Tutti gli scrigni dell’isola di Montecristo

Reportage dall’isola più selvaggia e protetta dell’arcipelago toscano: duemila visitatori l’anno, nessun tuffo in mare, un romanzo che l’ha resa celebre e tante leggende, per scoprire che l’unico tesoro è proprio Montecristo stessa.

Tutti gli scrigni dell’isola di Montecristo
(che si aprono solo se si smette di cercare il tesoro)
di Alessandra Bava
(pubblicato su corrierefiorentino.corriere.it il 1 aprile 2025)

Montecristo non ha un tesoro, ma molti scrigni. 
Il primo che apri, quando attracchi a Cala Maestra e insieme alla guida ambientale inizi a percorrere uno dei sentieri che si addentrano nell’isola, è quello degli odori. 

L’arrivo a Cala Maestra, unico approdo dell’isola

Ti investono di colpo, una intensa nuvola di profumi che riconosci piano piano. Rosmarino, il più semplice da individuare. Poi arriva l’elicriso che entra dritto nel naso e il maro, una piccola pianta che se tocchi, sprigiona odore di bosco e mare insieme.

Il secondo scrigno si apre lentamente, quando percorri il sentiero. Puoi scegliere quello del Belvedere, due ore e mezzo di cammino. Il più semplice e il più panoramico. O quello difficile ma non impossibile, che ti porta al Monastero e alla Grotta del Santo. 

Il senso che ti regala questo scrigno è la vista. La allunga e la amplifica. Ti costringe a guardare in basso, facendo attenzione a dove si mettono i piedi: e così vedi la roccia granitica costellata di cristalli bianchi o quella che si riempie di muschio. 

Dai lati si innalzano i lecci secolari, antichi padroni dell’isola, minacciati adesso dal proliferare dell’elianto, pianta aliena che sta proliferando sulle isole toscane. Se lo tagli, lui rinasce e si moltiplica. 

E poi arriva il cielo che incontra il mare. Lo vedi dall’alto e vorresti buttarti in quelle acque, totalmente proibite dal 1971, anno in cui l’isola diventò riserva naturale, dopo un tentativo di speculazione edilizia: qualcuno ci provò a fare di Montecristo un luogo di turisti, per fortuna gli andò male.

Dal terzo scrigno emergono i suoni: il vento dell’isola, i versi del gabbiano corso e della berta minore, le parole delle guide che raccontano, instancabili, le storie e le leggende che hanno fatto di Montecristo, un luogo tanto ambito da vedere. 

Dumas certo, che mai attraccò sull’isola ma che lì ambientò uno dei suoi romanzi più famosi, e che oggi, complici due serie televisive, ha portato nel giro di tre ore a finire i biglietti disponibili per i duemila visitatori che ogni anno possono entrare a Montecristo. 

«Gli anni scorsi terminavano in una decina di giorni, quest’anno è stato incredibile, tanto da far andare in tilt il sistema», racconta Luca, la nostra guida.

I resti del monastero

Per un secolo però, l’isola è stata dei monaci, custodi e padroni di Montecristo, dopo l’arrivo di Mamiliano, vescovo di Palermo in fuga e diventato poi il Santo. «Talmente santo -spiega Luca – che quando morì, le sue spoglie furono contese tra gli abitanti delle isole vicine. Oggi, ognuna di loro, conserva almeno un reliquia di Mamiliano, in una chiesa».

San Mamiliano avrebbe dato anche il nome all’isola, cambiando quello originario di stampo pagano, Monte Giove. Secondo una leggenda, il vescovo siciliano, dopo essere stato fatto prigioniero e schiavo, riuscì a fuggire e a rifugiarsi sull’isola dove visse in solitudine e meditazione in una grotta, chiamata Grotta del Santo e ribattezzando l’isola in Mons Christi

La leggenda racconta inoltre la coraggiosa uccisione da parte di Mamiliano, di un terribile drago alato guardiano dell’isola, alla cui morte sarebbe scaturita una sorgente d’acqua purissima.

Il monastero dei monaci diventò un luogo di veri tesori, con monete preziose e gioielli, che venne nei secoli depredato dei suoi averi. Oggi restano dei ruderi, perché durante la seconda guerra mondiale fu usato come centro di addestramento militare.

Non mancano le leggende sui pirati e la storia, vera, di George Watson Taylor, vero «conte di Montecristo», che soggiornò sull’isola nell’Ottocento padrone della villa che fece costruire e che è ancora visitabile. Uomo colto e attirato, come tanti, dal presunto tesoro conservato nell’isola, la comprò e visse lì per qualche decennio.

La villa

Con la nascita del Regno d’Italia, Montecristo passò ad essere il buen retiro del re e sua personale riserva di caccia.

Oggi la sua bellezza è custodita dai Carabinieri forestali che si alternano a vivere lì, ogni 15 giorni, in coppia. Non c’è nessun altro, neanche le famiglie di custodi a cui, in anni recenti, non è più stato garantito uno stipendio.

«Com’è la vita in un paradiso sperduto?», chiediamo. I due militari si guardano e sorridono: «Lavoriamo sempre». 

«E che dovete fare in un’isola selvaggia?». 
«Controllare le capre che si mangiano ogni foglia di ogni pianta, sistemare l’orto botanico insieme ai giardinieri, stare di vedetta, soprattutto d’estate, che qualche furbetto non venga a fare il bagno qua…». 

«Ma almeno un bagnetto quando siete soli qui ve lo farete no?».  «Impossibile, neanche fino alla riva si può arrivare. Gli unici che possono immergersi sono ricercatori sub con motivi di studio. Il resto è bandito».

Sull’isola si fa molta ricerca. Flora e fauna sono intatte, altro tesoro che Montecristo regala, come nessun’altra isola può. Un tesoro vero per biologi, zoologi e persino archeologi.

La guida termina il giro chiedendo: allora, qual é il tesoro di Montecristo? La risposta arriva in coro, come bambini alla fine di una gita.
L’isola stessa è il suo tesoro più grande.

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