Come cambiano le città europee di Rotterdam, Copenhagen e Malmö

(per prevenire i disastri delle alluvioni)
di Emanuele Meloni
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it l’11 giugno 2023)

Il disastro in Romagna che ancora è impegnata a rimettersi in piedi. E poi le immagini che arrivano da Nord a Sud di precipitazioni violente che trasformano strade in fiume: da Cuneo all’Irpinia, da Sassari all’Abruzzo. L’Italia non è nuova a fenomeni di alluvioni e inondazioni, ma anche a causa dei cambiamenti climatici, negli ultimi anni le piogge torrenziali – causa di frane, allagamenti esondazioni di fiumi – sono sempre più frequenti. Da eventi eccezionali e sporadici sono diventati la regola. Stando ai dati dell’ultimo report realizzato da Irpi e Cnr, negli ultimi cinquant’anni (fra il 1972 e il 2021) frane e inondazioni hanno provocato 1.610 morti (di cui 42 ancora dispersi), 1.875 feriti e oltre 300mila evacuati e senza casa. Nessuna Regione esclusa: per salvare l’Italia dalle alluvioni servono 26 miliardi.

Sappiamo che esiste una stretta relazione tra il consumo di suolo (secondo gli ultimi dati relativi al 2021, cresce ancora ad una media di 19 ettari al giorno) ed eventi estremi come frane e alluvioni. I processi di urbanizzazione modificano profondamente il ciclo naturale dell’acqua. L’aumento delle superfici impermeabili, la cementificazione a discapito del verde, ha ridotto i fenomeni evapotrasporativi, l’infiltrazione e la ricarica delle falde acquifere, andando ad incrementare i volumi delle acque superficiali che non vengono infiltrate nel terreno e rimangono e si accumulano in superficie.

Un suolo impermeabile è caratterizzato da una ridotta capacità idrica: diminuisce la sua capacità di assorbimento, l’infiltrazione e aumenta il fenomeno del cosiddetto “run-off” (il deflusso superficiale delle acque) provocando l’allagamento di sempre maggiori aree urbane. Viceversa le superfici verdi – essendo permeabili – non ostacolano l’infiltrazione delle acque attraverso i suoli, fino alla falda.

Occorre invertire la rotta. Combattere la logica della cementificazione selvaggia per restituire alla natura ciò che le è stato tolto, costruendo soluzioni in armonia con la necessità di urbanizzazione dell’uomo, è alla base di quelle strategie che vengono definite NBS, cioè Nature-Based Solutions, soluzioni basate sulla natura.

Cosa sono le soluzioni basate sulla natura
Il termine Nature-based solutions – apparso per la prima volta all’inizio degli anni 2000 – intendeva promuovere la natura quale chiave per la lotta ai cambiamenti climatici. Il primo e principale promotore è l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, la più grande organizzazione globale che riunisce istituzioni politiche e della società civile di oltre 160 Paesi nel mondo: nel 2016 ha definite le Nbs come “azioni per proteggere, gestire in modo sostenibile e ripristinare gli ecosistemi naturali e modificati che affrontano le sfide della società in modo efficace e adattivo, a beneficio simultaneo delle persone e della natura”.

In altre parole sono degli interventi che traggono spunto dalla natura e generano benefici per la comunità ambientali, sociali ed economici. Quali possono essere gli esempi? Tetti e pareti verdi, pavimenti permeabili, sistemi di raccolta dell’acqua piovana (per raccogliere e immagazzinare la pioggia per il riutilizzo), sistemi di bioritenzione, giardini della pioggia (che servono a raccogliere il deflusso in uno stagno superficiale temporaneo prima che filtri attraverso la vegetazione e il terreno sottostante) e ancora canali vegetati, bacini di detenzione, stagni di ritenzione e zone umide (per rallentare e raccogliere il flusso dell’acqua e incoraggiare la biodiversità) e canali e bacini di infiltrazione (per controllare il deflusso e sostenere la ricarica delle falde sotterranee). Per non dimenticare una soluzione che appare banale ma non lo è: gli alberi, i quali sono capaci di catturare l’acqua piovana fornendo anche evapotraspirazione, biodiversità e ombra. Questi interventi possono essere messi in opera, uno o più alla volta, a seconda della necessità (isola di calore urbana, biodiversità, inquinamento, gestione sostenibile delle acque).

Le amministrazioni delle maggiori capitali europee hanno ormai da tempo adottato queste strategie. Vediamone alcuni esempi.

Rotterdam e l’esempio olandese
Chi meglio dei Paesi Bassi, da sempre esposti alle “minacce” delle acque, possono essere da esempio nelle politiche da attuare per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici? Dopo le disastrose inondazioni del 1953, il governo olandese ha introdotto misure per proteggere il Paese dalle alluvioni. Rotterdam, fiorente città portuale mondiale con oltre 2 milioni di abitanti nell’area metropolitana, ha una posizione delicata – dominata da grandi fiumi e dal mare – che la rende particolarmente vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico.

Per gestire le inondazioni sono state previste zone di stoccaggio e canali di trasporto nella progettazione di strade e parcheggi utilizzando marciapiedi o dossi come elementi di contenimento. Anche gli spazi civici – parchi e piazze – possono funzionare come zone di stoccaggio.

L’adattamento climatico di Copenaghen
Dopo le pesanti alluvioni del 2010 e del luglio 2011, la città ha deciso di dotarsi di un Piano di adattamento climatico per la gestione dei danni da precipitazioni intense ed estreme. Il piano individua tre azioni principali. La prima mette insieme la creazione di nuove fognature, la separazione delle acque meteoriche dal sistema fognario (che consente di non appesantire la rete) e l’implementazione delle Nbs per immagazzinare o agevolarne la filtrazione nel terreno. La seconda azione si concentra sulla gestione dell’acqua piovana localmente con la partecipazione degli abitanti (un cortile o un giardino sul retro con erba o alberi invece di cemento o piastrelle possono fare la differenza). Infine convogliare la pioggia in eccesso verso punti dove non fa danni (parcheggicampi da gioco e parchi), attraverso la predisposizione di appositi canali e scoli alla base degli edifici e nelle strade.

La rigenerazione di Malmö, Svezia
Il quartiere di Augustenborg ha vissuto periodi di declino socio-economico e inondazioni. Tra il 1998 e il 2002 ha subito una significativa rigenerazione. Per migliorare la situazione sociale ed economica, la gestione del rischio di inondazioni, dei rifiuti e il miglioramento della biodiversità. Ha apportato significativi cambiamenti nelle infrastrutture, creando sistemi di drenaggio urbano sostenibili, inclusi fossati, bacini di ritenzione, tetti verdi e aree verdi. A distanza di anni l’esito dell’operazione può definirsi più che positivo: i tassi di deflusso dell’acqua piovana sono dimezzati e il quartiere è ora più vivibile (e anche più bello).

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