Il mondo dall’alto

Il modo dall’alto
(introduzione di Alessandro Gogna a Il mondo dall’alto, di Livio Sposito, 336 pagg., Sperling&Kupfer, 2000, acquistabile su Amazon)

[…] Per i montanari della metà del secolo XIX il Cervino non offriva né pascoli, né messi, né cristalli ma solo valan­ghe, sassi e morte. Anche il camoscio se n’era andato dalle sue rupi, come la marmotta. Occorreva essere dei perditempo e ricchi fannulloni per voler andare in cima. I forestieri, les anglais, a volte, passando dal Breuil per salire al Passo del Teòdulo, chiedevano alle guide Pession, Hérin, Meynet che li accompagnavano se mai nessuno avesse provato a salire lassù, la più bella montagna delle Alpi. C’era chi, come il canonico Georges Carrel, uomo di cultura e molto ascoltato dai montanari, li spingeva a trovare una strada per salire il Cervino: questo avrebbe portato guadagno a tutti; l’esempio di Chamonix con il Monte Bianco doveva fa­re testo. I più non erano convinti da queste «chiacchiere». Solo i Carrel, Jean-Jacques e Jean-Antoine, bravissimi caccia­tori, contrabbandieri, camminatori instancabili, non disprezzavano quelle idee. L’idea piacque anche al seminarista Amé Gorret, più per l’anticonformismo che ispirava che non per pura scelta alpinistica. Così un mattino dell’estate 1857 i tre si trovarono in vetta alla Testa del Leone. Non proseguirono. Il tentativo, se vogliamo, ebbe assai modesti risultati. Fu un «divertimento». Se l’alpinismo va avanti non solo con vittorie e sconfitte, ma grazie all’evoluzione delle idee e del co­raggio (non ancora dei mezzi), quel tentativo del 1857 fu di incalcolabile importanza. Scrive Gorret: «Da allora l’ascensione del Cervino divenne per noi un’idea fissa… Carrel aveva il Monte Cervino in capo; io ci pensavo di gior­no, me lo sognavo di notte. Per me era diventato un incubo». Questo è alpinismo puro, cioè bramosia di vincere, di supera­re le barriere: la rivalutazione di questi pionieri, Amé Gorret e Jean-Jacques e Jean-Antoine Carrel che per primi «vollero» scalare la montagna.

A questo tentativo ne seguirono molti altri, con un lento assedio di 9 anni. Tanto occorse perché l’evoluzione di un’idea si concludesse con una vittoria: che toccò all’uomo che più l’aveva voluta, Edward Whymper. I fratelli di Liverpool Charles, Alfred e Samuel Parker nel 1860 furono i primi alpinisti senza guide a ten­tare la scalata (per la cresta dell’Hörnli). John Tyndall, nel­l’agosto 1860 e poi nel luglio1862, tenta il Cervino e raggiun­ge la vetta del Pic Tyndall, l’anticima Sud Ovest, con i compagni F. Vaugham Hawkins e la guida Johann-Joseph Bennen. Thomas Stuart Kennedy nel gennaio del 1862 compì una teme­raria prova sul Cervino. Ma le personalità più rilevanti furono Whymper e Jean-Antoine Carrel. Tanto fu detto e scritto attor­no a questa rivalità-cooperazione. Quali motivi psicologici spinsero quei due grandi alpi­nisti a creare per primi una rivalità (non ancora competi­zione) su una grande montagna? Resta assodato che la vittoria arrise al più preparato, al più evoluto Whymper, ma fu un caso. Pochi giorni dopo infatti il gruppo italiano di Carrel arrivava in vetta per la cresta sud ovest.

La tragedia che occorse alla cordata di Whymper durante la discesa fu argomento di polemiche e di inchieste che forse ancora oggi non sono definitivamente concluse. L’eco di una tale vittoria non poteva che acquistare ancora maggior forza da una disgrazia i cui meccanismi, per forza di cose, non ebbero mai potuto essere chiariti.

A questo si aggiunga la quasi contemporaneità della salita italiana di Carrel, che originò un’altra serie di accanite discussioni su a chi avrebbe dovuto andare il vero merito della conquista: al forte valligiano che riportò a valle la sua comitiva indenne o al folle alpinista cittadino che, per troppa fretta di vincere, fu accusato di superficialità nella scelta dei compagni e di aver quindi tralasciato le più elementari norme di prudenza?

Oggi, a distanza di 135 anni (la recensione è stata scritta nel 2000, NdR), possiamo capire che in realtà il più meritevole di vittoria fu senza dubbio Whymper, che fino all’ultimo fu più «sportivo» di Carrel. Ma ricordiamoci che le differenti condizioni sociali dei due ebbero sicuramente la loro importanza; per CarreI non esisteva la nozione di sport e non c’era solo il Cervino: la famiglia da mantenere, l’esigenza pratica (e non spirituale) di farsi un nome che, con una vittoria divisa con Whymper, non avrebbe mai visto la luce.

Questa, in sintesi, la storia che Livio Sposito racconta al lettore. Un racconto per momenti, esposti in genere nella loro contemporaneità, perché gli attori principali, Whymper e Carrel, sono attorniati da decine di altri attori pretendenti alla conquista del Cervino: ciascuno di loro aggiunge un tassello a quello che si rivelerà un intreccio teatrale tale da superare spesso la fantasia più fervida. Se al tempo della vittoria destarono grande impressione nel pubblico non competente la tragedia e tutti i suoi conseguenti risvolti umani, oggi la sequenza di scene e di azioni può essere raccontata ai lettori moderni con un tono apparentemente distaccato che Sposito adotta in modo egregio, alternando documenti scritti ad un racconto agile che riproduce sempre solo l’essenziale. Sono pochi i suoi interventi diretti, il lettore è lasciato libero di interpretare a suo uso una storia che sembra proprio oggettiva perché tante sono le voci diverse che vi concorrono.

Ciò non significa che il libro non abbia una tesi: nei colpi di scena e nei momenti di gloria e di tragedia, Sposito sottolinea sempre il rispetto che i due attori principali hanno vicendevolmente. Rispetto che, fatte salve le differenze sociali, spesso sconfina in una strana amicizia tra due uomini veramente grandi.

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