La parete est del Monte Rosa: prima ascensione, 1872

A due secoli dalla prima ascensione della più alta parete delle Alpi.

La parete est del Monte Rosa: prima ascensione, 1872
di Paolo Crosa Lenz
(pubblicato su Lepontica 22, settembre 2022)

Questo 2022 è un anno di grandi anniversari per chi ama le Alpi. L’ascensione alla Punta Dufour, la più alta delle quattro vette del Monte Rosa, per il canalone Marinelli era il più classico itinerario alpinistico sulla Est. Era una grande ascensione su ripidi pendii nevosi nell’immensità dell’unica parete himalayana delle Alpi. Uso l’imperfetto perché oggi, le mutate condizioni della montagna conseguenti i cambiamenti climatici, la rendono impraticabile in estate.

Macugnaga (Verbano-Cusio-Ossola), 9 agosto 2020. Spedizione “Sulle tracce dei ghiacciai – Alpi 2020”. Ripetizione di un’immagine della parete est del Monte Rosa (Vittorio Sella, 1895) dalla vetta dello Joderhorn. Foto: Fabiano Ventura 2020 – © Associazione Macromicro – onthetrailoftheglaciers.com

La prima salita della Est per il canalone, centocinquanta anni fa, è opera di Ferdinand Imseng di Macugnaga che accompagnò tre inglesi con altre due guide: i due fratelli William Martin e Richard Pendlebury con il pastore anglicano Charles Taylor, rientrando da una campagna alpinistica sulle Alpi orientali, decidono di fare una puntata sul Rosa con in programma la traversata da Macugnaga a Zermatt attraverso il Vecchio Weissthor: un itinerario largamente collaudato, senza particolari difficoltà.

Con loro c’è la guida Gabriel Spechtenhauser, detto Gaber, della valle tirolese dell’Oetz. All’Hotel Monte Moro si aggrega anche il proprietario Giovanni Oberto che, oltre ad essere un eccellente albergatore, accompagna saltuariamente anche gli alpinisti sulle montagne di casa. Mi ricorda l’amico Teresio Valsesia, il maggiore conoscitore della storia alpinistica del Monte Rosa: “Alle 15.30 sono sulla vetta. È il 31 luglio 1872. La vista è abbastanza buona. Però Macugnaga è coperta dalle nuvole. Mezz’ora di sosta e un breve banchetto, poi si scende seguendo le tracce di una cordata salita in mattinata dal Riffel. Alle otto e mezza di sera tutti sono riuniti nell’albergo zeppo di gente, dove ordinammo tranquillamente la cena. Pensando di dormire sulla soglia dell’albergo con una coperta di lana. Invece ci venne annunciato che era stata preparata per noi la camera più bella, ossia il soggiorno, dove dormimmo senza sogni”.

Ferdinand Imseng. Foto: archivio Teresio Valsesia, da Macugnaga e il Monte Rosa, 1968.

Imseng aveva 27 anni e di professione faceva il cacciatore di camosci e il minatore: dopo quell’ascensione, frutto del suo intuito e senso della montagna, diventò guida a tutti gli effetti e quattro anni dopo realizzò anche la prima ascensione della Nordend da Macugnaga. Imseng morì nove anni dopo nella tragedia Marinelli e una targa lo ricorda nel cimitero di Chiesa Vecchia a Macugnaga: bonne guide, honnete homme. Quel piccolo cimitero, all’ombra maestosa del vecchio tiglio, racconta tanto del Monte Rosa: vi sono le lapidi delle grandi tragedie, il monumento ai caduti sulla montagna (con una graffa che lega le cordate), il monumento agli scrittori del GISM scomparsi. Una storia di uomini e monti, di sogni grandi e dolori profondi.

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