La montagna è un dono, un ambiente da preservare e conservare, per il suo silenzio, per il suo profumo, per la sua quiete e per i suoi abitanti, umani e animali.
Montanari in città, cittadini in montagna
di Mario Rigoni Stern
(pubblicato su Piemonte Parchi n. 1/1993)
Le città della mia conoscenza, e che ho goduto, sono nel ricordo: la Torino del 1941 quando dalla Caserma Monte Grappa andavo in centro con un mulo attaccato alla carretta per fare la spesa del miglioramento rancio; la Milano del 1953 quando dalla Stazione Centrale andavo a piedi a casa di Elio Vittorini facendo diversi chilometri; la Roma del novembre 1973 in quella domenica che si fermarono le automobili e potei camminare dall’una all’altra parte per incontrare amici, ammirando vie, palazzi, monumenti e godendo la pioggia che lavava alberi e case.
Ma ora (ricordiamo che l’articolo è del 1993! NdR), quando per qualche ragione sono costretto a scendere in una città, sempre un’ansia e un malessere mi prendono e mi accompagnano in ogni ora: negli uffici e nelle abitazioni sento sempre incombente l’odore del fumo di tabacco; se è d’estate l’aria fredda del condizionamento mi fa rabbrividire, se è d’inverno il riscaldamento (che trovo sempre esagerato) mi secca la gola e mi fa prendere la tosse; per le vie, poi, in ogni stagione gli odori dei carburanti mi danno la nausea ai limiti del vomito.
Infine il frastuono del traffico commisto ad altri infiniti rumori che non fanno sentire voci, suoni o rumori distinti, sempre e dovunque mi provocano forti emicranie e insonnie che solamente silenzio e aria pura sanno dissolvere.
Per tutte queste cose molte volte sono costretto a rifiutare gli inviti di amici o i convegni: “Vi ringrazio per la vostra amicizia e per la compagnia – rispondo – ma nella città mi sento come un urogallo con l’ala rotta, o come un capriolo con le gambe spezzate. Farei pena a me stesso e a voi”.
Con queste esperienze e confrontando come si viveva un tempo e come si vive oggi, e tra chi è lontano e chi è dentro i grandi centri urbani, mi rendo conto della necessità che i cittadini hanno di aria, di montagne, di verde, di campagne, di silenzio, di mare, di spazi larghi.
Ma ho anche l’età per ricordare come erano le montagne negli anni Trenta: pochi erano i turisti, rari gli alpinisti, e gli sciatori non erano masse.
E quanti si interessavano di geologia, di flora, di fauna? Il vocabolo ecologia era forse conosciuto solamente alla Facoltà di Scienze Forestali dell’Università di Firenze.
Erano i tempi in cui Paolo Monelli inveiva se vedeva una carta unta sui prati del Cadore, e Bepi Mazzotti scriveva “La montagna presa in giro”, dove raccontava di gitanti che cantavano o raccoglievano fiori, e di alpinisti che lasciavano in parete i chiodi da roccia.
Ora si fanno spedizioni per ripulire dai rifiuti la cima dell’Everest!
Con questo non voglio dire che siano da rimpiangere quei tempi di miseria e pre-guerra, ci mancherebbe altro!
Ma da uno che vive la sua vita sulle montagne degli avi, come vivono anche altri, vorrei suggerire qualcosa a chi ci viene per necessario rinfrancamento o per diporto, perché tanti, ancora oggi, non sono capaci di liberarsi dal comportamento cittadino; anzi: vorrebbero proporre il modo di vivere del centro urbano anche e persino dentro un bosco o nella valle più remota.
Per piacere non costruite strade dove non sono necessarie, non disboscate per fare impianti turistici o sportivi, non usate aree agricole per costruire seconde case o condomini, perché in montagna prati e pascoli e orti sono più utili alla comunità se usati come tali; questo per i politici e gli amministratori.
E noi, per ogni cosa che sia di svago e non di lavoro andiamo a piedi, e lasciamo l’automezzo dove arriva il postino; se la legge degli uomini e della natura ci consentono di raccogliere fauna o flora, comportiamoci con rigore e conoscenza.
E silenzio! L’inquinamento da rumore è tra i più molesti sia all’uomo che agli animali.
E riportiamoci a casa barattoli e plastiche varie (cacciatori! come ci accusano quei bossoli vuoti abbandonati all’aperto!).
Le risorse della natura non sono illimitate e dobbiamo stare bene attenti a non consumarle. I parchi, le zone naturali protette, le aree attrezzate, le riserve, e le montagne, le paludi, i fiumi, le campagne, il mare sono indispensabili ai cittadini come a noi montanari sono indispensabili i prodotti delle città: insieme dobbiamo convivere su questa Terra, «piccola aiola che ci fa tanto crudeli», pur sempre così bella e nuova a ogni sorgere di sole, a ogni apparire di stelle.
Il commento
di Carlo Crovella
Incredibile la preveggenza di Mario Rigoni Stern che quarant’anni fa aveva focalizzato la necessità di preservare la montagna dall’assalto dei “cittadini”.
Come difendere la montagna, secondo il noto scrittore? Non costruire strade, impianti, condomini e, soprattutto, non usare gli automezzi, ma andare a piedi.
Se avessimo ascoltato, quarant’anni fa, le tante voci così illuminate come la sua, oggi non staremmo assistendo inermi alla distruzione della montagna, ridotta come luna park.
L’Autore – Mario Rigoni Stern nasce nel 1921 ad Asiago, dove muore il 16 giugno 2008. Come sottufficiale degli alpini combatte in Francia, in Grecia, in Albania e in Russia. Dopo l’8 settembre 1943 viene fatto prigioniero dai tedeschi e internato nei campi di concentramento. Nella primavera del 1945 ritorna ad Asiago, dove lavora come impiegato dell’Ufficio catastale. Le sue opere principali sono: Il sergente nella neve (1953, Premio Viareggio); Il bosco degli mogani (1962, Premio Puccini); Quota Albania (1971); Ritorno sul Don (1973); Storia di Tonie (1979, Premio Campiello); Uomini, boschi e api (1980, Premio Sirmione). Alcuni di questi libri, tutti editi da Einaudi, sono stati tradotti in diverse lingue.
Per esempio Cortina. Agli inizi del Novecento Cortina era un incantevole alpeggjo tirolese ai confini meridionali dell’impero austriaco. Con l’occupazione italiana il comune fu trasferito nella provincia di Belluno per diventare una periferia strangolata dal traffico, come è capitato spesso in Veneto.
onfini meridionali dell’impero austriaco. Con l’occupazione italiana il comune fu trasferito nella provincia di Belluno per diventare una periferia strangolata dal traffico, come è capitato spesso in Veneto.
“Bosco degli urogalli”,
e non “Bosco degli mogani” (?).
Prego correggere. Grazie.
Per amor di verità, ricordo che Mario Rigoni Stern era un cacciatore entusiasta.
Lo si comprende anche da una frase dell’articolo: “(cacciatori! come ci accusano quei bossoli vuoti abbandonati all’aperto!)”.
Insomma, secondo lo scrittore sarebbe bastato raccogliere i bossoli per rendere la caccia accettabile sia dal punto di vista etico che da quello ecologico.
Caro Fabio,
a quei tempi c’erano molti meno cacciatori, e anche molti meno supermercati.
L’articolo è tristemente molto attuale.
Mi addolora sempre osservare i tentacoli della città che raggiungono la montagna: proprio di questi giorni è fresca la notizia che un tratto di 20 km circa della Circumetnea, la ferrovia a scartamento ridotto che abbraccia l’Etna, verrà soppresso da Catania a Paternò in favore della metropolitana.
Ieri sera sono stata a Milano nella zona tra Gioia, Garibaldi e Moscova e mi sono sentita soffocare dalla presenza di svettanti e scintillanti palazzoni, contraddistinti da luci lampeggianti rosse per renderli più visibili. Non so come si possa vivere in tali edifici, non so come si possa stare in vaste aree cementificate con sparuti alberi – per di più essenze non autoctone strette dal cappio di una corda che informa a chi sono dedicati e che già ora decreta la loro morte.
Non so come ci si possa sentire felici e soddisfatti sapendo che è stata cancellata l’identità di un intero quartiere, in cui non è possibile distinguere i tratti meneghini, ma quelli newyorkesi.