Apertura senza fine

Apertura senza fine
(presentazione del libro omonimo di Emanuele Avolio)

Fresco di recente pubblicazione, settembre 2023, Apertura senza fine di Emanuele Avolio, edito da Versante Sud, supera la definizione di opera e rischia d’essere un vero e proprio trattato, perché è il risultato di un lavoro di ricerca davvero imponente. È un viaggio che intende condurre il lettore attraverso oltre mezzo secolo di evoluzione dell’arrampicata romana, combinando la rigorosa documentazione con frequenti e simpatici tocchi picareschi. E’ un mosaico dall’iconografia più lineare possibile, anche perché l’autore ha adottato, nella ricostruzione degli eventi, un preciso principio: quello della priorità d’azione. Privilegiando, dunque, chi aveva compiuto qualcosa che poi aveva influenzato altri arrampicatori, contribuendo ad alimentare l’eterna catena di ispirazione che ha portato avanti fino a oggi una lunga serie di aperture senza fine.

Luca Grazzini soto al Ponte Sant’Angelo

Già nell’introduzione siamo avvertiti che le fonti consultate sono sia scritte che orali: si parla di interviste “prolungate”, di memorie personali, di libri e articoli pubblicati su riviste di varia natura, perfino del ritrovamento di una copia miracolosamente salvata del blog Fuorivia e, soprattutto, dello storico Quadernone della SUCAI, su cui gli alpinisti romani segnavano le loro prestazioni e le aperture.

Il 5 ottobre 2023 sono ricominciate le serate da RrTrek, forse  il più attivo negozio romano di articoli sportivi per l’alpinismo, l’outdoor e l’arrampicata. Ciò in occasione della presentazione del libro Apertura senza fine di Emanuele Avolio. Oltre all’autore erano presenti Luca Bevilacqua, l’editore Roberto Capucciati, Luca Grazzini, Bruno Vitale, Angelo Monti, Silvia Labozzetta e Antonella Strano.

Negli anni, diversi arrampicatori romani avevano intrapreso la via della scrittura, pubblicando storie, autobiografie e memorie. Mancava, però, un’opera che riunisse le vicende raccontate a quelle non raccontate e si facesse carico di dipingere l’evoluzione dell’arrampicata su roccia con le sue linee di sviluppo, le sue traiettorie geografiche e relazionali, le sue reti culturali. Un’opera che non avesse la pretesa di essere esaustiva nei dettagli, bensì orientativa, quasi un manuale, il cui scopo fosse fornire il quadro d’insieme.

La storia dell’alpinismo e dell’arrampicata è storia di culture “tribali”. È la storia di comunità di persone che hanno scoperto un terreno di gioco e ne hanno via via esplorate le possibilità; le hanno, certo, sviluppate negli anni grazie alla reciproca comunicazione regionale e internazionale, ma rielaborandole pur sempre sulla base del momento e dell’ambiente reale, trasmettendone i risultati solo ai membri del gruppo che in quel momento formavano. Per capire l’arrampicata, questo concetto di filiazione e trasmissione culturale è fondamentale: perché aver ricevuto iniziazione, impostazione, visione da uno piuttosto che da un altro, può variare anche di molto il proprio modo di concepire, esprimere, vivere questa disciplina.

1974. Donatello Amore sul grande traverso della via Dimai alla parete sud della Tofana di Rozes, una delle prime salite in scarpe da tennis. Foto: Archivio Donatello Amore.

Avolio ha il pregio di immergerci di continuo nel contesto, intrecciando le vicende di ciò che avveniva in verticale con la base sociale dei protagonisti.

Il titolo prende il nome da una via aperta da Fabio Delisi e Simone Gozzano nella falesia di Sperlonga, la prima vera mecca dei falesisti romani, nei primi anni ’80.

Quindi si parte da Enrico Jannetta, “classe 1889, ragazzo avventuroso e intraprendente, chiamato alle armi con gli Alpini“, che una volta rientrato a Roma “si diede a una notevole attività alpinistica“; ma subito dopo sono raccontati i primi grandi personaggi degli anni Quaranta e Cinquanta, Paolo Consiglio, Franco Alletto, Franco Cravino e Bruno Dado Morandi.

La figura di Gigi Mario giganteggia, anche se il racconto della sua incredibile epopea forse non chiarisce le modalità e le motivazioni del suo passaggio dall’alpinismo all’arrampicata.

Roberto Ciato su Sacrilegio al Tempio di Sperlonga. Foto: Archivio Pierluigi Zolli.

Infatti, fino alla fine degli anni Settanta, l’arrampicata (che non era ancora definita sportiva ma piuttosto free climbing) era una vera e propria costola dell’alpinismo, praticata perciò dagli alpinisti che si formavano nella SUCAI, Sottosezione Universitaria del Club Alpino Italiano, nata nel 1908 (soppressa nel periodo fascista e poi ricostituita nel novembre 1946), composta principalmente da giovani universitari che avevano trovato un modo per distaccarsi dalla gerarchia dominante del CAI per cui l’arrampicata continuava ad essere solo strumentale, un allenamento per praticare meglio l’alpinismo.

La scuola vede in Gianni Battimelli il mentore per eccellenza dell’arrampicata, il trait d’union con l’alpinismo, mentre con Rys Zaremba è identificato il “capofila nel tentare in libera i passaggi delle vie aperte in artificiale nelle palestre, imitando alla falesia del Morra, vicino Tivoli, quello che inglesi e francesi facevano sulle loro fessure e soprattutto introducendo l’uso delle scarpe morbide al posto degli scarponi tradizionali”

Lo spazio dedicato a Pierluigi Bini è giustamente cospicuo. E’ intenzione dell’Autore, facilmente condivisa, di stravolgere il lettore descrivendo la sua meteora e l’enorme influsso che ebbe su altri giovani.

Bini, tra il 1975 e il 1979, si mette tanto in mostra da doverlo considerare “lo spartiacque della storia dell’arrampicata romana non solo per quel che ha compiuto lui, ma anche per quello che ha ispirato negli altri”, in quanto cambia radicalmente i pensieri e l’approccio alla montagna avventurandosi slegato e con scarpe di gomma, le famose Superga. Calzature che hanno rappresentato la svolta per molti praticanti, tra cui Luca Grazzini che “spingeva al massimo le possibilità delle Superga, testandole sui calcari di Sperlonga e rodandole sul Gran Sasso” e Dolomiti.

Roberto Ciato su Ridi mo a Grotti. Foto: Pierluigi Zolli.

Il lettore si ritrova sbalzato piacevolmente tra le aule universitarie di fisica nel 1968, luogo di raccolta di studenti “sucaini” e le montagne del Gran Sasso e delle Dolomiti: passaggi sempre leggeri, nello slancio verso i “nuovi mattini”, sottolineando l’onnipresente umorismo e la smania di dissacrazione che si rispecchiava nei nomi delle vie e nella ricerca di nuovi itinerari.

Vengono raccontati alcuni particolari delle visite che il sottoscritto fece nel Lazio quando nel 1981 lavorava al suo libro-guida Cento nuovi mattini. Con la sua opera successiva (1982, Mezzogiorno di pietra), ebbi modo di consacrare definitivamente “le conquiste degli arrampicatori romani nelle loro pareti sul mar Tirreno”. In questo ebbi il grande aiuto di Fabrizio Antonioli e di Giorgio Mallucci.

A questo punto, però, sono costretto ad una precisazione. Nelle tante giornate spese per le salite delle cento vie del libro, assieme ai miei compagni facevo anche un altro lavoro, quello di precisare anche a noi stessi cosa si intendesse esattamente per arrampicata libera, in tempi in cui le codifiche di RP, onsight, flash ed altre definizioni erano ancora ben lontane dalla chiarezza per tutti. In quel periodo coniai la parola resting, per identificare il momento in cui ci si appende a un chiodo o altra protezione per riposare e poi riprendere i movimenti in arrampicata libera. Forse giustamente, questo non è un concetto degli anglo-sassoni: nel loro lessico neppure oggi questa parola esiste, per loro è comunque “aid”, cioè “artificiale”. Tutto questo per dire che, con grande mia sorpresa, ho letto che Avolio mi attribuisce la responsabilità di aver creato confusione nelle giovani menti di quel periodo. Io ho solo parlato di resting (pratica, peraltro, comunissima nei fatti, sia che la si voglia o non la si voglia distinguere dall’artificiale vero e proprio, quello che oggi si chiama “mungitura”) e non ho mai né detto né scritto che il resting è accettabile in una salita rotpunkt.
Non me ne voglia Avolio, ma tanto dovevo dire.

Fino ad arrivare al 1983, quando la guida alpina Paolo Caruso, reduce da audacissime imprese alpinistiche nel Gran Sasso, sulla via Il lungo cammino dei Comanches, a Sperlonga, pianta uno spit calandosi dall’alto per poi superare un tettino di difficoltà estrema: è lo spartiacque, la nascita dell’arrampicata sportiva romana.

Roberto Iannilli in apertura su Uomini finiti, Vetta Occidentale del Corno Grande, parete est. Foto: Archivio Iannilli.

La “scoperta” di Sperlonga (Stefano Finocchi, Andrea Di Bari e altri) non ha solo segnato il divario con l’alpinismo e con le difficoltà classiche: è stato anche palcoscenico dell’avvenuta mutazione culturale e sociale di una disciplina che non era più appannaggio dei soli studenti e dei radical chic.

Un battaglione di adolescenti borgatari, tanto bravi quanto leggeri, che “con spirito goliardico e festaiolo” hanno a poco a poco fagocitato e rimodellato pareti, gradi, stili, difficoltà e mentalità, novelli Caronte verso l’arrampicata del nuovo millennio (Francesca Chicca Colesanti)”.

Negli anni successivi l’arrampicata sportiva è diventata di interesse degli sponsor: è entrata, perciò, nel mondo del mercato. Nei circuiti internazionali di competizione è diventato così possibile costruirsi una carriera sportiva. Andrea Di Bari, sfruttando l’onda dell’agonismo, è quello che è riuscito meglio ad affermarsi tra i migliori arrampicatori del mondo.

Avolio ci racconta parecchi episodi, molto divertenti, sulla manifesta rivalità tra i vari protagonisti, principalmente quella tra Di Bari e Finocchi. Di contro abbiamo letto anche tanti aneddoti legati alle scalate, agli episodi di convivenza goliardici e alla formazione di amicizie che resistono ancora oggi. Tutto ciò ha consentito un’evoluzione assai rapida verso le massime difficoltà, si vedano ad esempio le performances di Alessandro Jolly Lamberti e di Laura Rogora. Evoluzione che si è dipanata attraverso le aperture in altri siti come Grotti, Ferentillo, Pietrasecca, il grottone dell’Arenauta, Ripa Maiala, Frosolone che si sono aggiunti all’ormai storica Sperlonga.

Dice Alberto Incerti: “La ricerca del passaggio sempre più difficile è sfociata poi nel boulder, o sassismo. Un’attività ancora più estrema che – come scrive l’autore – “sarebbe divenuta commercialmente la formula vincente per la divulgazione dell’arrampicata al grande pubblico delle palestre. Nel centro Italia ha avuto il suo epicentro a Meschia, in provincia di Ascoli Piceno, per poi diffondersi anche nel Lazio”.

Nel tracciare la storia dell’arrampicata sportiva fino ai giorni nostri, Avolio non dimentica di tornare, saltuariamente, all’alpinismo. Non so se per esigenze di spazio, ma occorre dire che in generale non è data quella grande attenzione alle grandi pareti, riservata invece alle falesie. Su questa traccia, la figura di un Roberto Iannilli è tracciata un po’ frettolosamente.

Il volume è corredato da moltissime fotografie, la maggior parte inedite. Qualche lieve critica va fatta alla qualità di stampa.

Emanuele Avolio

Concludo con la benevola critica di Chicca Colesanti: “Pur risentendo ancora di una prospettiva “maschiocentrica” della storia dell’arrampicata e dell’alpinismo romani, le figure femminili, a cominciare da quelle che hanno segnato dei chiari punti di svolta come Chiaretta Ramorino, Germana Maiolatesi, Antonella Strano sono assenti o appena accennate; altre sono relegate alle note oppure presenti perché compagne di qualche alpinista maschio”.

La stessa Colesanti ha un moto di grande comprensione e vicinanza all’autore quando scrive: “Come tutte le storie che riguardano culture tribali, anche quella dell’arrampicata romana è complessa ed estremamente sfaccettata, ricostruirla equivale ad entrare nudi in un vespaio. Non so se Emanuele Avolio, che conosco solo di sfuggita, ne sia uscito vivo. Ma certamente, con curiosità, pazienza, fatica, tutto condito da una buona dose, immagino, di masochismo, ci ha fatto un bel regalo”.

Emanuele Avolio è laureato in Filologia, letterature e storia del mondo antico alla Sapienza. Per un breve periodo ha pensato di lavorare a una tesi di dottorato in Storia antica, ma alla fine ha preferito scrivere questo libro. Nel tempo non libero insegna nei licei, in quello libero dice di arrampicare.

Apertura senza fine. Storia dell’arrampicata romana
di Emanuele Avolio
Collana: I rampicanti
editore: Versante Sud, 2023
ISBN 8855471384, 9788855471381
264 pagine
Euro: 20,00

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3 Comments

  1. says: bruno telleschi

    Troppi ricordi e rimpianti: all’epoca (nato nel 1947) ero già vecchio per vivere un’esperienza giovanile. E poi la scuola esauriva il mio impegno.

  2. says: bruno telleschi

    …ringrazio in particolare Pierluigi Zolli, il mio giovane e benevolo maestro!

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