Testo e foto di Andrea Weber
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com l’11 marzo 2023. Il post rientra nella rubrica “Il movimento delle donne solitarie”, curata da Emanuela Provera. Qui il link alla rubrica per coloro che fossero interessati a leggere ulteriori contributi)
“Se fosse così, che tu procedi su un piano, con la buona volontà di andare avanti e però fai dei passi indietro, allora sarebbe una situazione disperata; ma poiché ti stai arrampicando su un pendio ripido, così ripido come tu stesso appari visto dal basso, i passi indietro possono anche essere causati soltanto dalla natura del terreno e non devi disperare (Franz Kafka, Aforismi di Zürau)”.
Da bambina uscendo di casa volevo contare tutti i miei passi, disporli lungo un filo colorato da riavvolgere al ritorno. Iniziavo a contare 1, 2, 3… 11… 15… 21… e la sequenza si spezzava sempre: attraversando una strada, allo svoltare di un angolo, all’entrata di un cortile, in prossimità di un sottopasso, ad un incontro improvviso. Minuscoli frammenti di numeri azzurri e gialli danzavano davanti ai miei occhi come lucciole di brace dal fuoco vivo del camino. Cosa spezza la volontà? Cosa la costringe a smarrire una via, cosa la rende incapace di comporsi in una semplice, lineare disposizione sul piano che si apre davanti ai nostri passi? A cosa possiamo ancorare la nostra volontà e ritrovarla in punti precisi, appigli, segnali di un cammino che non faccia smarrire la traccia e con la traccia la via? Dove si dovranno disporre quei numeri affinché il filo colorato li attraversi e un senso appaia, una costruzione delinei il suo profilo?
Volevo anche afferrare il fuoco, lasciare le dita scorrere fra le sue lingue per donargli una forma che le mie mani potessero contenere e offrire in dono.
Mio nonno e mio padre intagliavano figure di legno seduti accanto al camino o al tavolo. Il legno si lascia incidere, fendere, troncare, ridurre. Quale forma, invece, può prendere il fuoco? Il fuoco si spezza e ricompone, in una danza folle che rimescola l’energia luminosa delle sue luci. Mia madre e mia nonna governavano il fuoco, mi pareva ne regolassero la forza, facendolo salire in lingue e colonne altissime. Mia nonna sussurrava parole al fuoco.
Per afferrare il fuoco bisogna farsi fuoco, perdere pesantezza: il fuoco non si spezza, non si taglia, il fuoco tende verso l’alto. Ho sempre associato il legno agli uomini e il fuoco alle presenze femminili di casa, a quella capacità di prendere levità dalle cose e dare loro calore. Le montagne mi sembrano fiamme, fiamme che salgono dall’orizzonte fino a quando il cielo non ne definisce le forme. Chiodare una via non è incidere la materia, ma plasmarla fra le mani, attraversarla col corpo e farsi spingere dal fuoco che alimentiamo passo dopo passo, appoggio dopo appoggio.
Nell’ascesa il mio corpo si offre al fuoco e lo alimenta: i rinvii sono materia che offriamo al fuoco e la corda un segnavia che ribalta la logica del cammino. Il terreno che in orizzontale pare soggetto al caso e fa smarrire il conto dei passi, in verticale è paradossalmente sotto controllo come se la via alimentasse l’altezza di una fiamma. Faccio di me fiamma, sono fiamma. La via è una via del fuoco e la attraverso. Nel silenzio che io sono, il conto si fa preciso, la mano è salda sulla roccia e gli appigli hanno il senso di quel filo colorato da riavvolgere e lungo il suo snodarsi verticale la volontà si rinsalda come la forma del fuoco, come la forma di ciò che non vive per consistere, ma per donarsi senza sosta, come l’attesa di un senso che si compone, come una forma di speranza.
Biografia
Nata fra lingue e linee di confine dopo studi di germanistica e filosofia Andrea Weber decide di ritirarsi a vita appartata coltivando le sue passioni: la scrittura e la montagna. Andrea tiene da sempre un diario o forse sarebbe meglio chiamarlo un giornale di viaggio quotidiano sul quale annota e incolla qualsiasi cosa: dalla lista della spesa a citazioni letterarie, scontrini incollati e osservazioni, frammenti di romanzi e poesie, traduzioni, cartoline, lettere ricevute, non spedite e molto, moltissimo altro. Si definirebbe un totale disordine, ma in quel disordine esistono anditi, aperture misteriose, linee, fili, tele, passaggi e sentieri che in modo misterioso e insondabile potrebbero, a proprio e originalissimo modo, prendere il nome di vie.