Dalla viandanza alla restanza

di Riccardo Carnovalini

Dopo quarant’anni di viaggi in lungo, in largo e di traverso in Italia e in Europa mi sono fermato. Con il cammino di un anno consecutivo attraverso ventidue paesi europei, che è terminato nell’autunno 2019, si è chiuso un ciclo della mia vita e se ne è aperto un altro. Dalla viandanza alla restanza. Prima andavo, adesso sto.

E’ la bellezza del bosco dove ho scelto di infrattarmi a rendere possibile la mia scelta. Nella valle di Viù, la più meridionale delle valli di Lanzo, ho comprato una decina di anni fa una casa storica e solitaria ai piedi del Civrari, il primo monte significativo delle valli di Lanzo, un trapezio avanzato verso la pianura. Il Civrari è diventato la mia “montagna sacra”. Perché sacro può essere anche lo sguardo, l’atto del guardare. Il luogo che ho scelto per la restanza risponde a tre caratteristiche per me irrinunciabili per vivere bene e affermare che si è nel posto giusto: aria buona, acqua di sorgente, silenzio. Quanto è importante il silenzio nella nostra vita minata dal rumore! Il silenzio è un lavaggio, un lusso inestimabile nella civiltà del rumore. E’ nutrimento.

Perciò da oltre quattro anni ho iniziato forse il più straordinario dei viaggi: un viaggio da fermo, senza muovermi da casa, fatto di scoperte, rivelazioni, emozioni, curiosità e della cura per la mia briciola di mondo persa sulle Alpi, fuori dalla geografia nota e dal turismo. Cura perché miglioro il bosco con tagli selettivi, ritiro su i muretti di pietra crollati con l’avanzata del bosco, faccio l’orto, tengo aperti i passaggi, i sentieri che ho intorno.

Cerco il dio delle piccole cose nel silenzio della contemplazione, nell’accendere il fuoco, nel tagliare la legna, nel zappare, nel dare l’olio di lino cotto ai vecchi legni della casa. E’ l’opposto della virtualità di internet: copiare, incollare, scaricare. E’ osservare, studiare, meditare, aspettare, rimandare, trovare, perdere, ritrovare, oziare, gioire, ascoltare, vivere. Mi nutro di quello che la società ritiene inutile e che invece può dare senso alla vita. Compreso fotografare. Fotografare dal balcone lo spettacolo intorno, gli eventi della terra e dell’aria. Ne ho fatto persino un libro, il mio ultimo, Balcone con vista. Il viaggio da fermo scritto con la luce. Il libro si apre con una citazione di Federico Garcia Lorca: «Lasciò aperto il balcone e all’alba dal balcone entrò tutto il cielo».

Il cielo cambia ogni giorno, cambia ogni ora. I paesaggi così sono sempre nuovi pur essendo gli stessi. Perché luce, colori, stati d’animo non si ripetono mai. Ogni momento è diverso dall’altro. Per non parlare delle albe e dei tramonti, che mi prendo il tempo di godere. Non si comprano, né si portano a casa. Tutti dovremmo concederci più albe e tramonti: assistere al passaggio dalla luce al buio e viceversa ci fa bene. E’ allineare lo sguardo al sentimento. All’alba la terra ha un sussulto, un fremito: vibrano i cespugli, i rami, i fili d’erba. E si vedono gli animali. Civrari viene da Civra, capra. Oggi al posto delle capre ci sono i camosci. Li cerco con il binocolo, tra i larici, le pareti e i pruni. Li vedo abbeverarsi d’estate, quando l’acqua scarseggia al fontanile di casa. Non è un caso che la borgata si chiami Fontanetta. Ci sono i lupi che circolano intorno, tanto vicini da guardarci negli occhi. Hanno ucciso un capriolo a fianco a casa e se lo sono mangiati tutto in due giorni. Ci sono i cervi. Qualche settimana fa è finito il tempo del bramito. Menomale, perché un maschio dal grande palco non ci ha fatto dormire per molte notti: aveva scelto un cucuzzolo prativo vicino alla camera ed è stata una tortura.

Questo è il piccolo racconto della mia esperienza personale, quel che mi dà il viaggio da casa, del restare anziché andare. La restanza è certamente il massimo dell’ecologico, con impatto vicino allo zero e la possibilità di sentirsi comunque in viaggio. Con la bellezza della natura che viene da me e non sono più io, zaino affardellato, ad andare da lei.

Ho aderito al progetto della Montagna Sacra perché credo rappresenti il modo concreto di passare dall’io al noi. Il diventare responsabili della nostra terra dopo aver solo preso senza dare nulla in un mondo governato dal consumo. Comportarsi non più come i padroni del Creato, ma da ultimi arrivati quali siamo. Ricordando che siamo noi ad avere bisogno della terra e non la terra ad avere bisogno degli uomini. Rinunciare richiede coraggio, ma credo che le limitazioni possano farci crescere.

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3 Comments

  1. says: Cristina Mannoni

    ciao Riccardo, mi ha colpito molto questa tua “evoluzione” spirituale … ti ricordo con affetto e ti abbraccio
    Cristina Mannoni Darchi

  2. says: Teresa

    Grazie Riccardo, non ho avuto la fortuna della tua esperienza di “vita in cammino”, ma la meraviglia della tua “restanza” la sento anch’io, ora che vivo finalmente la libertà del riposo, della quiete della casa, del fuoco del camino, della cura del giardino…..Le parole che hai usato sono un dipinto, una poesia, emozione. Ti abbraccio, nel ricordo e nel piacere di averti conosciuto anni fa, in quel di Fosdinovo…..Teresa DElia

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