Arrampicata e Consumismo

di Guglielmo Magri, pubblicato su Effimeri traguardi in data 1 febbraio 2018.

Lo puoi veder da te che l’arrampicata è già palesemente coinvolta nel naufragio culturale di una società che non si è sviluppata in alcun modo, se non nell’incremento del consumo di beni superflui.
E allora non rimane altro che entrare in contatto con la parte vera di te, l’ultima rimasta non ancora soffocata da miriadi di sovrastrutture sociali e intrinsecamente autentica. Tentare di migliorare attraverso la fatica, l’ultimo atto nobile rimasto: sudare, arcuare, sbuffare e provare dolore e chissenefrega se è tutta una menzogna, se l’arrampicare stesso è un muoversi in equilibrio fra una catena e l’altra. Anch’essa può diventare rivelatrice e catartica se la portata di Te in quel che fai è onesta e totalizzante.

Perché fra uno spit e l’altro tu metti sul piatto il tuo fallimento: senza ammortizzatori, né giustificazioni, senza garanzie, né responsabilità altrui. Ed è per questo che il lavorato ha e avrà sempre un valore ascetico che nessun a vista potrà lontanamente sfiorare: perché tu vai incontro al fallimento, ben consapevole dei tuoi limiti, a carte scoperte e ci vai a testa alta, per combattere. Che non significa necessariamente vincere.
Non ci sono scuse di prese non viste o sequenze corrette non imbroccate, si gioca a carte scoperte, davanti a tutti. Tu sai tutto, il tuo nemico sa tutto: sa dove potresti cadere e dove non riesci neanche a decontrarre un minimo, tanto da dover saltare la rinviata. E in quei dieci minuti e una trentina di prese tutte d’un fiato, col cuore in gola e il culo stretto, tu ti giochi tutto. Ti giochi molto di più che un giro sul tiro o qualunque altra cazzata tu abbia raccontato per smorzare la tensione prima di partire.

Arrampicata lavorata.

Ti giochi l’idea stessa che hai di te.

E magari è una stupidaggine, magari ti complichi solo la vita, magari si, forse è tutto inutile, magari tutto quel che si vuole. Ma dentro, in quel preciso istante in cui stacchi il secondo piede da terra, tu sei fuoco vivo, fiamma che scorre e domina, che fra un’arcuata e un tallonaggio si distende rivelatrice innanzi al dolore. La via non ha più grado né segreti: lei è solo lei e tu sei solo tu.
Tu sei allenato, in condizioni fisiche strepitose e con un vento da nord a sgombrare il campo da ogni umida scusante.
Lei è campo di battaglia e territorio di verità che va al di là dell’idea stessa di sconfitta e di vittoria e la trascende.
Perché è solo la verità l’unica cosa rimasta per cui valga ancora la pena provare ad esser vivi

Una mia rielaborazione da un post di Che grado fai su un tema che mi interessa particolarmente.

 

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