di Toni Farina
Premessa: dallo scorso maggio è nelle librerie Sacre vette, i simboli sulle cime. Con le croci sui Tremila delle Dolomiti di Ines Millesimi e Mauro Varotto, pubblicato da Cierre Edizioni, un volume che analizzando il tema del “sacro” sui monti contribuisce a sua volta ad arricchire le riflessioni possibili intorno al progetto della “Montagna Sacra” e, più in generale, alla dimensione di sacralità delle vette nelle sue più plausibili e variegate interpretazioni.
In effetti le croci di vetta e le immagini sacre in montagna (Madonne, Cristi, edicole votive), soprattutto in alta quota, sono da anni oggetto di accesa discussione. Molti affermano che fanno parte della nostra tradizione, altri dicono che dovrebbero essere tolte o limitate per salvaguardare la purezza del contesto, altri ancora lo considerano un segno di orientamento irrinunciabile per chi arriva in cima. Il libro di Millesimi e Varotto mette a confronto punti di vista e significati storici, geografici, antropologici, religiosi, giuridici delle croci e dei segni del sacro sulle vette. La croce diventa così, più che elemento divisivo, punto d’incontro e ponte tra dimensione umana, ambientale e spirituale nel senso più ampio del termine. Una descrizione multi e transdisciplinare fatta di voci autorevoli, che invitano alla riflessione e al dialogo, oltre il mito e la rivendicazione identitaria. Ai testi si aggiunge un inserto fotografico con le immagini delle croci di vetta delle Dolomiti: una prima mappatura e documentazione completa di questi manufatti oggi presenti su 34 delle 86 cime dolomitiche oltre i tremila metri di quota.
Per saperne di più sul libro potete visitare la pagina ad esso dedicata nel sito di Cierre Edizioni, qui.
Tra i prestigiosi contributi ospitati dal libro vi sono quelli di Antonio Mingozzi e Toni Farina, membri del Comitato che promuove la “Montagna Sacra” – identificata nel Monveso di Forzo, tra Valle Soana e Valle di Cogne all’interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso – ai quali peraltro si deve l’idea originaria che si è poi sviluppata e strutturata nel progetto in corso.
Su gentile concessione dell’autore si propone di seguito il testo di Toni Farina, mentre il contributo di Antonio Mingozzi è già stato pubblicato in questo articolo. Sono entrambi testimonianze di grande valore e importanza al fine di comprendere in maniera compiuta il progetto della “Montagna Sacra” e di recepirne il fondamentale messaggio di fondo, che anche nel volume di Millesimi e Varotto trova un’ampia e significativa eco.
Buona lettura.
Monveso di Forzo, una montagna sacra per la natura nel Gran Paradiso
È una bella montagna il Monveso, soprattutto se vista da lontano. Soprattutto se vista dal versante piemontese. Dalla pianura canavesana fa concorrenza al piramidale Monte Colombo e alla Torre di Lavina. Le cose cambiano sul versante valdostano: troppa è la concorrenza nella Valle di Cogne, dove il Nostro è un’anonima cima surclassata da montagne bel più prestigiose. Per questa ragione il toponimo completo è Monveso di Forzo. Un riferimento geografico non casuale a questo vallone laterale della Valle Soana, una delle cinque valli del primo parco italiano. Una montagna che non ho mai salito. Troppo lontana, troppo ostica, almeno all’apparenza. E poi, perché salirla? Qui sta il punto.
Salire sulla cima delle montagne: un’attività sana, all’aria aperta (outdoor). Per molti, qualcosa di più, di diverso, da un semplice sport, che va oltre il gesto tecnico, oltre la performance. Un’attività “nobile come un’arte, bella come una fede, utile come il lavoro” (Guido Rey, sulla tessera del CAI). E per taluni, di lavoro in effetti si tratta. E ancora: una sfida, andare oltre il “limite”. Tutto ciò nell’evo moderno, perché fino a metà ‘800 salire sulla cima di una montagna era semplicemente inutile. Energia buttata senza costrutto, già troppe erano le fatiche. Ma anche nell’evo moderno c’è chi (Lionel Terray) ha definito i salitori di montagne “conquistatori dell’inutile”.
Ci sono però luoghi al mondo in cui si ritiene che salire sulla cima di una montagna, di una certa Montagna, non vada fatto per rispetto, perché lassù non c’è solo vento…
Non ho mai salito il Monveso, e oggi, capacità fisica a parte, ho una ragione in più per non salirlo. Ho aderito a un comitato che ha denominato quella montagna “sacra”. Un’istanza provocatoria, discutibile (infatti è stata molto discussa), ma necessaria per lasciare simbolicamente (e in modo esclusivo) quell’esiguo spazio fisico ad altri esseri viventi. Esseri ai quali sulla Terra Homo sapiens ha tolto via via lo spazio vitale. Il Monveso di Forzo è così diventato simbolo di accettazione di un limite nella società del no-limit. Nessun divieto, ma semplice e personale accettazione di un invito.
Limitarsi dunque a guardare quella cima dal basso. Salendo sulla mulattiera per Boschietto, un borgo semiabbandonato, fermarsi al pilone del Trasi, rapiti dalla potenza primordiale che emana dalle bancate di gneiss e dal torrente, alleati a creare una netta sensazione di superiorità nei confronti dell’Umano.
Sentirsi piccoli. Noi sapiens, fatti a somiglianza di Dio, e quindi esseri che-tutto-possiamo. Assaporare il piacere della rinuncia. Trasformare la rinuncia in un gesto di crescita consapevole. Invertire un paradigma.
Per quanto mi riguarda, l’idea è nata in un giorno di mezzo autunno di un anno che non ricordo. Mi trovavo da solo sui monti del Parco naturale Orsiera Rocciavrè, sul crinale tra la Val Chisone e la Valle di Susa. Appena un po’ di vento, per il resto silenzio. Il tipico silenzio della montagna che si appresta alla stagione delle ombre lunghe. Guardavo a nord le montagne valsusine già imbiancate da un velo di nevina. Pensavo che per mesi nessuno ne avrebbe più calcato la sommità. Un pensiero bello, positivo, affascinante. Che mi dava conforto. Per mesi, e perché non per sempre? “La Cima solitaria, e che possa rimanere così per sempre” (Peter Boardman, appena giunto sulla cima Kangchenjunga; da “Gli eroi himalayani non esistono più”; Rivista della Montagna n. 38; febbraio 1980). Una frase che mi ha sempre affascinato.
Un pensiero prese corpo: individuare una montagna da non salire più. Parlai dell’idea durante un convegno a Susa. Tema: “i grandi cammini”. Citai come esempio un po’ provocatorio la Punta Ramière, importante (e salitissimo) nodo orografico fra l’alta Valle di Susa e il Queyras.
Gran Paradiso, parco centenario.
Anni dopo mi sono trovato a ricoprire la funzione di consigliere nell’ente di gestione del primo parco naturale italiano. Ruolo stimolante, e scomodo: rappresento nell’ente le associazioni di tutela ambientale, istanze non esattamente maggioritarie.
Durante i cinque anni di consigliatura il parco taglierà un traguardo importante: 100 anni di vita. Un evento che avrà un grande risalto. Da metà 2021, per tutto il 2022 e per buona parte del 2023 convegni e incontri si susseguiranno coinvolgendo le valli e i comuni dell’area protetta. Il coinvolgimento del coetaneo Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise esalterà il carattere nazionale dell’avvenimento che ha avrà il suo clou ad aprile 2022 a Roma con l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Fin da subito, tuttavia, scorrendo l’intenso programma di festeggiamenti è sorta spontanea la domanda: passata la festa, oltre al libro stampato per l’occasione, che cosa resterà? Quale sarà il messaggio per il futuro, per i 100 anni a venire? Ecco quindi che il Parco Gran Paradiso e l’anno del centenario sono diventati il dove e il quando per dar concretezza all’idea. Una montagna da non salire più, una montagna sacra per la Natura nel territorio del primo parco naturale italiano.
Il Monveso di Forzo è stata una scelta ragionata. Montagna poco salita e, soprattutto, collocata alla testata del Vallone di Forzo, laterale della Valle Soana, in una delle zone del parco più integre sotto il profilo ambientale. Una scelta tra l’altro coerente con i forti elementi di devozione, di sacralità di questa valle, rafforzati dalla presenta della rupe del Monte Fauterio con il santuario dedicato alla mitica figura di San Besso. L’idea di una “montagna da non salire più” nel territorio del parco in occasione del centenario era anche nei progetti dell’allora direttore del parco, Professor Antonio Mingozzi. Alla sua anticipata uscita dal PNGP, l’idea è stata subito condivisa. Tutt’altro è stato invece, successivamente, l’atteggiamento del consiglio direttivo dell’ente che ha bocciato l’idea, adducendo come ragione principale una eventuale mancanza di rispetto nei confronti di sensibilità personali. Una presunta blasfemia: “nessuno può arrogarsi il diritto di definire “sacra” una montagna”.
Argomentazioni in realtà pretestuose, frutto di un atteggiamento pregiudiziale, peraltro difficilmente comprensibile: Montagna Sacra è progetto culturale, pienamente coerente con il ruolo di costruttore di cultura ambientale di un’area protetta. Soprattutto di una grande area protetta come il Gran Paradiso. Una posizione in realtà politica quella dell’ente parco, in contrasto tra l’altro con la strategia europea di tutela della biodiversità che prevede di proteggere almeno il 30% delle aree marine e terrestri e di sottoporre a protezione rigorosa almeno il 10% delle aree marine terrestri interni all’Unione. Obiettivi ambiziosi che necessitano per il loro conseguimento di un profondo sovvertimento culturale.
Ed appunto questo il fine del progetto. Al contrario dell’ente di gestione del parco, assai diffuso è stato l’interesse mediatico, anche al di là dei confini nazionali. Per la sua indubbia originalità, l’idea di una “montagna da non salire più” è stata rilanciata da molti media, radio, televisioni e giornali. Il dibattito, non solo nella comunità degli alpinisti, è stato vivace. E proprio dagli alpinisti sono (ovviamente) giunte le maggiori perplessità. Talora vere e proprie stroncature. Nel frattempo, è nato e organizzato un comitato promotore composto da persone di varia competenza e sensibilità: scrittori, filosofi, naturalisti, antropologi, attori. Si è strutturata una pagina web dove leggere il progetto e aderire al progetto compilando un semplice modulo. Si sono avviati i contatti con le comunità delle due valli interessate dal Monveso: Valle Soana e Valle di Cogne. La prima, pur fra atteggiamenti contraddittori, ha manifestato segnali di accoglienza positiva, o almeno di non aperto contrasto. Nella seconda, la turistica Valle di Cogne, la più nota per Parco Gran Paradiso, l’idea è stata invece accolta con sufficienza, talora con atteggiamento di scherno.
Chi conosce la realtà socio-economica delle valli del parco non si stupisce di tale esito. La Valle di Cogne in virtù della sua notorietà, dei suoi paesaggi da cartolina, è afflitta da una sindrome da over-turismo estivo. La Valle Soana, “valle fantastica”, come recita un promo turistico, sta invece pian piano prendendo coscienza delle sue intime caratteristiche, assolutamente in sintonia con il progetto Montagna Sacra.
Di questo occorre data atto in primis al giovane sindaco di Ronco Canavese, Lorenzo Giacomino, nel cui territorio si trova il Monveso. Profondamente legato alla valle, dove è nato e tutt’ora risiede, fin dal suo insediamento il sindaco ha palesato un’apertura che si è concretizzata in un incontro pubblico che si è tenuto a novembre 2021 alla locanda di Molino di Forzo.
Il futuro del progetto
Il Progetto Montagna Sacra ha avuto un momento ufficiale di presentazione il 19 novembre 2022 al Museo nazionale della Montagna a Torino. Sede non casuale per un incontro molto partecipato, durante il quale rappresentanti del comitato promotore ne hanno evidenziato aspetti e motivazioni. Ma già a giugno dello stesso anno si era svolta in Valle Soana una manifestazione pubblica: una camminata di riflessione da Molino di Forzo alla Borgata Boschettiera, seguita da concerto del Gruppo LaabGral. L’evento si è ripetuto con maggiore partecipazione a giugno 2023. Nei due anni citati è proseguita la raccolta di adesioni giunte a 1300 (settembre 2023). Cifra all’apparenza non elevata, ma in realtà soddisfacente alla luce della difficoltà di comunicare un progetto così impegnativo e che investe in modo importante le diverse sensibilità. Hanno aderito al progetto il Club Alpino Italiano (con apposita delibera del consiglio centrale) e l’Alpine Club (club alpino inglese). La non adesione dell’Ente Parco nazionale Gran Paradiso ha avuto certamente un ruolo negativo in termini di diffusione e comunicazione, ma, vista oggi, la non adesione di un ente pubblico è in realtà un elemento di distinzione, di ricchezza: è bene infatti che il progetto mantenga la sua caratteristica non istituzionale, priva di condizionamenti.
Siamo convinti che, alla luce del trend climatico e della conseguente, e sempre più palese, necessità di porre un limite al consumo di risorse planetarie ed erosione di biodiversità, un progetto che ha nel limite dell’azione umana la sua cifra fondante non potrà che suscitare interesse crescente. Accanto a iniziative generali e diffuse, proseguirà il fondamentale dialogo con le comunità locali. Siamo d’altro canto convinti che, in particolare per la Valle Soana, il progetto Montagna Sacra costituisce una opportunità di futuro legata a forme di turismo riflessivo e autenticamente consapevole. Gran parte del successo (anche mediatico) del progetto dipende proprio da questo. Rileggo perciò le dichiarazioni di Ettore Champretavy, montanaro di Introd, artigiano posatore di lose, detentore fino al 2019 del record di salita e discesa dalla cima del Gran Paradiso.
Per me montanaro fa un po’ strano non salire su una montagna, io che sono stato tra i pionieri dello skyrunning, ossia il movimento sportivo dei “corridori del cielo”. Però sono pienamente d’accordo con il messaggio del progetto Montagna Sacra, in quanto sono figlio delle Alpi ed i miei avi hanno vissuto grazie al continuo e quotidiano superamento della verticalità senza però ricercare l’effimera euforia della conquista delle vette. Io vivo grazie alle loro fatiche e alla loro saggezza. Quindi la montagna si può scalare ma si può benissimo anche solo contemplare e direi che in questo mondo assurdo di continua corsa agli eccessi un po’ di contemplazione non guasta.