Il vescovo di Pinerolo e “La Montagna Sacra”

Tra le numerosi attestazioni – tutte estremamente positive – che sta ricevendo La Montagna Sacra, l’ultimo libro di Enrico Camanni edito da Laterza e disponibile nelle librerie dallo scorso mese di aprile, ve n’è una che forse ad alcuni potrebbe apparire sorprendente e non scontata – ovvero, che si potrebbe ritenere tale ma solo in forza di un punto di vista fin troppo convenzionale sul tema richiamato dal titolo del libro, riferimento diretto al progetto “Monveso di Forzo Montagna Sacra”. È la testimonianza del vescovo di Pinerolo Derio Olivero, messa nero su bianco in un articolo a sua firma apparso sul settimanale L’Eco del Chisone il 24 aprile 2024, che vedete nell’immagine sopra pubblicata e potete leggere nella trascrizione sotto riportata (a cura di Alessandro Gogna al quale va il ringraziamento al riguardo).

Ci permettiamo di rimarcare quanto sia significativo che un esponente del clero cattolico abbia còlto più di molti non credenti l’accezione compiutamente laica dell’attributo «Sacra» che è fondamentale nell’idea originaria e nel concetto di fondo espresso dal progetto che interessa il Monveso di Forzo. Un’accezione laica sulla quale Camanni ha ampiamente dissertato nel proprio libro, peraltro senza che questa possa ritenersi contrapposta all’accezione prettamente religiosa del termine, derivando entrambi dalla stessa dimensione etimologica e semiologica originaria – proprio come denota lo stesso vescovo Olivero nelle proprie considerazioni.

Buona lettura.

[Derio Olivero sulla Punta Roma, 3070 m nel gruppo del Monviso, la cui vetta è visibile sullo sfondo.]

Con sacro rispetto
di Derio Olivero, vescovo di Pinerolo

(pubblicato su L’Eco del Chisone il 24 aprile 2024)

Oggi ho avuto il piacere di incontrare Enrico Camanni, famoso alpinista e giornalista. Sono andato alla presentazione del suo ultimo libro, La montagna sacra. In esso l’autore presenta una proposta interessante e innovativa, avanzata nel 2021: eleggere, nel Parco del Gran Paradiso, una montagna sacra. Si tratta di scegliere una montagna e decidere di “astenersi” dal salire sulla sua cima. Dichiararla sacra. Non per motivi religiosi, ma laici. Per dire: pur potendo salire, scegliamo di metterci un limite e ci asteniamo dal farlo. La dichiariamo “inviolabile ed inaccessibile”.

Mi è piaciuta questa proposta. È un bellissimo stimolo per recuperare la “dimensione del sacro”. Nel nostro mondo la dimensione sacra è praticamente scomparsa. Tutto è “profano”, è semplicemente quello che è. Una montagna non è altro che un ammasso di rocce. Un ammasso a mia disposizione. Posso salire quando voglio, conquistarla, credermi padrone lassù in cima. È un ammasso di rocce al mio servizio. Proprio come le mele, il grano, l’aria, l’acqua, il vino, le scarpe. Sono soltanto oggetti in mio potere. Oggetti muti, a servizio. Così i laghi, i fiumi, i fiori. Oggetti da usare. A piacimento, senza limiti. In questo modo ogni cosa perde la sua dimensione sacra. Ogni cosa è “nient’altro che quella cosa”. Tutto si sgonfia, perde fascino, perde bellezza. Diventa possesso, perde stupore. E il mondo intero diventa una cava di pietre al nostro servizio. Al servizio di noi umani.

Gli altri (gli animali, le piante, le rocce) perdono spazio, arretrano, addirittura scompaiono. Noi siamo i padroni. Oltre noi non esiste nulla. Siamo al di sopra di tutto. Rimasti unici sovrani, indiscussi sovrani della terra. Tutto ciò che si può fare si deve fare. Non ci sono limiti. Tutto è in nostro potere, non c’è limite al potere. Nulla è “sacro”, nulla è “inviolabile”. Perché il sacro suggerisce proprio l’idea di un “oltre”. Ci fa intuire che non siamo i padroni assoluti. Ha il sapore dell’inaccessibile. Un luogo dove “bisogna togliersi i sandali”, andare in punta di piedi, con ‘sacro rispetto’. I luoghi sacri servivano proprio a questo scopo: riconoscere una “Presenza” che è “più grande”, che è “oltre il nostro potere”. Come scrive Umberto Galimberti: “Sacro è parola indoeuropea che significa ‘separato’. La sacralità, quindi, non è una condizione spirituale o morale, ma una qualità che inerisce a ciò che ha relazione e contatto con potenze che l’uomo, non potendo dominare, avverte come superiori a sé, e come tali attribuibili a una dimensione, in seguito denominata ‘divina’, pensata dunque come ‘separata’ e ‘altra’ rispetto al mondo umano”.

Mi piace la proposta di dichiarare sacra una montagna. È una bella provocazione alla nostra cultura perché ci allena a riscoprire i limiti e a recuperare il senso della meraviglia. “È tempo di cambiare. Conquiste non più fisiche, ma spirituali. Cime come luoghi da lasciare ‘inviolati’ alle aspirazioni di ‘possesso’ fisico, ma fonti di ispirazione, contemplazione e riflessioni interiori (p. 170)”. “Da qui in avanti il momento più facile in cui fermarsi è ora. Ora è più difficile di ieri, ma è più facile di domani. E oggi è già domani (p. 135)”. Inizieremo a fermarci alla base della montagna sacra e staremo lì ad ammirarla. Sarà un bel modo per riscoprirla. Magari iniziando già questa sera a fermarci un attimo davanti a una mela o una pagnotta di pane. Con sacro rispetto.

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