Caro energia, l’allarme degli impiantisti: “Senza aiuti del governo, stagione sciistica a rischio”. In bilico la sostenibilità economica del comparto. L’Anef: «Con questi costi potrebbe diventare controproducente aprire gli impianti». D’altronde aumentare ulteriormente il prezzo degli skipass potrebbe rivelarsi un boomerang.
Stagione sciistica a rischio
(senza aiuti del governo)
di Max Cassani
(pubblicato su lastampa.it/montagna il 30 agosto 2022)
Dopo aver annunciato rincari fino al 10% degli skipass per far fronte all’impennata dei costi dell’energia per far funzionare funivie e cannoni sparaneve, gli impiantisti ora lanciano l’allarme: «Non c’è tempo da perdere e non possiamo aspettare le elezioni e il nuovo governo, bisogna intervenire subito sui rincari dell’energia che mette in ginocchio il futuro della montagna», dice la presidente dell’Associazione nazionale esercenti funiviari Valeria Ghezzi. E chiede che il tema energetico venga messo in cima all’agenda elettorale: «Le imprese non possono affrontare da sole questo momento, serve un impegno preciso oltre che urgente che permetta a chi gestisce le ski area di programmare la prossima stagione sciistica». Ancora più drastico il punto di vista di Massimo Fossati, presidente di Anef Lombardia: «A questo punto il problema è la sostenibilità economica: per fronteggiare gli aumenti dei costi dovremmo proporre aumenti del 20-25%».
La questione non è di poco conto: il caro energia rischia infatti di far saltare la prossima stagione sciistica. Simili aumenti non sono sostenibili per gli operatori del settore e gli impiantisti, dal loro punto di vista, reclamano un impegno diretto del governo per affrontare l’emergenza. «Il costo dell’energia è aumentato anche di sei volte rispetto ad agosto 2021 – aggiunge Valeria Ghezzi – E l’energia serve per alimentare gli impianti di risalita e i sistemi di innevamento programmato, cui si aggiunge il gasolio utilizzato dai mezzi battipista. Tutto ciò rischia di diventare un costo insostenibile, che andrebbe a minare le sorti di tutta la filiera che vive dell’industria della neve e comprende hotel, ristoranti, trasporti, scuole di sci. La preoccupazione va soprattutto alle tante piccole imprese che operano nel settore e che rischiano di chiudere».
Oltre a essere un divertimento, lo sci è infatti un’industria che genera un fatturato quantificabile in 6.5 miliardi di euro e occupa 75 mila posti di lavoro, che con l’indotto diventano molti di più. Un valore economico e sociale fondamentale per le nostre montagne essendo, a oggi, una delle poche attività che produce valore e posti di lavoro nelle terre alte.
Certo, l’emergenza del caro energia interessa in realtà tutto il settore produttivo, non solo lo sci. Ma è vitale per il turismo invernale, visto che gli impianti di risalita e quelli di innevamento artificiale sono azionati elettricamente. Il problema è che i rincari energetici non possono essere scaricati interamente sugli sciatori aumentando il prezzo di skipass e servizi. Intanto perché l’aumento degli abbonamenti non sarebbe sufficiente a compensare le perdite degli impiantisti dovute al triplicare del costo delle bollette; e poi perché si rivelerebbe una scelta boomerang, visto che a loro volta gli utenti sono alle prese con l’aumento generalizzato del costo della vita: dall’inflazione ai tassi d’interesse, dalla spesa alle bollette di casa. Non c’è più margine: il prezzo degli skipass – dai 50 ai 70 euro il giornaliero nei comprensori più grandi e blasonati – ha già raggiunto un prezzo per la maggior parte degli utenti insostenibile per quello che è in fin dei conti un’attività voluttuaria, non certo un ben primario.
La stessa Anef, per bocca del presidente piemontese Giampiero Orleoni, ammette il problema, e anche una possibile via d’uscita: «Noi impiantisti offriamo un servizio che non è essenziale: se ribaltiamo il costo sugli utenti chiaramente avremo un’affluenza minore. Una parte della soluzione potrebbe essere quella di far riconoscere le società impianti come aziende energivore».
Il commento
di Carlo Crovella
Con tutte le emergenze che deve affrontare il nostro Paese, quella dell’eventuale chiusura degli impianti sciistici, in quanto “energivori”, è proprio l’ultima cui dobbiamo pensare di indirizzare “aiuti di Stato”. Questi infatti non possono che corrispondere a nuovi scostamenti di bilancio, frase elegante per dire “nuovo debito pubblico”: come se non ne avessimo a sufficienza di tale fardello sulle spalle. Il problema vero del debito (a prescindere dalla causa per la quale è generato) è che graverà sulle generazioni future. Se lo creiamo per poter sciare, in pratica sciamo sulla pelle dei nostri figli e nipoti. Cogliamo invece la palla al balzo: evitiamo nuovo debito e, soprattutto, evitiamo nuovi danni ambientali collegati ai mega caroselli pistaioli. No nuovi impianti, no nuovi sbancamenti (per avere piste lisce come biliardi), no seggiovie a 6-8 posti, no mille inutili bar sulle piste… Se proprio dobbiamo dare aiuti di Stato al settore, finalizziamoli alla riconversione verso un sistema sciistico di stazioni leggere, a quota adeguata, solo snelli skilift, piste gobbute old fashion, poca gente, aperte solo con innevamento naturale. Per dirla come Draghi, c’è debito buono e debito cattivo… questa volta vediamo di non sbagliare, come invece accade sempre in Italia.