E’ vero, sono stato uno dei primi a portare l’arrampicata sportiva nel Lecchese però, ci tengo a dire, in contemporanea con altri scalatori sparsi per l’Italia da Arco di Trento a Finale Ligure alla Val di Susa, tutti intenti a “violentare” la roccia con i famosi spit.
La mia storia proviene dall’alpinismo, come per tanti altri, perché all’epoca l’arrampicata sportiva non esisteva e quello che mi spingeva a muovermi sulle pareti era proprio la passione per l’alpinismo. Inoltre, essendo cresciuto con il riferimento ai personaggi mitici dell’alpinismo lecchese, Cassin, Bonatti, Boga, Ratti ed altri che ora non sto a citare, anch’io nel mio piccolo ero stimolato a migliorare ripetendo vie sempre più impegnative sulle grandi pareti delle Dolomiti e del Monte Bianco o anche fuori dall’Europa, mentre nel frattempo leggevo e cercavo di informarmi. Non c’era Internet ed era molto più difficile accedere alle notizie di quello che succedeva, per esempio, negli Stati Uniti o in altre parti del mondo. Non è come oggi che schiacci un bottone e scopri quello che hanno fatto certi scalatori cinque minuti prima.
Era chiaro però che l’alpinismo stava subendo una radicale trasformazione, grazie alla forte spinta verso l’innalzamento della difficoltà in arrampicata libera. Essendo appassionato di scalata e proveniendo dallo sci agonistico veniva spontaneo mettermi in gioco, ponendomi la domanda: “come è possibile migliorare frequentando solo le vie in montagna? Ci vorrebbe qualcosa di diverso”. Mi accorsi ben presto che la soluzione era a portata di mano… Le falesie non le ho inventate io; c’erano già; bastava semplicemente “vederle”. A quei tempi esistevano le vecchie vie sul Nibbio ai Piani dei Resinelli, il Sasso di Introbio era frequentato dal Don Agostino con i suoi Condor (il gruppo che il sacedote fondò nel 1974-75) e sulla comoda parete del Medale si allenavano i più forti alpinisti allora in circolazione.
Quindi, ripetendo a mia volta gli itinerari su queste “palestre di roccia”, mi accorgevo che c’erano larghi settori vergini e anche più compatti, perché le vie esistenti seguivano le linee logiche dove c’erano le fessure per piantare i chiodi. Era ovvio che proprio lì, su quelle falesie, bisognava cercare la difficoltà tecnica.
I primi esperimenti li ho fatti al Sasso di Introbio perché è il più comodo. Dopo aver salito le vie aperte dal Don Agostino Butturini, mi sono calato a fianco di queste posizionando gli spitper poi cercare di salire in libera come spiegava Pietro Corti. Da lì è partito tutto, poi ci sono stati gli sviluppi che hanno portato alla situazione di oggi.
Terrei a precisare comunque che allora non vedevo questi esperimenti come una cosa rivoluzionaria, considerandoli più semplicemente come una naturale evoluzione dell’alpinismo che era già in corso.
Anche i nostri “antenati” infatti hanno sempre cercato di salire vie sempre più difficili e già da qualche anno si parlava di settimo grado, andando oltre il mitico “sesto”. Nel 1977 Reinhard Karl ed Helmut Kiene aprirono la via Pumprisse al Fleischbank nel Kaisergebirge (Austria), gradandola provocatoriamente VII grado. Difficoltà che sarà ufficializzata nel 1979 aprendo finalmente verso l’alto la scala tradizionale delle difficoltà su roccia. A maggio del 1977 Antonio Boscacci e Jacopo Merizzi salirono la placca della Nuova Dimensione in Val di Mello, dichiarando VII-. Verso la fine degli anni ’70 Ivan Guerini ripeté alcune vie del Sasso di Introbio in Valsassina (Lecco) senza utilizzare i chiodi per la progressione, parlando di VII / VII+.
Pietro Corti sa esattamente che intorno alla metà degli anni ’70/ ’80 si aprivano vie lunghe al massimo 50 metri in stile classico, salendo dal basso e proteggendosi con i chiodi come se si fosse su una qualsiasi parete alpina. Mi ha detto di essere affascinato dall’idea che io, arrivato in auto alla base del Sasso, decidessi di chiodare la prima via sportiva del lecchese.
Lo ha intrigato anche la scelta dei nomi di quelle prime vie sportive, un modo anche quello per segnare una differenza rispetto al passato. Fino ad allora c’erano la Via degli Amici, la Via Cassin, la Via dei Ragni; nel resto delle Alpi era la stessa cosa. Con l’avvento del free climbinganche il modo di intitolare le vie nuove cambiò radicalmente, non è una invenzione mia, ma io e altri labbiamo applicata agli itinerari di arrampicata sportiva.
Devo proprio andare indietro con la memoria: più di trent’anni. Oltre il tramonto al Sasso di Introbio credo proprio sia stata la prima via nel lecchese che possa essere definita di arrampicata sportiva. Poi c’è stata, sempre al Sasso, Incubo motopsichico.
Allora si andavano a cercare nomi che adesso mi fanno sentire davvero un po’ ridicolo… Ci terrei però a dire che l’arrampicata sportiva come l’abbiamo vista noi in quegli anni era estremamente diversa dal fenomeno di oggi, che rappresenta la tematica di questo convegno. All’epoca l’arrampicata sportiva serviva per migliorare, per spingere al massimo sul grado, per allenarsi e alzare ancora il livello.
Oggi, in parte, è ben altra cosa. Come affermavano anche altri, la falesia è diventata un terreno di gioco per tantissimi stili di arrampicata. Non ci vanno solo gli alpinisti per allenarsi nelle stagioni in cui non si può frequentare la montagna, oppure gli scalatori puri per alzare il grado; ormai l’arrampicata in falesia è un’attività fine a se stessa che coinvolge anche chi non ha particolari traguardi alpinistici o sportivi, ma ci va solo per divertirsi. Quindi è giusto che questa attività venga vista nel modo più allargato possibile.
Attività alpinistica di Marco Ballerini (nato nel 1956)
Guida alpina, ex membro del gruppo Ragni della Grignetta. Tra i personaggi chiave nella storia dell’evoluzione dell’arrampicata sportiva nel Lecchese e in Italia.
1979
-4 ottobre: Cima Calolden 1459 m (Costiera del San Martino, Grigne) parete sud-est (200 m. V+ e A3, con 15 chiodi e 2 dadi), prima ascensione, con Adolfo Ciampitti.
1980
-maggio: Sponde del Qualido (Val di Mello, Masino-Bregaglia), via Il dolce richiamo dell’AldiLà (150 m, VII+), prima ascensione, con Michele Anghileri e Jacopo Merizzi;
-26 luglio: Sperone Mark (Val di Mello, Masino-Bregaglia), via Bakibaun (90 m, VI+ e A2), prima ascensione, con Jacopo Merizzi.
1980-81
-Tentativo al Cerro Murallón 2831 m (Patagonia) con Marco Della Santa, Benvenuto Laritti, Fabio Lenti, Norberto Riva, Beppe Rusconi, Vanni Spinelli, Dario Spreafico e il medico Claudio Cavenago. Nel gennaio 1981 Casimiro Ferrari, Bruno Lombardini ed Egidio Spreafico raggiungono la spedizione all’Estancia Cristina.
1981
-Campanile Basso 2883 m (Dolomiti di Brenta), spigolo sud-ovest via Schubert (380 m, VI), prima invernale, con Marco Della Santa e Fabio Lenti.
1982
-11 agosto: Grand Capucin 3838 m (Monte Bianco), parete sud, via Voyage selon Gulliver (300 m, 6b e A0 o 7a e un pendolo), prima ripetizione, con Fabio Lenti e Marco Pedrini;
-30 dicembre: Il Gallo 2774 m (Masino-Bregaglia), couloir nord-ovest (Winter spiders gully, 600 m, 80° con passaggi di V+, A2 e A3, TD+, con 20 chiodi escluse le soste, in 7 ore), prima ascensione, con Floriano Castelnuovo e Beppe Rusconi;
-Pilastro Rosso del Lago (Costiera del San Martino, Grigne), parete ovest, via Panzeri-Riva (200 m, 6a e A2 o 6c), prima salita in libera, con compagni non identificati.
1983
-Primavera: spedizione alla parete sud del Lhotse Shar 8386 m (Himalaya del Nepal), con Giancarlo Riva, Giuseppe Det Alippi, Floriano Castelnuovo, Marco Della Santa, Giuseppe Fumagalli, Pino Negri, Beppe Rusconi, Dario Spreafico, Norberto Riva, Ezio Molteni, Sandro Liati, Franco Baravalle, R. Magni e Mario Conti. Raggiunta quota 7200 m.
1984
-Spedizione al Cerro Murallón 2831 m (Patagonia) con Casimiro Ferrari, Carlo Aldè, Fabio Lenti, Paolo Vitali e inoltre don Giuseppe Noli e Alessandro Banfi. Vetta raggiunta il 14 febbraio da Ferrari, Aldè e Vitali per lo spigolo nord-est (1300 m, VI, A3 e misto, ED+).
1984-85
-Tentativo al Cerro Piergiorgio 2719 m (Patagonia) con Roberto Crotta e Alessandro Valtolina.
1985
-Corna di Medale 1029 m (Costiera del San Martino, Grigne), via Breakdance (240 m, 6a+ e A1 o 7b), prima salita in libera, con compagni non identificati.
-Bastionata di Val Verde 1200 m (Costiera del San Martino, Grigne), parete sud-ovest, via Ping il saggio (150 m, 6b e A1 o 7a+), prima salita in libera, con Norberto Riva.
1986
-Spedizione in Patagonia. 24 dicembre: con Carlo Besana, Dario Spreafico, Renato Da Pozzo e Norberto Riva raggiunge la vetta della Torre Centrale del Paine 2454 m dopo aver aperto una via nuova (850 m, VI e A3) sulla parete sud.
1988
-Torrione del Cinquantenario 1743 m (Grignetta), parete sud-ovest, Via di Tiziano (60 m, 6c e A0 o 7a+), prima salita in libera, con compagno non identificato;
-Spedizione “Città di Lecco” al Cho Oyu 8201 m (Himalaya) con Mario Conti, Carlo Besana, Floriano Castelnuovo, Lorenzo Mazzoleni, Mario Panzeri e il medico Sandro Liati. Tentativo sulla parete nord e vetta raggiunta per la via normale da Conti, Panzeri, Ballerini e Castelnuovo.
Bellissima quest’intervista al Ballera! È molto nostalgico ricordare lo spirito dei climbers anni ’80, ma di queste interviste dovrebbero essercene di più per fare conoscere ai giovani quello che si sono persi. E quello che ha reso possibile ciò che c’è ora.
Grande Marco!
Non c’entra molto ma nell’85 a Bardonecchia col Pedro e altri avete fatto la storia dell’arrampicata…. e del post- arrampicata!
Bello che in interviste così ,vengano fuori nomi che in quegli anni hanno contribuito all’arrampicata e alpinismo…Pedrini& co
Intervista davvero molto interessante
E’ come rivedersi… convinzioni, etiche, e chi più ne ha più ne metta, ormai storiche purtroppo…
Fa bene al cuore!