di Chiara Baù
(pubblicato su imperialecowatch.com il 23 febbraio 2023)
Alto Adige, Val Gardena
L’inverno che tardava a farsi sentire è finalmente arrivato. Con grazia le tonalità del paesaggio invernale si ricompongono come i tasselli di un puzzle. Al primo fiocco di neve un beneficio istantaneo avvolge ogni forma di essere vivente, me compresa. Il giorno dopo una nevicata è paragonabile alla prima serata della Scala di Milano, tutti l’aspettano con ansia e non vedono l’ora di ascoltare impagabili melodie. Dopo un intenso periodo di lavoro a contatto con migliaia di turisti nasce spontaneo un impellente scollamento da tutto, dai rumori, dai clienti, dai cellulari.
Il richiamo atavico per il silenzio mi conduce in un bosco dall`aspetto incontaminato. Un insieme di emozioni che riportano ad uno stato primitivo, come se la neve congelasse ogni istante. Dalla località di Linacia, nei pressi di Selva di Val Gardena mi dirigo verso l´omonimo passo.
Sul sentiero che imbocco, percorso solitamente dalle guide alpine per accompagnare gruppi di turisti in escursioni con le ciaspole, non compare alcuna traccia, la quantità di neve caduta obbliga ad una faticosa camminata con le racchette da neve. Ben presto me ne rendo conto sulla ripida salita tra pini ed abeti imbiancati, costretta ad affondare ogni passo in un profondo strato di neve. La fatica è ricompensata dalla bellezza di una continua metamorfosi del bosco dove la priorità è il silenzio. Il bosco lo richiede.
A guidarmi solo tracce di caprioli lungo il sentiero. Non pianifico la giornata nei dettagli, anzi, ci sono momenti che possono fluire da soli senza che per forza sia tutto organizzato o programmato. Esistono oggigiorno applicazioni in grado di fornire per filo e per segno ogni minimo particolare, ma ritengo opprimente questo accanimento di nozioni che annullano qualsiasi stimolo e impulso alla curiosità. Seguendo le orme dei caprioli, provo a capire cosa li spinga a seguire un determinato percorso lungo il sentiero per poi abbandonarlo all’improvviso deviando nel fitto del bosco.
Probabilmente per mancanza di vegetazione il sentiero risulta ricoperto da una coltre nevosa nella quale le snelle e sottili zampe del capriolo sprofondano sino a livello dei genitali con rischio di congelamento se non addirittura di decesso.
Ecco perché questi timidi animali abbandonano il sentiero andando all’interno del bosco dove minore è lo strato di neve grazie ad una più folta copertura boschiva. Leggere il paesaggio e capirne i movimenti è una delle mie priorità. Sola in un mondo immacolato di silenzio. Un ultimo sguardo alle tracce lasciate dai caprioli e proseguo il cammino scrivendo larghe impronte su una perfetta coltre di bianco. Di lato al sentiero sfilano lunghe schiere di tronchi la cui corteccia impastata di neve riveste l’abete e lo protegge dalla perdita di liquidi, dall’attacco di predatori, dai parassiti, dalle malattie e dagli sbalzi di umore del clima.
A seconda dell`albero, si vengono a creare sulla corteccia nicchie e rilievi, minuscole fessure cui aderiscono i talli dei licheni o in cui penetrano le ife fungine, ma che possono anche fungere da ardite piste di arrampicata per i cuccioli dell’orso.
Osservandola con attenzione mi rendo conto quanto la tessitura della corteccia di ogni tronco sia determinante per questo animale. Le cortecce con una conformazione rugosa offrono ottimi appigli per le zampe e sono particolarmente adatte agli orsi. Una corteccia levigata invece può compromettere la discesa dei cuccioli che curiosi amano arrampicarsi, ma mentre la salita sul tronco risulta facilitata, non lo è purtroppo la discesa che per orsetti alle prime armi può avere esito mortale a causa di cadute fatali.
La neve caduta nella notte è abbondante, e il bosco sembra animato da abitanti misteriosi. Tutto è trasformato. Anche l’abete più minuto è talmente carico di neve da assumere le sembianze di una nuova creatura della foresta. E la priorità in questo nuovo magico ambiente è lasciar che la fantasia si scateni, liberandosi da qualsiasi schema mentale, dove la società moderna tenta di imprigionare ogni istante. Anche i fili d’erba sembrano ingigantiti e non mi capacito come un esiguo stelo d’erba possa essere gravato da così tanta neve. Eppure la sostiene.
Priorità di una marmotta
Il freddo è intenso, le marmotte che di solito vigilano sulle distese prative al limite dei boschi sono in letargo e, anche se al riparo in una tana sotterranea non esposta al gelo, la loro priorità è quella di non congelare per sopravvivere. Si dà per scontato che gli animali cadano in un profondo letargo in inverno, ma non si conosce come dietro un lungo sonno si nascondano meccanismi fisiologici incredibili.
La temperatura corporea si abbassa a circa 5 gradi; una trentina di gradi in meno rispetto a quella normale che si aggira sui 39 gradi. Già questa riduzione è stupefacente, perché avviene a temperature alle quali la gran parte delle funzioni fisiologiche cessa. I loro corpi diventano talmente freddi da farli sembrare morti. Il cuore batte lentamente in modo quasi impercettibile. Altrettanto ridotto è l’apporto di energie.
Cadendo in letargo gli animali entrano in una specie di modalità frigorifero. Il termostato che in condizioni normali regola la temperatura lavora con minuscoli elementi delle cellule di un tessuto particolare, il tessuto adiposo bruno, così definito per la colorazione bruna data dall’elevato contenuto di ferro associato a citocromi presenti nei mitocondri.
Organelli, questi ultimi, responsabili della produzione di calore generato dall’azione di una proteina specializzata chiamata termogenina. Tale proteina agisce come un canale di controllo della permeabilità ai protoni, provocando il disaccoppiamento regolato dalla fosforilazione ossidativa nei mitocondri, che induce la produzione di calore nel grasso bruno. Questa proteina viene infatti utilizzata per generare calore nella termogenesi, principale fonte di produzione di calore nei mammiferi in letargo.
I mitocondri, quali piccole centrali produttrici di energia delle cellule, sono presenti in tutte le cellule del corpo, ma nel tessuto adiposo bruno sono particolarmente numerosi. In tempi remotissimi, alle origini della vita, i mitocondri erano batteri che vivevano liberamente, finché furono fagocitati da altre cellule, entrando in simbiosi con loro. Grazie a questo possono aver luogo prestazioni che richiedono notevole energia.
Nel tessuto adiposo bruno i mitocondri lavorano in modo pressoché autonomo e indipendente dal normale metabolismo cellulare; si trovano per così dire immersi nel carburante, che consumano in modo lento ma costante, trasformandolo in acqua e biossido di carbonio e liberando calore. L’acqua fa sì che il corpo non si disidrati, mentre il biossido di carbonio viene espulso attraverso la respirazione.
E tutto questo i mitocondri riescono ad attuarlo a temperature molto basse, appena sopra il punto di congelamento. Rispetto ai suoi effetti, questo processo si potrebbe definire come una sorta di riscaldamento ausiliario. Il calore cosi generato si distribuisce nel corpo attraverso il sangue con un battito cardiaco molto lento, impedendo che l’acqua contenuta nelle cellule geli. Nel caso del tessuto adiposo bruno non si tratta di semplice grasso immagazzinato nel corpo come carburante, bensì dell’azione dei mitocondri che lo bruciano in modo controllato producendo il calore che serve a preservare la vita. In questo processo le riserve di grasso vengono consumate in modo continuativo tant’è che l’animale in primavera risulta fortemente dimagrito.
La priorità, il giusto riparo
La salita nel bosco si fa sempre più ripida. Quasi mi spiace intaccare il manto nevoso incontaminato. Non ne ho diritto. Dopo un’ora di cammino raggiungo un’altura davanti a uno scenario da fiaba. Una baita in legno diventa il mio riparo momentaneo. A far da cornice il massiccio del Sella che sovrasta il pianoro con la baita dove gli unici esseri viventi sono le lepri variabili che con le loro orme sembrano dribblare gli alberi e qualche fringuello. Scruto le montagne, la neve è copiosa e ammanta le rocce con cumuli enormi. Il passo Gardena è chiuso per pericolo valanghe, non mi trovo in una zona pericolosa per caduta slavine, ma ammetto di provare un certo timore se non altro per lo spostamento d´aria che una grossa massa nevosa in caduta potrebbe scatenare.
L’idea di un riparo mi dà un piacevole conforto, insieme al tè caldo che sorseggio dal termos custodito nello zaino. La priorità di un luogo dove trovare riparo è fondamentale anche per gli animali. In modo specifico per gli orsi, particolarmente impegnati a scegliere con estrema cura la tana dove trascorrere il letargo.
Nulla in natura avviene per caso e questo cerco di insegnarlo sempre ai bambini delle elementari a cui tengo conferenze di stampo naturalistico. In seguito a numerosi studi è stato scoperto che la maggior parte delle tane utilizzate per lo svernamento degli orsi è esposta a sud e questo per ricevere maggior calore e protezione dal rigore invernale e soprattutto evitare l’accumulo di masse di neve all’ingresso della cavità prescelta. E al termine priorità non può che affiancarsi la parola cura. Ed è proprio la natura stessa che si cura di adattarsi ai cambiamenti climatici in atto.
Gli animali mutanti. La priorità è adattarsi
Nella serie di notizie negative sul riscaldamento globale è interessante osservare cosa sta avvenendo in natura. L’aumento delle temperature medie globali sta influenzando non solo le abitudini comportamentali o alimentari del mondo animale, ma anche la loro fisicità. Diverse specie a sangue caldo stanno mutando la fisiologia per sopravvivere ad eventi estremi. A mutare sono soprattutto becchi, zampe, e orecchie di uccelli, ma anche le appendici di alcuni mammiferi che tendono ad ampliarsi per meglio regolare la dispersione di calore. Ad esempio nei pappagalli australiani il becco risulta oggi più ampio rispetto a quello dei loro antenati di oltre un secolo fa con un aumento di dimensioni tra il 4 e il 10 per cento. Le ali dei pipistrelli si sono allargate dell’1 per cento se confrontate con quelle degli anni cinquanta. Nel toporagno si è osservata una crescita di coda e zampe.
Anche nei conigli selvatici è stato rilevato un ingrossamento delle orecchie. Il motivo di tali mutazioni è dovuto soprattutto alla temperatura più calda. Lo stesso Darwin insegna che gli animali devono adattarsi; come per l’uomo, anche per loro il controllo della temperatura corporea rappresenta un aspetto fondamentale in termini di salute e benessere. Se gli animali non riuscissero a regolare questo meccanismo, potrebbero non sopravvivere. È quindi indispensabile capire quali siano le conseguenze di temperature più elevate su ecosistemi e fauna. E se da una parte alcuni animali si stanno evolvendo in questo senso, altri sono destinati ad estinguersi. La priorità è sopravvivere e adattarsi.
Priorità di un fringuello: farsi sentire
Vorrei rimanere nella mia temporanea confort zone, la minuscola baita di legno dove mi sono riparata, ma devo proseguire. Riprendo il cammino risalendo lungo un versante che mi porta a valicare verso le pendici del Sassolungo. Solo qualche minuscolo fringuello mi fa compagnia, svolazzando da un pino cembro all’altro. Nella mia precedente esperienza al rifugio Re Alberto, nel Gruppo del Catinaccio in Dolomiti, ricordo che durante i temporali i fringuelli si rifugiavano sotto il tetto. Una delle difficoltà per questi uccelli è rappresentata dall’ambiente sociale in cui vivono. Come molti altri uccelli canori, i fringillidi per farsi sentire hanno bisogno di risolvere due grandi problemi: evitare che il suono venga attenuato e impedire che venga distorto. Sono queste le alterazioni che possono compromettere la comprensione di un messaggio acustico e, in particolare, è il secondo aspetto quello decisivo. Se il suono si distorce, il messaggio diventa incomprensibile.
Per questo le specie di fringillidi che popolano boschi e foreste hanno canti diversi da quelli che vivono nelle praterie: nei boschi, i rami e le foglie influenzano sulla propagazione del suono causando il moltiplicarsi di echi e riverberi. Un motivo in più per cui quando si cammina nei boschi non bisogna urlare, ma restare in silenzio.
Per evitare di far naufragare il messaggio in un caotico sommarsi di piccoli segnali sovrapposti, occorre usare messaggi semplici con suoni lunghi e su frequenze abbastanza basse. Negli spazi aperti delle praterie, invece, la barriera acustica è rappresentata dal vento: le raffiche coprono il suono e ne mascherano il contenuto. Di conseguenza, la struttura acustica più favorevole è quella che si traduce in brevi trilli ad alta frequenza.
Essendo corti e rapidi, i trilli possono propagarsi in modo ottimale tra una raffica di vento e l’altra, così da rendere più probabile di essere uditi per intero. Il suono ad alta frequenza inoltre resiste meglio alle lunghe distanze. ll comportamento si è evoluto in risposta a pressioni di natura ecologica: le caratteristiche fisiche dell’ambiente in cui il suono tende a propagarsi. Un richiamo di corteggiamento incomprensibile non offre un buon successo riproduttivo a chi lo lancia.
D’altra parte se i costi fossero più consistenti dei vantaggi, la selezione non premierebbe questo comportamento. Come sempre le soluzioni che hanno passato il vaglio della selezione naturale ci appaiono oggi straordinarie, meravigliose e sorprendenti, una vera e propria connessione.
Priorità di un lago alpino
Il silenzio del bosco è spesso accompagnato dal mormorio di piccoli torrenti che delicatamente scorrono sotto minuscole porzioni di ghiaccio. L’immagine mi rimanda ad un’escursione effettuata tempo fa lungo il lago di Braies in Val Pusteria. Le numerose variabili ambientali che l’uomo sta affrontando esigono un occhio nuovo nell’osservazione della natura, una cura maggiore anche solo scrutando ogni minima sfumatura di un breve tratto di lago ghiacciato. È quello che la natura ci chiede, è la sua priorità. I laghi alpini sono sentinelle dell’ambiente che cambia. Le osservazioni satellitari degli ultimi vent’anni hanno mostrato che la durata di congelamento dei laghi di montagna si riduce di una settimana circa ogni 10 anni. Alcuni sono probabilmente destinati a non congelarsi più. La gente abitualmente su questi laghi va a pattinare o pescare e si stima che con 10 centimetri di spessore del ghiaccio si possa camminare tranquillamente sulla superficie. Ma da qualche tempo, a parità di spessore, questo non avviene più. Inverni più caldi, con temperature che ormai fluttuano intorno allo zero, hanno portato ad un aumento del ghiaccio bianco, a scapito del ghiaccio nero. Il ghiaccio nero si forma quando l’acqua gela e il suo colore è dovuto al fatto che si veda il fondo. Il ghiaccio bianco invece ha come origine la neve o la pioggia che cade sulla neve. Il primo è più solido rispetto al secondo. ll ghiaccio bianco si forma a temperature più elevate ed è più soggetto a rotture, ma la sua fragilità non è l’unica conseguenza ed è ciò che è emerso dallo studio congiunto di alcuni ricercatori. Queste due forme di ghiaccio hanno diverse caratteristiche di trasparenza alla luce: il ghiaccio nero è più trasparente, il ghiaccio bianco invece non fa passare la luce. Ne derivano conseguenze importanti: in assenza di luce le alghe del lago non possono compiere la fotosintesi e i microrganismi devono adattarsi al buio. Si prefigura perciò un cambiamento della catena trofica del lago e una modificazione delle forme di vita al suo interno. La priorità del lago è la sopravvivenza anche della più piccola forma di essere vivente.
Nel costeggiare il lago di Braies osservo alcuni turisti che incautamente camminano sul sottile strato di ghiaccio senza curarsi delle strane sfumature e inconsueti disegni che il ghiaccio sta evidenziando. L’unico scopo di questi improvvidi turisti è farsi un selfie sul lago ghiacciato piuttosto che preoccuparsi della fragilità del ghiaccio sotto i piedi. Avrò poi modo di leggere sui giornali la notizia di persone che hanno rischiato la vita quando il ghiaccio ha ceduto. La priorità non è il selfie ma aver cura di ciò che si sta trasformando, la priorità è ascoltare anche solo la minima vibrazione di un cristallo di ghiaccio. Sono arrivata in cima al valico, ancora mezz’ora di cammino su prati innevati per raggiungere il rifugio dove rifocillarmi. Quando si cammina nella neve occorre calibrare maggiormente le energie e non rischiare di fare troppa fatica. Ogni passo comporta un bilancio energetico e soprattutto in montagna bisogna sempre tener presente di avere sufficienti energie per garantire il ritorno a casa, maggiormente se si è da soli a vagabondare per le montagne.
E in tema di risparmio energetico è proprio negli scoiattoli che questo incredibile fenomeno avviene. Se alle femmine gravide mancano gli alimenti fondamentali per la sopravvivenza, scatta un meccanismo di regolazione biologica: gli embrioni si dissolvono nell’utero e vengono riassorbiti. Questo processo evita un ulteriore investimento nella prole, non necessario perché destinato a fallire, dato che i piccoli non avrebbero alcuna possibilità di nascere pienamente sviluppati e sufficientemente robusti.
La priorità
La vera priorità è la conoscenza della natura, da cui non si può che imparare soprattutto per quanto riguarda il concetto di risparmio. I lupi, ad esempio, dalle loro prede prelevano subito una parte del corpo ed hanno imparato a nascondere i resti sotto la neve come a congelarli per poi riprenderli nei momenti di necessità. Ed è proprio di un lupo la notizia che occupa in questi giorni la pagina locale della Val Gardena sul quotidiano Alto Adige. Un lupo solitario si aggira all’entrata della Vallunga, piccola valle laterale a pochi minuti dal mio luogo di lavoro. È stato fotografato e filmato. Quasi ogni sera amo camminare in solitudine in quella zona. Molti mi chiedono se non ho paura di incontrarlo. La mia risposta è “la mia priorità è incontrarlo”. Non potrei desiderare altro.
L’incontro col lupo è una delle più grandi esperienze si possa avere come con l’orso, il capriolo, la balena e qualsiasi altro animale selvaggio. Una priorità che a volte diventa una dipendenza tanto intensa è l’emozione che un incontro eccezionale può suscitare. Sono arrivata al rifugio. Per oggi tutte le priorità sono esaudite.