di Alessandro Gogna
(recensione del libro Perché lassù a cura di Serafino Ripamonti)
Senza punto interrogativo, come si deve quando si ritiene di aver dato una risposta. Il titolo non è più una domanda, se le risposte sono ben quindici. Sedici, se ci mettiamo anche quella di Antonio Pennacchi nell’introduzione.
Chiunque abbia la passione per la montagna e l’alpinismo si è posto questo semplice interrogativo o, se non lo ha ancora fatto, lo farà.
Perché andiamo lassù in alto a faticare, correre pericoli, rinunciando alle comodità, sospendendo le gioie che amici e affetti ci possono offrire senza soluzione di continuità per scegliere invece l’incertezza, l’avventura, alla ricerca di risultati sospesi nel grande leggio del nostro destino?
Il curatore di questo libro è il Ragno di Lecco Serafino Ripamonti che si definisce “amante della montagna che ha avuto fortuna e ostinazione sufficienti per fare di questa sua passione un lavoro”. E’ vero, infatti, che “da più di 20 anni si occupa di giornalismo e comunicazione nel settore del turismo outdoor e degli sport di montagna, collaborando con riviste specializzate e uffici stampa”. La produzione si Ripamonti è davvero vasta. Alcuni suoi scritti si trovano sul suo blog personale, altri in un altro blog di cui è titolare nel sito dei Ragni di Lecco, oppure ancora nel portale trekking.it di cui è stato a lungo redattore: “qualcuno parla di montagna altri di altre cose inutili e meravigliose”.
Ripamonti si è però in predenza cimentato con successo anche in un’impresa molto impegnativa, quella di raccontare la gloriosa storia dei Ragni di Lecco (I Ragni di Lecco, Rizzoli, giugno 2020): per scrivere di cose alpinistiche e di grandi personalità in un arco di tempo che ormai copre 75 anni occorre avere non solo una vasta cultura, è necessario avere anche esperienza pratica di ciò che si sta raccontando.
E la dimostrazione di queste sue competenze ce l’ha appunto ulteriormente fornita con la recentissima uscita dell’ultimo suo libro, Perché lassù (Mondadori, marzo 2021).
Dicevamo di quindici risposte. Una è la sua, particolarmente pregevole dal momento che finalmente qui Ripamonti ha espresso la sua opinione personale, cosa che in precedenza aveva quasi sempre evitato di fare preferendo lasciare la parola ad altri protagonisti.
Le altre risposte sono di Agostino Da Polenza, Denis Urubko, Marco Confortola, Carlo Alberto Cala Cimenti, Walter Bonatti, Federica Mingolla, Silvio Gnaro Mondinelli, Simone Origone, Simone Pedeferri, Angelika Rainer, Teresio Valsesia, Pier Luigi Bini, François Cazzanelli e Silke Unterkircher (moglie del mai dimenticato Karl).
Non so come Ripamonti abbia scelto i protagonisti delle risposte, ma vedo chiaramente che l’ampiezza delle diverse tipologie di individui e di attività ed esperienze diverse, unitamente alle evidenti differenze di epoche temporali, ha favorito una panoramica di risposte ed emozioni se non completa almeno vastissima ed esauriente. Le sedici testimonianze (tre personalità scomparse, dodici viventi; tre donne, dodici uomini) sono uno spaccato fedele delle motivazioni che ci spingono ad affrontare le altezze e il vuoto, dove spesso possiamo ritrovare anche le nostre personali, a volte meravigliandoci di come qualcun altro sia riuscito a dire chiaramente ciò che invece noi abbiamo soltanto intuito o non abbiamo lasciato affiorare alla piena coscienza.
Alla fine ci rimane un insieme di sensazioni che si affollano a creare una verità, si accavallano, si fondono, si oppongono nel tentativo, forse impossibile, di spiegarci come mai sia così irresistibile il richiamo della montagna.
La chiave è quel irresistibile che resta tale perché non spiegabile con le parole. Una forza viscerale…curiosa di leggere in particolare le motivazioni delle alpinisti donne che con le viscere hanno un particolare legame