L’ultimo sole su Boschietto
di Toni Farina
Foto di Toni Farina
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com l’8 novembre 2017)
Metti che qualcuno del tutto ignaro del Parco nazionale Gran Paradiso mi chieda dove andare per iniziarne la conoscenza, dove lo mando? Cogne? Ceresole? Affatto! A Forzo, lo mando. Il Vallone di Forzo è il consiglio giusto, il luogo più indicato per entrare subito in sintonia con l’anima profonda de Lo Parc.
Forzo è in Val Soana, provincia di Torino: “La Valle Soana […] è una valle ignota a quanti non vi hanno interessi diretti, dimenticata nelle antiche carte topografiche, mal descritta nelle nuove, eppure degna di attrarre non solo gli alpinisti, dilettanti di caccia, di botanica di siti pittoreschi, di squisite trote, di tranquillità, ma anche gli ascensionisti amanti delle rupi e dei ghiacci, delle balze e dei ripidi canaloni (Luigi Vaccarone-Costantino Nigra, Guida delle valli Orco e Soana, 1878)”.
A parte i ghiacci che ormai scarseggiano, “rupi, balze e ripidi canaloni” sono gli stessi di fine ‘800. E così i “siti pittoreschi”, le “squisite trote” e la “tranquillità”. Requisiti che nel Vallone di Forzo trovano massima espressione.
A Forzo dunque, in un giorno compreso fra la metà e la fine di ottobre. Se possibile durante la settimana. Chi c’è stato, “in un giorno compreso fra la metà e la fine di ottobre” (durante la settimana), sa quel che intendo.
Prima di Ronco Canavese si lascia la strada provinciale e si svolta nella valle, che presenta fin da subito le sue credenziali: “balze e ripidi canaloni” a profusione. La strada termina nella borgata omonima, a 1170 metri di quota (si macina dislivello da queste parti). Scesi alla vicina borgata Molino, e sorseggiato un caffè all’inattesa Osteria delle Alpi, ci si intrufola fra le abitazioni sulla storica mulattiera che sale nella valle. Storica perché costituiva una delle vie di transito dalla pianura canavesana a Cogne, attraverso il Colle di Bardoney 2800 m. Un viaggio, allora come oggi. Mulattiera percorsa dai Salassi e poi dai Romani e poi da molti altri durante i secoli. D’altronde è dalla Val Soana, “cenerentola” del parco, che giunsero i primi abitanti di Cogne. Della prospera e turistica Cogne.
Il torrente è uno spettacolo di acque mosse e limpidissime. Pochi passi e si arriva al primo dei “siti pittoreschi” citati da Nigra e Vaccarone: il pilone votivo inserito in una nicchia di roccia, a strapiombo sul torrente. Il tempo di lasciar decantare lo stupore, ed ecco il secondo: la svolta della valle con scorcio sulla facciata bianca della chiesa di Boschietto, rivolta al mattino. Lasciata la via diretta per Boschiettiera si prosegue in direzione della chiesa che si raggiunge con un’impennata. E lì, sul sagrato si fa sosta, tutti fanno sosta. Al sole caldo di ottobre, a guardare la valle e la lontana pianura preda della foschia.
Da Boschietto sale ripido sul versante a solatio il sentiero per il casotto di sorveglianza del Giavino. Un’opzione per una futura visita, consigliata gli estimatori dei versanti inondati di sole e di silenzio. La camminata in questione prosegue nella valle sul pianoro verso Boschiettiera, borgata gemella di Boschietto. Dove ci si ferma di nuovo a osservare le case ben tenute, e altre malandate, in attesa di qualcuno che, rapito dal luogo, ci metta mano. Qualcuno come Dany e Karina.
Un saluto, poche parole, sono sufficienti a rendermi edotto sulla loro provenienza. L’accento è d’oltralpe. D’altronde chi mai, non proveniente da oltralpe, potrebbe pensare di passare qui gran parte dell’anno, in questo luogo sperduto a un’ora di cammino dal termine della strada? Dany e Karina sono belgi e non so quale destino li abbia condotti qui, nelle ostiche giogaie canavesane. Quel che so è che sono gentili e sorridenti e che le poche parole scambiante sono un valore aggiunto a questa giornata di tanti passi.
A Boschettiera si cambia. La mulattiera principale prosegue nella valle, che si stringe per aprirsi poi nel Pian Lavina. Che non è affatto piano, anzi, ma è lì che lo sguardo va sulla Torre, ne insegue i canaloni rocciosi che muoiono sulla cima. Si vede dalla pianura la Torre di Lavina, montagna regina della Val Soana, ma dalla pianura non s’immagina quel che sta ai suoi piedi…
Dunque si lascia il fondovalle per andare nel fitto del bosco di conifere che copre il lato all’envers. Attraversato il torrente, è una sinfonia di larici. S’inanellano tornanti fra giochi di luce e improvvisi richiami di camosci. La pendenza si fa sostenuta e così, come spesso accade, si finisce per scandagliare il cielo fra le fronde, ansiosi di orizzonti più ampi. E, come sempre accade, prendendo quota il bosco si dirada e ci si rende conto.
Ci si rende conto dell’ambiente. L’anima profonda del Gran Paradiso.
L’occhio corre tutt’intorno nella vana ricerca di angoli distesi, riposanti. E poi scende sul fondovalle, su Boschietto. E ci si ferma a osservare il tempo che scorre. La luce che si ritrae, cede spazio all’ombra che si espande come ogni giorno a conquistarne i tetti di lose.
… e la prima luna
Un saluto a Boschietto e al bosco di larici, si prosegue in una successione di conche, da un orizzonte al successivo. La meta è la Muanda, casotto di sorveglianza del parco. Salendo si scopre una dimensione che neppure lontanamente si poteva immaginare dal fondovalle.
Chi c’è andato sa quel che intendo. La Punta delle Sengie 3408 m, la più elevata della valle), le Cime di Valeille, il Monveso (che in effetti ricorda il Re di Pietra). Un tempo c’erano lembi di ghiacciaio ma oggi neppure Forzo sfugge ai cambiamenti epocali.
La Muanda è punto di arrivo, ma anche punto di ripartenza per salire ancora: il Colle della Valletta, la Punta Rossa, il bivacco Revelli, i laghi nascosti, i camosci sulle balze, il Colle di Ciardoney. Angolo remoto in cui si annida, sofferente, l’ultimo ghiacciaio.
Ma è ottobre, le ore di luce non abbondano. Invertita direzione di marcia si inizia la lunga discesa che riporterà al punto di partenza. Si va su via nuova, all’inizio ancora serpeggiando fra balze verso il bel ripiano della Grangia Vassinetto, approdo di erbe in un mare di roccia. È di lì che si alza la traccia che sale nel Vallone di Umbrias, verso il Colle del Lago Gelato, nell’alto Vallone di Eugio. Non andateci, non è luogo adatto a umani…
Poi ci si inabissa. Dove un tempo precipitava in seracchi il ghiacciaio il sentiero trova la sua via, esempio supremo di maestria montanara. In basso, nella valle, si accendono le prime luci. Ma su questo versante la luna arriva presto.
La prima luna su Boschietto.
“Nulla ha tanto mutato l’essenza dell’uomo quanto la perdita del silenzio, quanto il fatto che il silenzio non esiste più come una cosa naturale, naturale come le nubi del cielo, come l’aria (Max Picard, 1948)”.