La montagna è di chi la sceglie

L’emergenza climatica sempre più imperante ha avuto un impatto non trascurabile sull’ambiente montano. Il CAI di Milano si impegna a trovare soluzioni sostenibili, partendo dall’adattamento delle sue strutture.

di Ania Alleva

Rifugio Rosalba

Siccità, scioglimento dei ghiacciai, fusione del permafrost, valanghe. Queste sono solo alcune delle conseguenze causate dal global warming nelle aree di montagna, fortemente colpite e penalizzate. In questo contesto circa la metà dei rifugi lombardi ha subito ripercussioni negative e si è trovato a dover anticipare l’interruzione della stagione estiva. La problematica principale è stata proprio la scarsità di acqua, la cui disponibilità si è ridotta circa del 30-40%. Di fronte a un panorama così preoccupante il CAI di Milano da anni si adopera, investendo tempo, fatica e risorse economiche, al fine di riqualificare le sue strutture. La sezione ha messo in atto un’operazione di salvaguardia, adattando i rifugi alle necessità di un clima incerto e di un ambiente, quello montano, in cui rispetto e senso del limite vigono come leggi infrangibili. Intervista a Roberto Monguzzi, presidente CAI Milano.

Come funziona la riqualificazione dei rifugi e in cosa consiste?
Il CAI di Milano possiede 15 rifugi, che abbiamo riqualificato a livello strutturale. Molti di questi hanno più di cento anni e nascono come bivacchi alpini o sono stati costruiti da mecenati fra inizi Novecento e dopo la Prima Guerra Mondiale. Si tratta di strutture antiche, risalenti come dicevo al secolo scorso, che noi abbiamo riadattato e a cui abbiamo ridato vita. Ovviamente necessitano di manutenzione continua e costante, è un lavoro che non cessa mai. In particolare uno dei nostri obiettivi consiste nel riqualificare queste strutture ponendo attenzione alle problematiche ambientali ed energetiche.

Quali sono le problematiche ambientali che hanno impattato sui rifugi?
Di fatto il cambiamento climatico ci ha costretti a cambiare le nostre politiche. Una questione molto spinosa, per farvi un esempio, riguarda la mancanza di acqua: molti rifugi si trovano in alta quota e stanno vivendo direttamente il ritiro dei ghiacciai. Le fonti di acqua sono sempre più scarse, motivo per cui nei nostri progetti di riqualificazione abbiamo dovuto trovare delle soluzioni alternative, come lo stoccaggio dell’acqua meteorica o il tentativo di attingere alle fonti nella maniera più sostenibile possibile, o ancora cercando nuove sorgenti. L’approvvigionamento idrico è uno dei passaggi cruciali di cui occuparsi, perché sta diventando un grosso problema. In aggiunta, se in generale il cambiamento climatico è difficile da gestire, in montagna le cose si complicano ancora di più. Se la neve scarseggia, il ghiaccio viene a mancare e si resta senza acqua. Nei rifugi sono assenti certe infrastrutture, non arrivano acquedotti che possano fornire approvvigionamenti idrici nel caso di bisogno.

Quali sono, dunque, le vostre politiche ambientali?
Le nostre linee di tendenza sono tre. In primo luogo l’approvvigionamento idrico, che deve essere ridimensionato in virtù del fatto che l’acqua è sempre più scarsa. Il secondo passaggio riguarda la questione energetica: molti rifugi attingevano a piccole centrali idroelettriche ma anche questo sta diventando un problema. Abbiamo rinunciato a utilizzare generatori a gasolio che hanno un impatto importante e stiamo facendo sempre più ricorso ai pannelli solari o a salti di acqua naturali con turbine idroelettriche più evolute. L’energia elettrica è ovviamente fondamentale per la vita di un rifugio. Il terzo passaggio riguarda la gestione dei reflui. Come dicevo abbiamo a che fare con strutture storiche e antiquate, non vi nascondo pertanto che fino a qualche anno fa gli scarichi domestici venivano mandati direttamente in ambiente. Adesso noi, invece, stiamo portando avanti una riqualificazione anche in questo senso con delle fosse settiche che provvedono a depurare i reflui e restituirli all’ambiente depurati, per l’appunto. Non è un’operazione affatto facile, proprio per il fatto che ci troviamo in alta quota. Quando fa freddo per forza di cose questi sistemi funzionano meno bene: i microrganismi che depurano, se sono congelati, non funzionano. Perciò stiamo anche portando avanti delle ricerche innovative per trovare delle soluzioni alle problematiche oggettive dovute allo stare in alta montagna, come il freddo, la quota, l’accessibilità. Sono davvero politiche ambientali a tutto tondo quelle che mettiamo in atto. È un gran lavoro, è un impegno continuo e ingente, anche dal punto di vista economico. La stagione dei rifugi dura quattro mesi, ma in realtà noi lavoriamo tutto l’anno, c’è una fase di progettazione precedente che è molto lunga. È un problema difficile da far comprendere a chi non è abituato.

Roberto Monguzzi, presidente CAI Milano

Come il CAI s’impegna a sensibilizzare sui temi ambientali?
Noi facciamo molta opera di informazione su questo. Se uno non lo dice il fornitore classico fa fatica a riconoscere certe operazioni. Occorre spiegare alcune cose, anche perché in tutto il suolo nazionale i rifugi del CAI sono tantissimi, più di trecento. Ogni volta che organizziamo le escursioni informiamo i nostri soci su come comportarsi in rifugio e in montagna. Banalmente a tutti gli escursionisti diciamo di portare con loro i rifiuti che producono. È un piccolo accorgimento, ma rende chiaro che l’ambiente montano è più delicato. Se tutti lasciassero in terra i propri rifiuti l’unico modo per pulire l’ambiente sarebbe attraverso un elicottero. Appunto, è una questione completamente diversa. Una volta i rifiuti venivano bruciati, o addirittura interrati, potete capire quanto fosse impattante a livello ambientale.

Come avete creato la TAM (Tutela Ambiente Montano), sezione dedicata alla questione della sostenibilità? Quali attività propone?
La TAM è nata a livello di CAI nazionale, il CAI Milano, come ogni sezione regionale, ha la propria commissione. Si occupa di portare avanti tutte le tematiche necessarie per preservare la montagna, certamente a partire dai rifugi, ma per esempio anche su come percorrere i sentieri. Tutti i volontari vengono formati a livello nazionale, attraverso dei corsi che trattano delle tematiche ambientali e delle modalità etiche di frequentazione dell’ambiente montano e al termine dei quali si ottiene una qualificazione.

Sono iniziative che hanno molto successo. Come sta andando questa stagione del 2024 invece?
C’è molta richiesta. Da dopo il Covid c’è una grande voglia di tornare in montagna. I rifugi stanno avendo grande successo anche per il fatto che sono molto più accoglienti di un tempo. In generale c’è un desiderio evidente di tornare in natura. Nonostante le prospettive positive, la situazione ambientale sta davvero diventando un problema che non possiamo più ignorare. Non vi nascondo che abbiamo dovuto chiudere un rifugio proprio perché era diventato inutilizzabile a causa del ritiro dei ghiacciai. In futuro le strutture dovranno essere costruite con un materiale più leggero, possibilmente riciclato, con la possibilità di produrre energia in modo autonomo. Ci avviciniamo a un’epoca in cui il clima sarà sempre più incerto.

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1 Comments

  1. says: Fabio Bertoncelli

    “Sostenibilità ” è parola di gran moda. Se proprio si vuole essere “sostenibili”, la soluzione migliore è la seguente: chiudere i rifugi.

    Mi accontenterei che il CAI incominciasse col chiudere quelli pressoché superflui, in un’ottica di totale rispetto ambientale, oltre a demolire i bivacchi e smantellare moltissime ferrate.

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