con le persone diventa subito più familiare.

Il primo giorno non perdiamo tempo e saliamo subito sotto le pareti per farci un’idea più chiara, ci son due sentieri e riusciamo a sbagliare strada! Alla fine perdiamo un sacco di tempo ma raggiungiamo la parete, non stiamo cercando una bella linea, stiamo soltanto cercando gli spazi vuoti per poi valutarne la bellezza, effettivamente la parete è satura e per di più è impossibile studiare le varie sezioni della parete dietro le lenti di un binocolo, vedi soltanto placche! Ma Dimitri individua una logica abbastanza evidente in un punto di parete privo di vie. L’idea piace a tutti! Proviamo!

Tutte le decisioni importanti vengono affidate al caso, ci giochiamo tutto a carta forbice sasso o giochi simili e il primo giorno di apertura io rimango a terra mentre Marco e Dimitri salgono velocemente i primi tiri che vincono una sorta di bombato avancorpo. Tre tiri in placca con difficoltà modeste merito dell’inclinazione mai esagerata.

Il giorno dopo riparto io e come le pendenze aumentano anche le difficoltà. Riusciamo a far filare le corde il più possibile usando pochi spit per tiro, ma per quanto pochi iniziamo a dubitare del nostro materiale: ne avremmo abbastanza? Avremmo abbastanza metri di corda statica per fissare di giorno in giorno i nostri progressi?

La sera dopo torniamo al campeggio dopo una giornata difficile, eravamo riusciti a salire soltanto mezzo tiro, quello che poi si è rivelato il più difficile. Se avessimo incontrato continuamente difficoltà di questo tipo non saremmo mai riusciti a finir la via e a cena eravamo sconfortati e un pochino delusi dalla giornata, ma qualcosa ha scosso i nostri animi! Edu Marin e Sasha DiGiulian avevano appena salito in libera La mora mora e la luce nei loro occhi era quella stessa che sognavamo noi. Per di più ci hanno regalato qualche metro di statica ed una corda singola e a quel punto non potevamo più fallire dopo quest’inaspettata benedizione! Tra l’altro senza questo loro aiuto non so se l’avventura avrebbe avuto lo stesso esito.

Con ritrovata fiducia ricominciamo a salire alternandoci in fase di apertura, ognuno fa bene il suo lavoro, chi non scala è perché sta sistemando le statiche, e dopo pochissimo tempo siamo una macchina rodata, come se non avessimo fatto altro che aprir vie insieme. Ognuno si prende le sue soddisfazioni in fase di apertura! Io per esempio ricorderò per sempre l’ultimo tiro che porta alla cengia finale, l’11° tiro.

Era una giornata fredda e soffiava un vento fortissimo, ero partito dalla sosta e dopo una decina di metri la logica di prese mi aveva portato a girare uno spigolo, e una volta lì dietro non mi era più possibile comunicare con gli altri a causa del vento, e nemmeno riuscivo a vederli. Ero da solo su una placca nera meravigliosa che alternava sezioni di scalata tecnica e piccoli bombé dove si nascondevano dei boulder su cristallini bellissimi! Ed è proprio il genere di scalata con la quale vado a nozze. La magia di quel momento di solitudine mi ha permesso di osare qualche lungo run-out e non mi sarei mai fermato soltanto quando son finite le corde mi sono accorto che erano già passati sotto i miei polpastrelli 60 metri. La magia e il vento ovviamente sparirono quando invece dovetti liberare quel tiro. Ho passato 60 metri a maledirmi da solo per aver spittato troppo lungo questa lunghezza di 7c.

Dalla cengia finale con altri 4 tiri raggiungiamo la vetta e purtroppo non immaginavamo che sarebbe stata l’unica volta che ci saremmo arrivati.

Quella sera al campeggio credo che qualcuno abbia visto nei nostri occhi la stessa luce che noi avevamo visto nei due grandi campioni Sasha ed Edu. E credo che qualcuno sia andato a dormire ancora affamato e son sicuro che quel qualcuno era chi si era seduto a cena vicino agli italiani.

Il tempo scorreva velocemente e la filosofia di vita malgascia mora mora si è impossessata dei nostri corpi affaticati dalle dure giornate in parete. Ci siamo presi due giorni di meritato riposo e secondo i nostri calcoli matematici avevamo tempo a sufficienza per liberare prima tutti i tiri e poi salire la via in un unico tentativo, magari dormendo in portaledge e vivere fino in fondo la nostra esperienza su questa parete.

Ma la scalata è tutt’altro che calcoli matematici, una disciplina in cui l’istinto è ancora il fattore determinante non si può certo minimizzare ad una tabella giornaliera di cose da fare. E di cose da fare ce n’erano tante! Se poi ci aggiungi quel precario equilibrio e quella terribile lotta con la gravità combattuta a colpi di piccole vibrate, ecco ogni tipo di previsione va beatamente a farsi benedire. Non tutte le lunghezze siamo riusciti a liberarle al primo tentativo e la roccia super aggressiva per i polpastrelli ci costringeva a continui riposi tattici.

La priorità divenne dunque esclusivamente quella di liberare tutti i tiri, non volevamo per nessuna ragione lasciare lunghezze con il punto di domanda e mi prendo tutta la responsabilità di questi ritardi perché ero l’unico a non schiodarsi sul tiro che mi spettava. Il 6° tiro era quello che ci aveva rallentato in fase di apertura e ci stava rallentando anche nel momento della libera, ma non tutto il tiro, soltanto la parte conclusiva, un boulder davvero difficile per me, 4 movimenti aleatori su prese sfuggenti. Abbiamo ribattezzato quei pochi metri come “l’angolo delle bestemmie”.

Fu così che siamo riusciti a venirne a capo soltanto dopo una decina di tentativi e tre giornate passate esclusivamente su quel tiro. Troppo tardi però per tentare la salita in giornata perché di li a qualche ora ci aspettava il taxi per tornare ad Antananarivo.

E’ l’unico mio rimpianto di questa vacanza verticale ma nonostante questo credo che ognuno di noi abbia dato il meglio di sé quindi, se su una buona torta manca soltanto la ciliegina, noi non ne facciamo un dramma, qualcuno avrà il piacere di mangiarla al posto nostro e spero con tutto il cuore che gli piaccia da impazzire!

Abbiamo deciso di chiamare la via Rivotra Mahery, che significa vento forte. Semplicemente perché è stato il nostro invisibile compagno per tutto il tempo. Ma c è una storia dietro questa traduzione. Una storia di amicizia andata crescendo di giorno in giorno con un ragazzo del campeggio. Ed è dedicata a lui questa via!

Tuavina è un ragazzo di 21 anni di quelli diffidenti, quei ragazzi che stanno in un angolo, di quelli che è sempre così! Che quando li conosci sono ragazzi meravigliosi! Ci era voluto un po’ per rompere il ghiaccio, con lui giocavamo a scacchi e gli insegnavamo qualche parola in italiano, era orgoglioso dei suoi successi di apprendimento! Si applicava molto e in pochi giorni conosceva già un sacco di parole, secondo me voleva dimostrare alla fidanzata che studiava lingue in città che anche lui era in grado di impararle pur non andando a scuola. Ci voleva bene Tuavina e gli piaceva stare con noi! Gli avevamo insegnato a giocare a briscola e sebbene non avesse mai capito veramente come giocare voleva sempre fare una partita. L’affinità divenne tale che a cena ci bastava un cenno perché Tuavina ci portasse il bis! A nessuno era concesso il bis! E grazie a questo qualcuno ebbe il coraggio di sedersi ancora vicino a noi.

Tuavina la mattina della nostra partenza era venuto apposta a salutarci con gli occhi pieni di nostalgia, ci salutammo con quel retrogusto a cui non vuoi credere. Nessuno è riuscito a dire addio… Ma tutti sapevamo che probabilmente non ci saremo mai più rivisti.

In vetta allo Tsaranoro Atsumi, Dimitri Anghileri, Marco Maggioni e Matteo De Zaiacomo.

Vento forte!
di Marco Maggioni
(pubblicato su ragnilecco.com il 29 agosto 2017)

Certo, quando è brutto tempo andiamo al lavoro più volentieri… tanto in montagna o piove o nevica. Però, in genere, la nostra occupazione di tutti i giorni non ci dispiace, ce la siamo scelta. Perché anche lavorando c’è modo di sognare.

E’ vero, abbiamo fatto una scelta. Qualche volta ci capita di invidiare un po’ i professionisti che sono in montagna tutti i giorni, che possono, ma anche debbono, allenarsi di più. Però è anche vero che a loro è richiesto di più.

Tutti siamo passati per una scelta: noi abbiamo pensato che la libertà, quella vera, risiede in un dovere disomogeneo con la montagna, tra paletti che noi stessi ci siamo posti.

Per ora ci va bene così. Il mitico Riccardo Cassin non era un professionista della montagna, eppure ha fatto quello che ha fatto ed è diventato Cassin, uno dei più grandi alpinisti del Novecento.

Di sicuro, in questo modo la nostra passione non diventerà mai un’abitudine, una routine: forse per noi sarà sempre come le prime volte che ci siamo affacciati al magico mondo dell’avventura in montagna, l’emozione più grande.

L’anno scorso erano stati altri amici dei Ragni a proporre come destinazione il Madagascar ma, per svariati motivi, avevamo poi optato per la Yosemite Valley.

Quest’anno, circa a febbraio, Matteo (Giga), che desiderava da tempo salire sulle ripide pareti dello Tsaranoro, mi chiede se fossi interessato ad andare con lui in Madagascar per ripetere qualche bella via e, dopo aver contattato anche Dimitri, decidiamo tutti e tre di portare con noi anche trapano e spit.

L’obiettivo diventa quindi quello di tentare di aprire una nuova via, anche se non sapevamo bene in quale punto delle pareti, dato che di linee ce n’erano già parecchie. Il 21 luglio partiamo. Dopo tre giorni di viaggio, arriviamo a Tsarasoa Camp alle 8 di mattina. Sistemiamo i bagagli nella tenda e dopo una brevissima consultazione del libro delle relazioni, Dimitri individua un’ipotetica linea che si trova sulla parete dello Tsaranoro Atsimo.

Partiamo immediatamente per studiare più da vicino il tracciato ma… sbagliamo subito sentiero! Torniamo indietro finché, dopo aver imboccato la strada giusta, arriviamo alla base della parete per binocolare e cercare gli appigli in un mare di placche di granito.

Il giorno dopo, seppur pieni di dubbi sulla fattibilità della cosa, iniziamo a chiodare. Dopo due giorni abbiamo avuto un momento di sconforto perché non sapevamo se gli spit ci sarebbero bastati e per alcune difficoltà tecniche incontrate fino a quel momento.

Teniamo duro e decidiamo di proseguire sulla via intrapresa e, dopo altri cinque giorni di apertura e 700 metri di scalata, siamo in cima allo Tsaranoro Atsimo, riuscendo a dedicare tutto il resto del tempo rimasto alla scalata in libera dei 16 tiri con grado massimo fino all’8a+.

Siamo molto contenti del risultato, perché siamo riusciti ad aprire dei tiri bellissimi su cristalli e roccia ottima dall’inizio alla fine. Abbiamo chiamato la via Rivotra Mahery, che significa “Vento forte” in lingua malgascia, perché il vento è stato con noi ogni giorno in parete, regalandoci un buon grip durante la scalata ma facendo patire il freddo a chi faceva sicura e foto. La via è edicata a Tuavina e Mys, due amici del villaggio dove alloggiavamo.

 

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