di Ennio Galliussi
Vivo la montagna da molti anni ormai e la frequento in tutte le sue stagioni e in molteplici attività. Chi la vive come me comprende la forte e misteriosa attrazione che essa suscita e la connotazione che molti alpinisti hanno cercato di darle nel tempo, senza per altro riuscire a descrivere fino in fondo le ragioni di tutto il magnetismo che ci spinge verso di lei. E’ un matrimonio per tutta la vita. Credo che la migliore descrizione, da cui traspare una palpabile sensazione di arrendevolezza sul cercare il perché, sia di una famosa alpinista che diceva: “ho cercato tanto di capire il motivo di questa grande e forte spinta verso la montagna. Il perché ancora non l’ho trovato, ma so che Lei mi rende sempre tanto felice…”.
Era da un po’ che pensavo di attuare un’idea che tuttora ritengo emotivamente sentita e all’inizio di questa estate realizzai il mio progetto. Una delle prime vie che scalai in montagna fu la via “della vipera” sulla punta Dallago, perfetta per chi comincia la propria avventura alpinistica. In alcune soste, ora sostituite da spit con catena, c’erano i chiodi, oltre a qualche chiodo di passaggio piantato ancora da Franz Dallago, l’apritore. Mi onoro di conoscere e di aver parlato con questo grande alpinista per ore, scambiando idee, opinioni e disquisendo delle sue intense avventure, vissute insieme al suo compagno di sempre Paolo Strobel Michielli. Paolo è proprietario del ristorante da Strobel, dove gli alpinisti che frequentano le cime del Falzarego possono trovare un bel momento conviviale per rilassarsi e parlare della via appena fatta, gustandosi una buona pasta ed una meritata birra. Ora, come dicevo, attuai il mio progetto e misi all’inizio della “via della vipera” una targhetta a bassissimo impatto visivo di 3×4 cm, sulla quale avevo fatto incidere il nome della via, degli apritori e l’anno di apertura.
Dopo circa un mese ritornai all’inizio della via per controllare se lo stucco, del colore della roccia, avesse attecchito. Con mia grande sorpresa e profonda amarezza notai che la targhetta era stata divelta. Ricordo di aver provato una sensazione di violenza per quell’atto così immotivato ai miei occhi. Cercavo di immedesimarmi in quella persona, immaginando i suoi movimenti furtivi e pieni di foga nel voler strappare via una data, assieme ad un nome di una via e dei suoi apritori, grazie ai quali ora lui ha la possibilità di scalare lo stesso percorso. Tutto questo per merito delle LORO capacità, dedizione e altruismo. La mia mente allora mi spinse a ricordare quando anni fa scalai il Sass de Stria, sulla via Cobertaldo-Pezzotti, dove i chiodi di passaggio posati dagli apritori erano stati tutti spaccati, e anche allora mi chiesi il perché. La ragione di questo mio articolo abbraccia molteplici motivazioni: sicuramente non vuole essere un assioma o un giudizio superiore, ma piuttosto qualcosa legato all’empatia e all’etica, per dare agli amici della montagna uno spunto di riflessione condividendo la mia esperienza.