Il Monveso visto dall’altra parte
di Toni Farina
Premessa. C’è la guerra in Ucraina: nulla è più lontano dalla cosiddetta “transizione ecologica” di una guerra. Con il costo di uno di quei missili o carri armati si potrebbe ripristinare mezza Amazzonia. Sfamare mezzo Burkina. Sono cose ovvie, stra-risapute, ma ripeterle non è mai male. Così come non è male ripetere che difendere (quel che resta) dell’ambiente naturale del Pianeta è un po’ come difendere la pace.
L’altra parte del Monveso sta in Valle di Cogne, versante destro della Valeille. Monveso di Forzo: ci sarà pure una ragione. In quel di Cogne il Nostro è una cima un po’ anonima, e la concorrenza è spietata. Salire a Gimillan per credere.
Insomma, in Valle di Cogne il Monveso (di Forzo) è un po’ meno sacro. E la proposta di eleggerla a Montagna Sacra per i 100 anni del Parco nazionale Gran Paradiso sta passando come un fastidioso refolo di vento freddo serale in una tiepida giornata di primavera. Quel refolo che ti fa alzare il bavero della giacca, metterti un paraorecchie per non sentirlo.

Cogne, oggi turistica Cogne. C’è differenza con l’altro volto del Monveso, rivolto a una valle ben diversa.
C’è montagna e montagna… Eppure, pare sia proprio dalla quella che oggi chiamiamo Val Soana che arrivarono nella valle bagnata dalla Grand’Evya i primi abitanti. Immagino com’era a quel tempo la valle, impenetrabili selve, e così la Vallée tutta. Anche Re Vittorio per arrivare al Lauson ne evitava il fondovalle per tagliare attraverso la Finestra detta di “Champorcher”. Non erano i dislivelli a spaventare, ma le distanze.
Cogne, oggi turistica Cogne. Vasti parcheggi intorno all’abitato per arginare la ressa da over-turismo estivo. L’idea di una funivia da Aosta per arginare il flusso di automezzi. La titolare di un albergo di Valnontey che, guardando il parcheggio che esonda di auto, e sapendo del mio (scomodo) ruolo di consigliere, mi chiede: “ma a lei sembra che qui siamo in un parco”?
Già, questione di limite, siamo sempre lì. Eppure, proprio i Cogneins conoscono bene il valore del limite, ancora una volta basta salire a Gimillan e bearsi di quello scorcio sublime. L’infilata sulla Valnontey con il Ghiacciaio della Tribolazione (di nome e di fatto: soffre come tutti ghiacciai) e il Granpa che fa capolino è uno straordinario promo turistico, da qualche anno venduto insieme allo stambecco (da qualche anno, perché prima…). Saziato lo sguardo di lontananze, lo sguardo scende dabbasso, su Cogne e sul quel prato, quella distesa libera da abitazioni eletta ufficialmente “Meraviglia d’Italia”. Sia ringraziato Sant’Orso che, vegliando da lassù, ha indotto i Cogneins a fermarsi al di qua. A porsi un limite.
E siamo sempre lì. Il limite è stato fondamentale: immaginate quel prato non più prato.
Tuttavia, proprio il limite crea disappunto, fastidio. A che serve rinunciare a salire su quella cima così secondaria?
Già, a che serve? Che razza di idea bislacca è mai questa!
Forse anche nel 1939, quando si decise di limitare le abitazioni su quel prato, chissà quanti pensavano che si trattasse di un’idea bislacca.
Non costruire su quel prato, che razza di idea bislacca è mai questa…