Giuliano Sciamano Giovannini, il neo accademico del CAI si racconta.
Lo sciamano
di Massimo Dorigoni
(pubblicato su orizzontidolomitici.wordpress.com il 1° dicembre 2023)
Abbiamo incontrato l’alpinista neo Accademico del Club Alpino Italiano Giuliano Giovannini. Ancora bambino, un ordigno bellico gli scoppiò in mano facendogli perdere le dita della stessa e parte di una gamba. Nonostante questo è diventato istruttore nazionale di scialpinismo e ha ricevuto il prestigioso “Chiodo d’oro Sosat”.
Giuliano, la montagna può essere una terapia per il fisico e per la mente?
Certamente. La montagna può essere e per me è stata terapeutica. Frequentarla ti libera da tanti pensieri e da tante ombre che hai dentro in seguito alle sfortune della vita. Molto importante è però anche l’ambiente nel quale hai vissuto e nel quale vivi. Sono nato nel dopoguerra e ho fatto tanti lavori. Si viveva con poco ma c’era una vita libera. Non importava se avevo fame, qualcosa si rimediava sempre. L’importante per me era essere libero di correre nei boschi. Si viveva così accontentandosi di castagne e patate lesse. Questo stile di vita formava anche alla montagna. Lassù il tempo cambiava repentinamente e questo nostro temperamento ci preparava ad ogni situazione imprevista. Nelle difficoltà si resisteva.
Difficoltà certo, ma anche tante fatiche…
Erano però delle fatiche diverse da quelle lavorative. Le fatiche le ho sentite dopo essere stato dimesso dall’ospedale. Soffrivo nel vedere la mia situazione in confronto al mondo che mi stava attorno. Mi sono però subito reso conto che se esistevo dovevo guardare avanti e vivere. Ho dovuto, come mi ripeteva sempre mio nonno, trovare del buono nel cattivo. Con un po’ di buonsenso e intelligenza si può andare a scoprire infatti ciò che non si vede. La montagna è in fondo un po’ come la vita, la si deve affrontare guardando sempre a nuovi orizzonti. L’orizzonte è quel qualcosa che ti spinge ad andare oltre.
La tua storia può essere un esempio per chi non riesce nel momento delle difficoltà a guardare oltre?
Ero e sono tutt’ora un istruttore della blasonata Scuola di Alpinismo e Scialpinismo “Giorgio Graffer” di Trento. Quando gli allievi si iscrivono al corso sono del tutto ignari dei miei problemi fisici. E io non ci tengo a farglieli sapere. Quando poi vengono a saperlo si stupiscono delle mie abilità nonostante quella che possiamo definire una disabilità. In quel momento hai già dato loro un grande esempio. La volontà, la costanza, il credere in se stessi e negli altri.
Durante il tuo percorso alpinistico hai realizzato dei sogni, grandi o piccoli essi siano stati?
Ogni volta che vado in montagna realizzo un sogno. Tra tutte le volte che mi sono recato tra le crode però una la ricordo particolarmente. Nel gruppo del Monte Bianco, dal Grands Montets si vedeva l’Aguille d’Argentière dove si poteva distinguere un canalone incredibile. Così un giorno con l’amico di tante avventure, il trentino Renzo Zambaldi, siamo partiti alla volta di quella nuova avventura. Siamo saliti realizzando così un sogno.

Parliamo delle amicizie. Quelle che si creano in montagna e che durano nel tempo…
Le amicizie sono molto importanti. Marco Furlani, valido alpinista e guida alpina, è stato per molteplici volte mio compagno di cordata e grande amico, ma non mi ha mai fatto pesare questi mie problemi fisici. All’inizio nemmeno se ne era accorto. Così come Renzo Zambaldi o tanti altri alpinisti con cui ho arrampicato assieme. Durante una serata nella quale si parlava del senso, del valore della cordata, ho concluso il mio intervento spiegando che per me la corda è paragonabile a un cordone ombelicale. La corda parla, è una trasmissione di sentimento e movimento. Nella vera cordata, quando si scioglie il nodo alla base della parete per tornare a casa, il nodo stesso non è sciolto. La cordata continua ancora a essere presente. La corda che ti ha legato in parete o sul ghiacciaio continua poi nella vita di tutti i giorni come la corda dell’amicizia che ti dà la sicurezza di avere sempre qualcuno che è presente.

Poco tempo fa proprio due amici di vita e compagni di cordata ti hanno presentato al Club Accademico del Cai? Quali le tue sensazioni?
Le sensazioni sono state ottime. Nel giorno in cui sono stato nominato Accademico del CAI, presentato da Marco Furlani e Alessandro Gogna, mi sono sentito da subito parte di una grande famiglia. Molti degli accademici gli conoscevo già, infatti nel percorso della vita ho incontrato e conosciuto molti di loro. È stato per me un sentito attestato di stima.
Una persona che ho avuto il piacere di conoscere e che mi ha onorato della sua amicizia.
Un uomo buono, da stimare e con cui non ti stanchi di parlare.
E cucina anche bene!
Grazie per la condivisione!
Il soprannome è solo legato al suo aspetto?