Cinque Terre, il parco alla rovescia

Da mille anni l’uomo ha plasmato il territorio delle Cinque Terre. Un paesaggio fatto di storia, cultura e fatica profusa dagli abitanti di Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso, che il Parco nazionale sta cercando di salvaguardare.

Cinque Terre, il parco alla rovescia
di Claudia Reali
(pubblicato su piemonteparchi.it il 4 luglio 2022)

Di verde, di sole e di azzurro. Ma anche di promontori rocciosi e di antichissimi terrazzamenti. Sono le Cinque Terre, l’emblema del paesaggio piegato e plasmato dall’uomo. Paesini arroccati come nidi d’aquila dove l’aria profuma di rosmarino, timo, elicriso e lavanda. Dove la vera specie da proteggere è proprio l’essere umano, quello autoctono e disponibile a mantenere con il sudore i piccoli appezzamenti rubati alla montagna, segnati da una fitta trama di muretti a secco. Giù c’è il mare che “scaglia a scaglia, livido muta colore”, come raccontava nelle sue rime il poeta Eugenio Montale, che a Monterosso visse i suoi soggiorni estivi durante l’infanzia. Nel 1999 è stato istituito il Parco Nazionale delle Cinque Terre: esteso per 3.868 ettari è tra i parchi nazionali più piccoli d’Italia ma, allo stesso tempo, è il più densamente popolato, con circa 4.000 abitanti suddivisi in cinque borghiRiomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso al Mare. «E, non da ultimo, è uno dei più visitati. Prima del Covid si toccavano punte di 3 milioni e mezzo di turisti all’anno», ci racconta Patrizio Scarpellini, direttore del Parco da marzo 2020. Lo raggiungiamo al telefono e presto la sua voce viene interrotta dall’annuncio del treno in arrivo alla stazione ferroviaria di Manarola. È proprio qui che ha sede l’area protetta. «D’altra parte il treno è stato un elemento fondamentale per questi luoghi», continua. «Ha tolto dall’isolamento i borghi collegandoli tra loro e con Genova, e allora sono arrivati frotte di turisti. Il rovescio della medaglia è stato l’abbandono delle attività tradizionali, in primis delle coltivazioni sui terrazzamenti».

Manarola dall’alto. Foto: Parco Cinque Terre.

Un’opera mastodontica
La storia dei muretti a secco e della viticoltura da queste parti ha almeno mille anni. Questo complesso sistema di livellatura del suolo, oltre a consentire di ottenere strette strisce di terra coltivabili, dette ciàn in dialetto, ha permesso di regolarizzare il naturale corso delle acque meteoriche. In origine la coltivazione dell’uva non aveva lo scopo di produrre il vino a livello locale, ma l’uva stessa era trasportata via mare diventando merce di scambio per ottenere farina e grano. In sostanza si coltivava per sopravvivere. Per questo generazioni di uomini si sono rotte la schiena, arrampicandosi sui crinali e spaccando pietre sotto il sole. Non a caso, anche oggi, viene chiamata “viticoltura eroica”. «Poi tutto prese un’altra piega. La costruzione dell’arsenale militare di La Spezia cambiò radicalmente la vita degli abitanti della Riviera di Levante. Gli uomini abbandonarono la terra per lavorare lì mentre le donne continuarono a faticare sui ciàn. Fino all’arrivo della ferrovia quando per tutti il vero business divenne il turismo», continua Scarpellini. Il problema però è che un sistema come questo, se non viene costantemente tenuto in efficienza e mantenuto, subisce un rapido degrado, spesso irreversibile. E stiamo parlando di 8 milioni di metri cubi di muretti a secco, che coprono una superficie di 2.000 ettari per una lunghezza totale di oltre 6.500 chilometri! Questa monumentale opera è stata inserita nel 1997 tra i siti del Patrimonio Mondiale dell’Umanità come “paesaggio culturale” perché “rappresenta l’interazione armoniosa tra uomo e natura per produrre un paesaggio di eccezionale qualità scenica”.

Interventi nell’ambito del progetto “Banca del Lavoro”. Foto: Catherina Unger.

Paesi ricchi, paesi vuoti
Per contrastare questo declino il Parco Nazionale delle Cinque Terre, dal momento della sua fondazione, ha avviato una fitta rete di interventi volti alla tutela e conservazione di questa testimonianza storico-culturale. «Questo è un Parco alla rovescia perché, contrariamente a quanto accade in altre aree protette dove è necessario mitigare l’impatto antropico ed evitare il contatto con le specie autoctone, qui l’obiettivo è che l’uomo ritorni a presidiare il territorio. È fondamentale per il suo equilibrio. L’aspetto sociale bizzarro di questi luoghi così ricchi grazie al turismo è il pericolo svuotamento dei paesi, esattamente come accade nelle economie depresse. Qui se muore un anziano la sua abitazione diventa al 99% un B&B. Bisogna invece creare le motivazioni affinché si resti e si torni a coltivare. Anche perché è fondamentale per mantenere un equilibrio idrogeologico. L’alluvione del 2011 insegna. Il ruolo quindi del Parco è coniugare il turismo con il recupero dei terreni abbandonati. Come? Individuando gli strumenti giusti», dice Scarpellini. Uno di questi si chiama Carta Europea Turismo sostenibile (CETS) e serve a “favorire un’offerta innovativa e di qualità capace di valorizzare la cultura locale e di riscoprire il processo identitario della popolazione residente, valorizzando e tutelando le risorse naturali e paesaggistiche”. Nella sostanza sono stati organizzati dei forum coinvolgendo i residenti e i portatori di interesse per trovare soluzioni adeguate al problema dell’abbandono della terra. Nella Fase 2 della CETS è stato istituito il Marchio di Qualità 2.0, assegnato dal Parco alle imprese turistiche delle Cinque Terre che si sono impegnate in un percorso volontario di qualità, rispetto dell’ambiente e valorizzazione della cultura e dell’identità locale, soprattutto attraverso la proposta di prodotti tipici. In tal senso anche il turista è parte attiva nella salvaguardia di questo territorio attraverso il consumo e l’acquisto delle specialità locali, testimoniando la consapevolezza della fatica che si cela dietro un bicchiere di vino.

Lavori di restauro di un muretto a secco. Foto: Parco Cinque Terre.

Creare forza lavoro
Un altro importante progetto che è stato avviato dal Parco è la Banca del Lavoro. «È nato dall’incontro di due esigenze: quella di soddisfare la crescente domanda di maestranze nella coltivazione e manutenzione del paesaggio costruito delle Cinque Terre e quella di individuare un inserimento socio-lavorativo per i disoccupati e le persone in difficoltà. Sono stati quindi organizzati dei corsi di formazione per imparare a disboscare i terreni abbandonati e a ricostruire i muri a secco. A questo progetto hanno aderito anche tanti immigrati, che hanno potuto integrarsi maggiormente. L’80% dei partecipanti ha trovato poi lavoro stabile nelle aziende agricole. Inoltre, oggi chi ha bisogno di braccianti sui terrazzamenti può rivolgersi direttamente al Parco», racconta Scarpellini.

Salvata l’agricoltura, si salva dunque anche l’identità delle Cinque Terre? «Stiamo lavorando perché possa esserci un nuovo turismo, più consapevole e attento alle peculiarità locali. Veicolando la domanda verso le nostre tipicità anche culturali si garantisce un’economia basata sulle attività tradizionali. E i residenti non scappano». Perché qui gli abitanti non sono pescatori, ma contadini con la barca. E la terra è il patrimonio più grande.

Per approfondimenti
Sito ufficiale del parco nazionale delle Cinque Terre

More from Alessandro Gogna
Tom
Tom, il film su Tom Ballard, di Angel Esteban ed Elena Goatelli,...
Read More
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *