di Alessandro Gogna
(introduzione al catalogo allegato alla mostra K2: Un’impresa italiana 1954-2024 – Varese, maggio 2024-gennaio 2025, a cura di Luigi Pizzimenti)
La vittoria italiana del K2 nel 1954 (quarto Ottomila ad essere conquistato, dopo Annapurna, Everest e Nanga Parbat) ebbe a suo tempo il giusto rilievo. E’ fuori discussione infatti che quella montagna fosse ben più difficile delle altre tre, a dispetto dei 137 metri di quota inferiore all’Everest.
Il mondo alpinistico internazionale riconobbe il valore di quell’impresa, collocandola a pieno merito nella storia. Per gli italiani a questa valutazione tecnica si associa l’altrettanto importante situazione storica in cui la società civile si trovava, ancora alla ricerca di un riscatto morale a seguito delle terribili piaghe della guerra civile. Quando si sparse la notizia della conquista tutti i campanili italiani suonarono a festa.
Settanta anni dopo ricordare ancora questo nazionale fiore all’occhiello ha senso preciso, indipendentemente dai valori sentimentali come pure dagli echi delle polemiche, che purtroppo invasero per almeno cinquant’anni un ricordo che avrebbe dovuto essere “pulito”.
Il senso del riparlarne in coincidenza con il numero 70, e quando ormai tutti i protagonisti sono ormai purtroppo scomparsi, investe con valore di cura e di medicamento la situazione attuale dell’alpinismo mondiale. Questo dovrebbe essere lo scopo di mostre, libri, filmati.
Quasi tutti gli Ottomila, Everest e K2 compresi, sono oggi meta di spedizioni commerciali che, per il solo fatto che “devono” avere successo, sviliscono l’intera esperienza che una salita a vette di quella quota potrebbe ancora offrire.
L’uso massiccio, quando non totale, di corde fisse, ossigeno, campi fissi e prefissati, assieme alle odierne facilità di comunicazione, rendono la salita ad un Ottomila più “turistica” che alpinistica. Le disgrazie che comunque avvengono sono più paragonabili a ciò che succede sulle autostrade (fretta, folla, competizione lavorativa, disattenzione) piuttosto che su una montagna.
A dispetto delle tante cordate di alpinisti di valore mondiale (ma anche di giovani pressoché sconosciuti) che continuano a praticare alpinismo ad altissimo livello, tutti degni di riconoscimenti del tipo del Piolet d’Or, è fuori di dubbio che la scena mediatica sia occupata da imprese che non avrebbero alcun titolo di essere neppure citate e che invece sono oggetto di registrazione nel Guinness dei primati. Il meccanismo ferocemente teso al successo delle odierne salite agli Ottomila rende ormai inapplicabile qualunque valutazione sportiva, figuriamoci quella alpinistica.
Come potrebbero sentirsi un Jean-Antoine Carrel o un Edward Whymper se avessero modo oggi di risalire sul Cervino? Con rifugi alla base e sull’itinerario, con centinaia di metri di cordoni fissi, la Cresta dell’Hörnli e la Cresta del Leone sono irriconoscibili rispetto al 1865: nulla a che vedere.
Ed ecco perché è giusto ricordare, anche dopo settanta anni, la conquista del K2. Far risaltare, far conoscere il valore di ciò che fu fatto, nel bene e nel male, da uomini che a pieno titolo potevano essere definiti alpinisti. Ricordare quanto sia più bello affrontare la montagna con timore e coraggio piuttosto che con una continua consultazione del cronometro, del gps e del web. Siamo sicuri che la spedizione femminile K2-70 appena partita saprà vivere quest’esperienza in piena autonomia, ma anche in termini che sottolineino il rispetto dovuto a chi ha fatto la storia.
I ricordi a cadenza pluridecennale di un qualunque evento storico devono insistere su questi aspetti umani e non su ciò che oggi può essere organizzato, con adeguato lancio mediatico, per sottolineare l’importanza di questo o quel club: operazioni che di solito sono viziate in partenza dall’ignoranza storica come dalla frenesia di apparire comunque. E, naturalmente, questo a prescindere dall’indiscusso valore dei singoli che possono parteciparvi.
Il punto chiave è che non si può, oggi, ricreare le condizioni che furono e non sono più: occorre cercare nuove mete senza insistere sulle compromesse vecchie, avvalendosi di una notorietà globale purtroppo malintesa quando non deviata.
Argomento di fuoco!
indossiamo una maschera per ossigeno…..controlliamo che ce ne sia abbastanza….se no ci fidiamo dell’esperto…..abbiamo lo jumar con la sua lounge?….ok possiamo partire per il K2.
Augurando tutto il meglio e tutto il bene alle ragazze italiane e pakistane che sono state inserite in questo progetto mi trovo un pò spiazzato e incaxxato a riguardo perchè non ha senso una salita commemorativa dopo tutti questi anni e soprattutto non ha senso la salita commemorativa fatta in questi modi.
vero che ora è tutto più semplice comunicare e fare arrivare le notizie in tempo reale…..la montagna probabilmente si è aggiornata e adeguata alla semplicità dei nostri tempi.
senza comunque regalare niente a nessuno a, anche il vecchio K2 si piega alle corde fisse e all’ossigeno per abbracciare gli eventi.
corde fisse messe da altri, forse questo è la cosa peggiore.
ma va bene cosi
alla fine è solo una montagna molto bella e molto alta dove si incontrano fantasmi buoni o cattivi che per forza di cose vanno affrontati
buona salita ragazze
secondo me non è un argomento di fuoco, cioè, forse il K2 è sempre stata una montagna piena di polemiche e discussioni
anche nel lontano 1996 quando il gruppo ragni della grignetta , per festeggiare un anniversario, organizzò una spedizione al K 2, seguita da dimissioni a nastro dal gruppo.
ne feci parte e raggiunsi la cima salendola con mie amici in autonomia e senza sapere come si usa una bombola di ossigeno, certo altri tempi.
c’era il CNR di mezzo ai tempi ed un nome che faceva da capo Da Polenza……c’è anche oggi….che caso….non è un argomento di fuoco se non si ha paura di parlare o scrivere
Le montagne non sono luoghi avulsi dalla società. Ne fanno parte integrale e, nel bene e nel male, anche in montagna ci si trova a confrontarsi con argomenti, strumenti, evoluzioni sociali che non si può pretendere che vengano lasciati a valle. Il K2 di settanta anni fa è più o meno simile a quello di oggi, quello che è cambiato è tutto il contesto sociale e tecnologico che lo circonda. Questo vale in particolare per la via “normale” dallo Sperone degli Abruzzi che negli ‘50 non era stato ancora salito ma che poi ha subito la stessa sorte delle altre “normali” agli altri 8.000 della Terra, ovvero si è trasformato in una meta turistica (in misura molto minore rispetto all’Everest per via della maggiore difficoltà tecnica della salita).
Forse per celebrare degnamente l’anniversario della prima salita si sarebbe potuto tentare un altro itinerario che portasse i membri della spedizione (uomini o donne che fossero) a confrontarsi con alcuni elementi simili a quelli della spedizione di Desio. Primo fra tutti … l’ignoto.
Le vie normali degli ottomila, con servizio tutto compreso – al momento è però esclusa l’acqua calda corrente – nel 2024 sono una minestra riscaldata.
Chi può si dedichi ad altro.
L’etica dell’alpinismo e finita dove l’abbiamo cacciata.
70 anni fa il trasporto di parte dei materiali fu agevolato da scatole di cartone ondulato appositamente progettate da “cartiere di verona” azienda leader del settore
È stata la più grande impresa alpinistica di sempre. Macchiata dall infame accusa ai due che sono arrivati in cima per primi di aver lasciato fuori nella notte Bonatti e Mahdi. Ma Bonatti aveva fatto 2 errori. 1.Era partito tardi a portare su le bombole. Era arrivato su col buio, non poteva tornare. 2. Non aveva una tenda con se. E su quella di Compagnoni e Lacedelli non avrebbero potuto entrare, era a malapena per 2. Quei 2 comunque non sapevano di questo. Ho detto questo perché nell opinione generale quando si parla del K2 : ah sì, Lacedelli e Compagnoni…quei 2 che attentarono alla vita di Bonatti, invece di dire quei 2 che vinsero per l Italia il K2. Bonatti è stato un grandissimo ,ma qui per coprire quei 2 clamorosi errori non ha detto la verità.
Mi sembra che la situazione denunciata da Bonatti fosse più complessa da come la riassume Dino. 1) Compagnoni e Lacedelli accusarono Bonatti e C. di avere lasciato bombole inutilizzabili in quanto scariche 2) non avevano bivaccato nella posizione prevista, ma più in alto e questo fece perdere tempo utile per il ritorno a Bonatti. A quelle altezze anche poche decine di metri in + non sono una bazzecola. — La questione fondamentale posta da Bonatti riguardava la notizia diffusa che le bombole erano vuote, negando così il contributo all’ascesa di Bonatti e compagno.
Mi sembra difficile, dopo 70 anni dall’impresa, e 20 anni dopo le conclusioni dei 3 Saggi, la rilettura come fa il sig. Dino dell’epilogo. Nulla è legge in assoluto, però mi pare il tutto sia stato abbastanza analizzato e documentato.
Bonatti voleva (e poteva) arrivare in cima ed ha fatto tutto il possibile per riuscirci. Avrebbe sicuramente disatteso gli ordini di Desio.
Ma nella pratica ci furono degli imprevisti che giocarono a suo sfavore, così si dovettero inventare scuse per dare ragione a tutti.
Questa spedizione è argomento di fuoco eccome e pure per come l’articolo la presenta. C’è di mezzo un presidente del Cai giovane e entusiasta dell’alpinismo, che sponsorizza una spedizione di donne poco dopo essere stato processato (e scagionato…) per abusi sessuali verso una donna. C’è sempre di mezzo “quello là ” ….insomma Panzeri, se sai parla. Siamo tutti curiosi.