Machu Picchu: numero chiuso e plastic-free

La terza destinazione archeologica al mondo cambia linea in difesa dell’ambiente. Dopo la pandemia (che qui ha creato centomila orfani) sarà accessibile a 3.500 persone giorno: 1milione e 270 mila l’anno. Da tenere sotto controllo ambientale. Il Perù vuole decarbonizzare entro il 2050, avvia nuove riserve marine e promuove l’agricoltura tradizionale pro-biodiversità. Non tutte le azioni, però, sono coerenti: i dubbi sulla apertura di un nuovo scalo internazionale sulle Ande da 5,7 milioni di passeggeri l’anno.

Machu Picchu: numero chiuso e plastic-free
di Lorenza Cerbini
(pubblicato su corriere.it il 27 gennaio 2022

«Chi entra a Machu Picchu torna a portando con sé i suoi rifiuti. Un gesto necessario per consentirne conservazione e sopravvivenza». Roberto D’Amico, imprenditore siciliano titolare dell’agenzia Perù InsideOut, guida gli italiani alla scoperta del suo Paese adottivo da undici anni. Un testimone del cambiamento in corso. «Machu Picchu è la destinazione classica di chi attraversa Atlantico e Pacifico per ammirare questo luogo eletto nel 2007 tra le sette meraviglie del mondo moderno », dice. Con i suoi 530 metri di lunghezza e 200 di larghezza è il terzo sito archeologico al mondo dopo Pompei e Ostia Antica. Scoperto nel 1911 dall’archeologo americano Hiram Bingham, nel 1981 fu dichiarato Santuario Storico, e la sua la fama si alimentò.

Turisti sul sito di Machu Picchu, a 2430 metri sul livello del mare: l’area, lunga 530 metri e larga 200, prima della pandemia era visitata da 400mila persone all’anno, che producevano 5 tonnellate di rifiuti al giorno. Foto: Getty Images.

Machu Picchu nella lingua quechua significa ‘montagna vecchia’. Si ritiene fondata nel 1440 dagli incas. La sua popolazione oscillava fra i 300 e i 1.000 abitanti membri di un’élite e aclla o Vergini del Sole, figure religiose femminili. Dopo il 1572, con l’avvento del potere spagnolo, il sito fu abbandonato dagli abitanti: era distante dalle nuove rotte.

Negli anni Ottanta, vi affluivano centomila turisti l’anno, diventati un milione e seicentomila negli anni pre-Covid. Troppi, per quell’ecosistema delicato. Tre anni fa, fu l’Unesco a lanciare l’allarme. I visitatori vi lasciavano fino a 5 tonnellate di rifiuti al giorno, le bottiglie di plastica venivano lanciate nel fiume sottostante, come pure scarti di cibo e frutta. Era necessario trovare al più presto una soluzione per arginare il problema e conciliare l’economia locale basata sul turismo con la conservazione del patrimonio storico-culturale. Imballati, i rifiuti vengono oggi portati fino ad Aguas Calientes, sede di arrivo e partenza della ferrovia per Machu Picchu. «Il sito è raggiungibile solo in due modi», spiega D’Amico. «A piedi attraverso il cosidetto Inka Trail, oppure via treno da Poroy o da Ollantaytambo».

Comportamenti eco-friendly
Coperta da plastica e rifiuti, Machu Picchu ha rischiato di perdere il suo posto tra le meraviglie del mondo. Le autorità sono così intervenute imponendo il numero chiuso e cercando di convincere gli imprenditori locali ad adottare politiche plastic-free, invitando i turisti a comportamenti eco-friendly. «Da dicembre 2020, a Machu Picchu possono entrare solo 2.240 persone al giorno, meno di mille durante i picchi della pandemia Covid 19. Presto si passerà a 3.500 in gruppi da otto oltre alla guida e la visita non può durare più di quattro ore», spiega D’Amico.

Da qualche settimana, soprattutto, è partito il progetto “MP Carbon Neutral” con cui il Perù intende ridurre le emissioni di carbonio del 45 per cento entro il 2030 fino a raggiungere la neutralità entro il 2050. Una rivoluzione sostenibile voluta dalla municipalità locale, Inkaterra, Aje Group, il Servizio Nazionale delle Aree Naturali Protette (Sernanp), il Ministero per l’Ambiente e la Commissione per la promozione del Perù per l’esportazione e il turismo (Promperù).

La somministrazione del vaccino anti-Covid19 fra la popolazione andina.
Membri della tribù vicino Lares, non lontano da Machu Picchu, che coltiva ancora 50 tipi di mais, frutto dell’adattamento millenario delle coltivazioni al clima.

La creazione di fertilizzante naturale
Da un paio d’anni a Machu Picchu è attivo l’unico impianto di trattamento dei rifiuti organici del Paese: una struttura a pirolisi (decomposizione termochimica di materiali organici) che trasforma ogni giorno otto tonnellate di rifiuti, generando biochar, un fertilizzante destinato all’agricoltura locale e a un progetto di riforestazione che prevede l’interramento di un milione di alberi tipici dell’area. Inoltre, è stato avviato un impianto per la produzione di biodiesel e glicerina dagli oli vegetali scartati da case, hotel e ristoranti. Vengono lavorati sei milioni di litri di oli usati al mese evitandone la dispersione nel fiume Vilcanota. La glicerina ottenuta viene usata per sostituire i prodotti chimici nella pulizia delle strutture in pietra. E il sito ha ottenuto la certificazione di Green Initiative, una delle aziende riconosciute dalle Nazioni Unite per fornire servizi in chiave green (CO2 Footprint Management, Sustainable Climate Action e destinazioni turistiche carbon neutral).

Turismo ecologico sulla montagna di Machu Picchu, a 2430 metri sul livello del mare: 3.500 è il numero massimo di visitatori del sito archeologico peruviano che saranno ammessi ogni giorno.

Apripista dei comportamenti sostenibili
Su Machu Picchu sono dunque puntati gli occhi del mondo come apripista per le altre meraviglie del pianeta. Tuttavia, non mancano tensioni e contestazioni: soprattutto perché nella vicina cittadina andina di Chinchero è in corso la costruzione di un aeroporto che potrà accogliere 5,7 milioni di passeggeri l’anno. I lavori preparatori sono iniziati nel 2018 e a novembre è stata annunciata una nuova fase che prevede la rimozione di 16 milioni di metri cubi di terra in un’area di 497 ettari. Nel 2019, l’Unesco era intervenuto chiedendo al governo di Lima la valutazione di impatto ambientale, mai interamente completata. «I lavori distruggeranno in modo irreversibile il paesaggio intorno a Chinchero. Chiediamo che vengano rinviati fino a che l’Unesco abbia esaminato i do cumenti richiesti e siano messi a disposizione sia dei peruviani sia di chiunque altro cittadino”, ha fatto sapere in una lettera Francisco Sagasti, presidente del World Monuments Fund (WMF). Ad occuparsi del progetto da 640 milioni di dollari è un consorzio coreano guidato dal gruppo Hyundai (35 per cento). La fine delle operazioni è prevista per il 2024.

Il rendering del contestato progetto del «Chinchero International Airport»: dovrebbe essere pronto per la fine del 2024 e far transitare 5,7 milioni di passeggeri l’anno.

Le altre destinazioni fuori dalle rotte
Intanto, in ottobre, nove località peruviane sono entrate nella top 100 di Green Destinations, fondazione non-profit che premia i luoghi turistici più rispettosi degli ecosistemi, della cultura locale e a minimo impatto ambientale. Della lista fanno parte anche la Reserva Nacional Tambopata (Madre de Dios) la Reserva Nacional Pacaya Samiria (Loreto), il Parque Nacional Tingo María (Huánuco); Titicaca, Lago Sagrado de los Incas (Puno). «Il meglio della biodiversità del Perú si conserva nelle Aree Naturali Protette, luoghi unici. Questo riconoscimento ci riempie di orgoglio e spinge a rafforzare il nostro impegno per la conservazione », sostiene Pedro Gamboa, direttore del Sernanp. «Sono destinazioni alternative a Machu Picchu e fuori dalla rotte del turismo di massa», dice D’Amico. «La cittadina di Kuélap, posta a tremila metri di altezza è raggiungibile attraverso l’unica funivia del Paese. Gocta accoglie una delle cascate più alte del pianeta, ben 771 metri. Il Canyon del Colca che con i suoi 4.160 metri è tra i più profondi al mondo, casa del condor padrone delle Ande. Sul Lago Titicaca, nelle isole Uros, Amantani e Taquile, è possibile vivere esperienze a contatto con le popolazioni indigene. La Reserva Nacional de Tambopata è famosa per il birdwatching e lo spettacolo diurno del rito dell’ingerimento dell’argilla».

Oltre 100 mila gli “orfani del Covid”
Il Perù in realtà sta attraversando la crisi Covid drammaticamente. In rapporto al numero degli abitanti, è il Paese in assoluto più colpito. La nazione andina ha registrato sinora 205mila morti su una popolazione di circa 33 milioni di persone: sei decessi ogni mille abitanti (in Italia sono circa 2,3). Gli “orfani del Covid”, i minori che hanno perso i genitori per il virus, sono ormai più di 100mila: quasi un’intera generazione. Ma il Paese guarda oltre la pandemia, proprio a cominciare dalla difesa dell’ambiente. E per questo rivolge lo sguardo verso il mare. In giugno, è stata annunciata la nascita della prima riserva marina protetta. Sorge lungo la Dorsale di Nasca (formatasi 30 milioni di anni fa, ha origine vulcanica con canyon, terrazzi, picchi, grotte e crateri) a 105 chilometri dalla costa e si estende per 62,392.0575 km2. Vi vivono calamari, verdesche, pesci spada, tonni a pinna gialla e sgombri, oltre ad altre 1.100 specie marine di cui 30 in via di estinzione. L’area è di grande importanza commerciale e il governo peruviano ha continuato ad autorizzare la pesca industriale (la principale flotta che vi opera è ecuadoregna) scatenando l’ira delle organizzazioni ambientaliste.

Lo scontro tra ambientalisti e pescatori
«Un’area protetta solo sulla carta, gli unici protetti sono gli interessi del settore peschiero», ha detto Juan Carlos Riveros, direttore scientifico di Oceana, l’organizzazione per la salvaguardia degli oceani. Lanciata una petizione, sono state al momento raccolte diecimila firme. A storcere la bocca anche l’avvocato per i diritti ambientali César Ipenza preoccupato per il crearsi di un precedente che potrebbe ripercuotersi sulle altre riserve, come quella di Paracas. Il Perù punta su turismo e biodiversità anche per aiutare le comunità locali andine e amazzoniche a vivere dignitosamente e a non abbandonare le loro tradizioni. A Lares, vicino a Cusco, si coltivano 50 tipi di cereali, con colori e forme diverse, frutto di millenni di adattamenti ad un clima imprevedibile e della capacità degli agricoltori a fronteggiare ghiaccio e grandinate. «Gli incas coltivavano queste eco-tipologie e oggi continuiamo sulla strada tracciata dai nostri antenati», dice Juan Huillca, un conservazionista nel piccolo villaggio montano Choquecancha.

Alle donne indie la gestione della riforestazione
Nella regione dell’Alto Mayo invece, 70 donne della comunità nativa di Shampuyacu gestiscono la foresta di Nuwa, nove ettari sottratti alla deforestazione causata da pratiche agricole improprie (la regione ha perso il 15 per cento dei boschi) per coltivare le piante medicinali autoctone (clavohuasca, uva spina, canella e zenzero) e trasformarle in infusi venduti a livello internazionale. Nel cuore dell’Amazzonia peruviana, a Pacaya Samiria, viene insegnato come raccogliere le noci di cocco senza tagliare o danneggiare le piante. Progetti di conservazione partono anche dai privati. Reforestamos por Naturaleza (Noi rimboschiamo per Natura) è sorto su iniziativa della Società Peruviana di Diritto Ambientale: con una donazione di venti dollari per albero, permette a chiunque nel mondo di contribuire a proteggere la foresta amazzonica.

More from Alessandro Gogna
La stagione dei divieti diffusi
«La catastrofe non è una questione di destino. È una questione di...
Read More
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *