Stava scalando da solo, acclimatandosi, quando a 7200 metri di quota, in un punto in cui doveva superare una parete di roccia, è caduto fatalmente per 900 metri.
Ueli Steck
di Cristina Barraza e Alex Guillermo Martín
(pubblicato su culturademontania.org il 4 maggio 2017)
Il 40enne svizzero Ueli Steck, uno dei più esperti alpinisti contemporanei, è stato trovato morto il 30 aprile 2017 alla base della parete del Nuptse, vicino al Campo II dell’Everest. La sua morte è stata la prima stagionale sulla montagna più alta del mondo.

Dinesh Bhattarai, direttore generale del Dipartimento del Turismo, ha dichiarato: “È scivolato a circa 1000 metri dal campo” e poi è caduto per 900 metri, smembrandosi: aveva lasciato il Campo II alle 2 del mattino di domenica”.
L’Himalayan Times riporta che l’alpinista svizzero è stato visto per l’ultima volta alle 4.30 del mattino mentre scalava il Nuptse 7861 m. Stava compiendo l’ascensione per acclimatarsi in vista di un tentativo di scalare l’Everest 8848 m lungo la via Hornbein-Unsoeld del 1963, raramente percorsa, sulla cresta ovest, con l’intenzione di scendere attraverso la via normale del Colle Sud, raggiungere la via normale del Lohtse 8516 m, salire in cima a questo e infine ridiscendere al Campo II dell’Everest, completando così una salita ad anello leggera e veloce.
Steck intendeva percorrere la traversata Everest-Lhotse senza ossigeno, accompagnato dall’amico e sherpa Tenzing, che aveva trascorso gli ultimi giorni al campo base della montagna più alta del pianeta per riprendersi da un congelamento avvenuto qualche giorno prima. Per non perdere l’acclimatamento, Ueli ha continuato a salire da solo ed è stato allora che si è verificato l’incidente mortale.

L’ultimo messaggio di Steck su Facebook risale al 26 aprile 2017, quando aveva scritto: “Salita veloce dal campo base a 7000 m e ritorno. Credo nell’acclimatazione attiva. È più efficace che passare le notti in quota”.
L’incidente si è verificato quando Ueli si trovava a circa 7200 metri, alla fine della prima metà della parete, in un punto in cui si deve superare un risalto di roccia, ed è lì che pare sia caduto. Gli sherpa che stavano riposando al C2 hanno visto la caduta e due militari britannici, due guide Sherpa, l’alpinista iraniano Mehdi Efetihmar e l’alpinista peruviano Victor Rimac, sono andati a cercarlo e lo hanno trovato morto ai piedi della parete del Nuptse. Altri alpinisti che stavano salendo sull’Everest lo hanno visto e hanno telefonato per il soccorso. I vari pezzi del suo corpo sono stati recuperati e portate a Lukla, dove si trova l’unico aeroporto della zona dell’Everest.
Questo tentativo di scalare l’Everest e il Lohtse nella stessa spedizione prevedeva il secondo tentativo (dal 1963) di scalare la “via Hornbein”: per quella Steck si era preparato per quattro mesi. “Non dirò che è una traversata facile”, ha detto Steck in un video, descrivendo il concatenamento con il Lhotse. “Qui tutto è già stato scalato almeno una volta, ma l’intero collegamento non è mai stato fatto”.
Prima di partire per la spedizione, ha scritto su Facebook: “La mia mente è già in Nepal. Sono super motivato”. “Penso che stare in montagna sia la cosa migliore della vita. Una volta che si è lì, si è liberi e si può fare ciò che si vuole”.
Chi era Ueli Steck
Falegname di professione, Steck è nato il 4 ottobre 1976 a Langnau im Emmental, a est di Berna, in una famiglia fortemente legata allo sport.
All’età di 12 anni entra a far parte del Club Alpino Svizzero, affascinato dal “contatto con la natura e le falesie”.
A 17 anni Steck raggiunge il IX grado di difficoltà (UIAA) nell’arrampicata.
A 18 anni scala la parete nord dell’Eiger e il Pilastro Bonatti nel massiccio del Monte Bianco.
Nel giugno 2004, insieme a Stephan Siegrist, ha scalato l’Eiger, il Mönch e la Jungfrau in 25 ore.

Un altro successo è stata la cosiddetta “Khumbu-Express Expedition” del 2005, per la quale la rivista Climb lo ha nominato uno dei tre migliori alpinisti d’Europa. Il progetto consisteva nella prima salita in solitaria della parete nord del Cholatse 6440 m e della parete est del Taboche 6505 m.
Ben presto le sue imprese divennero famose. Con l’arrivo dei primi sponsor, Steck, allora trentenne, decide di dedicarsi a tempo pieno all’alpinismo. Si allena duramente, con l’aiuto di un fisioterapista, privilegiando la resistenza alla tecnica.
La fama di Steck è cresciuta quando ha battuto per tre volte il record di velocità sulla parete nord dell’Eiger: prima in 3 ore e 54 minuti nel 2007, poi in 2h47’33” nel 2008 e infine in 2h22’50” nel 2015.
Steck ha rischiato di morire nel 2007 mentre scalava la parete sud dell’Annapurna in Nepal; una frana lo ha fatto precipitare per 300 metri lungo la parete, fortunatamente l’incidente ha provocato solo lievi ferite.
La parete sud dell’Annapurna è una delle pareti più formidabili del pianeta. Alta tre chilometri, è una serie di nevai e seracchi verticali alternata a grandi barriere di roccia talvolta strapiombanti. Come se non bastasse, la caratteristica instabilità meteo su quella montagna fa sì che sia continuamente spazzata da valanghe e scariche. Negli ultimi quarant’anni, queste hanno causato la morte di alcuni tra i migliori scalatori.

Nel maggio 2008 ha tentato nuovamente l’Annapurna, ma ha interrotto l’ascensione a causa di grosso pericolo di valanghe. La settimana successiva, tuttavia, è salito per aiutare il suo amico, l’alpinista spagnolo Iñaki Ochoa de Olza, che era caduto e stava morendo all’ultimo campo a 7400 metri. Dopo aver aiutato il compagno di quest’ultimo, il rumeno Horia Colibasanu, ha potuto solo fargli un’iniezione di desametasone per cercare di rianimarlo e passare l’ultima notte con lui. Nello stesso anno, Steck è stato il primo a ricevere l’Eiger Award per le sue imprese alpinistiche.
L’anno successivo ha ricevuto il suo primo Piolet d’Or per aver aperto una nuova via sulla parete nord del Tengkampoche, insieme a Simon Anthamatten.
Nel 2014 Steck ha effettuato la prima salita in solitaria della parete sud dell’Annapurna e ha vinto il suo secondo Piolet d’Or.
“Vetta in solitaria, parete sud”: conciso e rapido come le sue scalate, l’alpinista svizzero non ha avuto bisogno di più di quattro parole per comunicare al mondo dal suo cellulare, sulla cima dell’Annapurna 8091 m, che aveva appena scalato una delle pareti più bestiali, difficili e pericolose dell’Himalaya.
Nel 2015, Steck ha deciso di scalare le 82 vette più alte delle Alpi, quelle che superano i 4000 metri, viaggiando tra le montagne esclusivamente a piedi, in bicicletta e in parapendio. Ha completato l’impresa in 62 giorni, contribuendo a consolidare la sua reputazione di “Swiss Machine”.
Nell’aprile 2016, Steck e il suo compagno di cordata tedesco, David Göttler, hanno ritrovato i corpi di Alex Lowe e del parapendista David Bridges che, nel 1999, erano morti travolti da una valanga mentre tentavano la salita allo Shishapangma per tentarne la prima discesa con gli sci.

Steck è balzato agli onori della cronaca anche nel 2013, quando, insieme all’alpinista italiano Simone Moro e al fotografo britannico John Griffith, è stato aggredito da decine di sherpa al Campo 2, a 6400 metri di altezza, sull’Everest. L’aggressione è avvenuta poche ore dopo che i tre alpinisti avevano raggiunto la corda fissata dagli sherpa per preparare la via alle spedizioni commerciali, provocando una denuncia ingiustificata. Gli scalatori aggrediti si sono salvati grazie all’intervento di altri alpinisti occidentali che li hanno protetti.
Quella volta i tre alpinisti hanno annullato il loro tentativo di scalare l’Everest e, per la delusione e la rabbia, Steck aveva giurato di non tornare mai più sull’Everest, dichiarando a un sito web svizzero che la sua “fiducia era venuta meno”. La promessa è rimasta inattuata…

I riconoscimenti
Famoso per le sue ascensioni in stile alpino e per aver battuto diversi record di velocità nella salita e discesa di vette importanti (il cosiddetto speed climbing), soprattutto sulle grandi pareti nord delle Alpi, è stato meritatamente premiato nel corso della sua fortunata carriera.
Nel 2008 ha ricevuto l’Eiger Award 2008 per le sue prestazioni alpinistiche. Nel 2009 ha ricevuto il Piolet d’Or per la sua salita in stile alpino della parete nord del Tengkampoche. Nel 2010 ha ricevuto il Karl Unterkircher Award per la sua versatilità alpinistica; nel 2014 ha ricevuto il suo secondo Piolet d’Or per la salita in solitaria della parete sud dell’Annapurna e nel 2015 il National Geographic lo ha premiato come Avventuriero dell’anno.

Alcune di queste frasi e azioni rivelano il suo modo di sentire:
“Ho iniziato a praticare sistematicamente l’alpinismo nel mio tempo libero. Al contrario, non ho mai pensato di diventare un giorno un professionista”, ha spiegato il prodigio svizzero nel 2015 in un’intervista all’AFP (Agence France Presse).
“Non cerco persone che parlino dei miei record, è il mio piacere personale a guidare i miei passi”, ha aggiunto.
Steck amava stare lontano dai media durante le sue salite per poter prendere “la decisione giusta in parete”. Sosteneva che il denaro e la gloria non erano mai stati importanti per lui e che era soddisfatto che il suo reddito superasse quello del falegname che era prima.
I suoi detrattori hanno sottolineato l’assenza di prove GPS o fotografie a garanzia di alcune delle sue imprese. La sua risposta è stata: “C’è molta invidia e devo accettarla”.
Riferendosi al suo tentativo di salvare Iñaki Ochoa de Olza, ha detto: “Era abbastanza chiaro ciò che bisognava fare quando abbiamo ricevuto il messaggio di aiuto. La gente può pensare a eroi e cose del genere, ma non ha nulla a che fare con questo: si tratta del fatto che siamo esseri umani ed è qualcosa che viene naturale. Abbiamo tutti una sola vita, oltre non ci sono più possibilità. Sapevamo che Iñaki era lassù e che aveva seri problemi. E oggi lo farei di nuovo”.

I tributi si sono moltiplicati dopo l’annuncio della sua morte.
Will Gadd, il grande ghiacciatore canadese, ha lasciato queste parole sul suo blog: “Oh, merda, Ueli. Sono davvero dispiaciuto che tu non ce l’abbia fatta. L’ultima volta che ti ho visto, abbiamo fatto escursioni e arrampicate qui a Canmore, e poi sei corso sulle montagne che sto guardando in questo momento con i demoni del tuo ultimo viaggio sull’Everest che ti correvano dietro. Potevo vedere la pressione nei tuoi occhi e la rapidità dei tuoi movimenti, ed era chiaro che sentivi un peso terribile. Era in virtù del tuo carattere che ti preoccupavi così tanto, sempre… Con il tempo, hai tirato avanti, ma quando ho sentito la notizia dall’Everest ho capito che i demoni ti avevano preso. Alla fine ci prenderanno tutti, ma avrei voluto che fossi rimasto più a lungo. In un’epoca in cui gli atleti definiscono i propri “successi” su Instagram e trasmettono all’infinito la propria “durezza e sofferenza”, tu non lo stavi facendo. Tu stavi scalando, e ti piaceva. Hai scalato, ti è piaciuto e hai pensato a lungo e intensamente al gioco della montagna. La sofferenza non esisteva perché era più piccola dell’obiettivo. Per realizzare grandi sogni, servono grandi obiettivi. Hai vissuto i tuoi sogni meglio di chiunque altro abbia mai conosciuto. Sto ancora piangendo mentre scrivo.
Piango per il ragazzo motivato, ma un po’ paffuto, che ci ha portati alla parete in un’auto con una caffettiera e un bagagliaio che non funzionava. Per il ragazzo che si alzava prima di noi e correva alla panetteria locale per comprare due paste fresche per tutti tranne che per lui… che ha condiviso la sua casa e il suo amore quando ho vissuto lì per mesi e ci siamo battuti nella prima Coppa del Mondo su ghiaccio”.
Il resto del lungo e interessante testo scritto da Will Gadd, disponibile sul suo blog, si conclude con un ‘arrivederci e grazie Ueli’.
L’alpinista britannico Kenton Cool, che ha conquistato l’Everest dodici volte, ha dichiarato su Twitter che Ueli Steck era “un uomo che ci ha mostrato che tutto è possibile in montagna e oltre”.
Alyssa Azar, la più giovane scalatrice australiana ad aver mai raggiunto la vetta dell’Everest, ha dichiarato dopo la sua morte che per lei Steck era una grande ispirazione. “Era il migliore della sua generazione… Il modo in cui arrampicava era incredibilmente impressionante, la sua abilità tecnica e la sua abilità fisica… mi hanno decisamente ispirata”. La signora Azar ha detto che la montagna che Steck stava scalando quando è morto è un percorso molto pericoloso e che richiede molta abilità. “So che il Nuptse può essere una scalata piuttosto tecnica e che bisogna avere molta abilità nell’arrampicata su ghiaccio ed essere abbastanza autosufficienti e scalarlo in solitaria è estremamente rischioso”, ha detto.
Il giornalista e alpinista Billi Bierling ha reso omaggio all’amico in un articolo in cui si legge tra l’altro: “Quello che mi è sempre piaciuto di Ueli era la sua modestia e il fatto che, nonostante i suoi incredibili risultati, rimanesse con i piedi per terra, non era mai arrogante. Quando si guarda il suo curriculum sul suo sito web, si legge: “Professione: falegname professionista” e questa frase è posta prima di elencare tutti i suoi incredibili successi in montagna. Ricordo che una volta gli chiesi come facesse a non aver paura di scalare pareti gigantesche senza corda e lui mi rispose: “Arrampicare è come salire le scale. Non mi aspetto mai di scivolare e cadere, e tu? E questo è esattamente il modo in cui vedeva l’arrampicata: come salire le scale”. Ma purtroppo domenica queste scale gli sono state fatali. È una grande perdita per la comunità dell’arrampicata, per i suoi amici e la sua famiglia e, naturalmente, una grande perdita per sua moglie Nicole. I miei pensieri sono con tutti loro e ricorderò sicuramente Ueli come un incredibile arrampicatore, un buon amico e un’ispirazione per molte persone. Nonostante il suo fervore per le salite veloci, non ha mai perso il suo amore e la sua passione per la montagna”.

L’ultimo saluto
Giovedì 4 maggio 2017 il corpo del leggendario alpinista svizzero è stato cremato in Nepal con una cerimonia tenuta dai monaci del monastero buddista di Tengpoche, un tempio circondato dalle vette himalayane, tra cui l’Everest, dove Steck ha perso la vita.
La moglie Nicole e gli altri familiari più stretti erano arrivati da Kathmandu, accompagnando il corpo senza vita di Steck, per partecipare al rito funebre, tenutosi nel luogo di cremazione del monastero.
La famiglia ha circondato la pira funeraria mentre veniva accesa, mentre i monaci pregavano al ritmo della musica tibetana. In seguito i parenti hanno riportato parte delle ceneri dell’atleta in Svizzera, suo Paese natale.
