Manolo
Fabbri Editori
Non aspettatevi di leggere la storia di un uomo, di un alpinista e delle sue indimenticabili imprese: non troverete nulla di tutto ciò.
Le pagine di Eravamo immortali non sono una biografia, ma le parole di un dàimon. Quel demone che i greci vedevano come la congiunzione tra l’uomo e gli dei, quell’energia potente che porta l’uomo ad elevarsi sopra la propria quotidianità per compiere azioni mirabili e mirabolanti, quella forza creativa che ispira agli artisti opere uniche ed eterne.
Quel dàimon che ha portato Maurizio Zanolla a diventare Manolo, il Mago. Perché solo un demone può trasformare l’irrequietezza che sconfina nella ribellione in una solida determinazione fuori dalle regole consolidate: “…incominciai a crearne di nuove, scalando senza chiodi dove altri non lo avevano ancora fatto”.
Non relazioni tecniche, ma torrenti di ricordi e visioni, compagni di cordata e di vita che come tanti Don Chisciotte lo affiancano in una continua tenzone con l’incerto, liberando salite classiche, scalando vie di cui si ricorda più o meno una relazione letta la sera prima, creando nuove linee visionarie incuranti della loro caducità. O semplicemente partendo per un luogo immaginato. Non tanto preoccupati “di non riuscire, quanto di non riuscire come volevo”.
Un capitolo dopo l’altro si vivono le imprese del mago e dei suoi compagni mentre il dàimon sorride tra le righe, affascinante e beffardo, ricordandoci che “non si poteva rimanere per sempre seduti al riparo dalla vita, sotto i portici, dove la vita non riusciva a bagnarti. Bisognava alzarsi e andarle incontro prima di esserne travolti”.
Luisa Raimondi