Chi la dura, la vince

Incoraggiando un cambiamento di mentalità e sfruttando la giusta tecnologia, il recommerce è una delle soluzioni che incentiva l’economia circolare e il raggiungimento di una industry net-zero.

di Susanna Marchini

Recommerce è un termine che sta guadagnando sempre più rilevanza e rappresenta una tendenza chiave soprattutto nell’industria dell’abbigliamento. Si tratta di un concetto innovativo che incarna i principi della sostenibilità, della circolarità e del consumo responsabile. In queste due pagine, esploreremo il significato e l’importanza del recommerce a partire dal contesto della moda, analizzando come stia rivoluzionando l’approccio dei consumatori all’acquisto di abbigliamento e attrezzature, nonché l’impatto positivo che ha sull’ambiente e sull’industry stessa.

Che cos’è il recommerce
In poche parole, con questo termine si indica la rimessa in commercio e il riutilizzo di beni tramite noleggio o rivendita. Sebbene questo concetto non sia appena nato, questo tipo di economia sta subendo un forte rinnovamento: più tecnologica, più semplice, con un’etica che riflette una più ampia preferenza sociale verso un consumo più consapevole. La crescita della pratica è dovuta anche al maggior interesse dei consumatori verso la sostenibilità e, non a caso, è guidata dalle generazioni più giovani. Con un potere d’acquisto sempre maggiore, un’elevata preoccupazione per l’ambiente, una preferenza verso la trasparenza e una grande abilità negli acquisti digitali, questi nuovi consumatori sono quelli che adesso possono influenzare maggiormente i brand e le loro scelte.

Quanto inquina l’industria dell’abbigliamento?
Parlando in generale di tutta la produzione, non è una novità che il tessile sia un settore particolarmente inquinante. Si stima che, a livello globale, produca tra il 3% e il 10% delle emissioni GHG (grafico 1), che consumi il 6% delle risorse idriche di acqua potabile, e che sia responsabile di più del 3% delle particelle microplastiche che galleggiano sui nostri oceani. Inoltre, e questo è un dettaglio più legato al mondo moda, ma è bene ribadirlo, a partire dagli Anni 2000 i vestiti acquistati vengono utilizzati circa il 20% in meno e il 70% di quelli dismessi finiscono nelle discariche o negli inceneritori. Tutto ciò, in previsione di una crescita negli acquisti legati all’abbigliamento di circa il 70% dal 2019 al 2030. Ogni indumento reinserito nel sistema permette invece di risparmiare dai 5 ai 15 kg di emissioni GHG e dai 300 ai 1.000 litri di acqua. In pratica, è come se per ogni prodotto “salvato”, si risparmiasse l’equivalente del consumo di acqua giornaliero di una famiglia di più di tre persone.

Le previsioni di mercato
Fortunatamente, la crescita dei servizi di recommerce è proiettata verso il successo (grafico 2): si stima che tra il 2022 e il 2032, il mercato globale avrà una crescita percentuale media di più del 15%, contro il 4% della moda “tradizionale”. Questo farà sì che queste pratiche occuperanno circa il 15% del mercato del fashion entro il 2030. La crescita sarà stimolata maggiormente (circa il 60%) dai nuovi consumatori più consapevoli tra le generazioni Millenials e Gen-Z. Consequenzialmente, a supporto del fenomeno, stanno anche aumentando le regolamentazioni per diffonderlo tra cui L’EU Corporate Sustainability Reporting Directive e l’EU Directive on Green Claims che incentivano gli investimenti per i business model basati sulla circolarità.

Fonte: Systemiq analysis, ThredUP 2023, BCG 2022, KPMG 2021, Bain 2022, Persistence Market research 2022, Future Market insights 2022, Statista 2022, PYMNTS 2022, EMF 2021

Sempre più opzioni e piattaforme
Con la diffusione del commercio circolare, anche i modelli di business possibili si sono differenziati: Ci sono quelli c2c, dove le piattaforme fanno da punto di connessione diretto tra acquirenti e venditori (Vinted) oppure prendono in carico direttamente la merce di chi vuole vendere (Bergzeit re-use). Ci sono poi quelli b2c, che aggregano e vendono prodotti di più retailer o professionisti al pubblico (Depop, Ebay, Zalando). Oppure brand che offrono un proprio canale di acquisto, o gestito direttamente, o con un nuovo brand o c2c (Ortovox secondlife-shop).

Non solo nature-positive
Che il commercio circolare apporti dei benefici all’ambiente, è piuttosto scontato: queste pratiche combattono il consumismo eccessivo, riducono i rifiuti, contribuiscono al raggiungimento del traguardo di una moda senza emissioni, incentivano la scelta di capi di abbigliamento che durano di più. Questo sistema offre anche una possibilità di crescita per il mercato e i brand, supportata anche dai nuovi consumatori responsabili e dalle regolamentazioni emergenti.

Quali sono le azioni da mettere in atto per stimolarne la diffusione
• Implementare i programmi di ritiro e permuta dei capi

• Fidelizzare la propria community attraverso dei prodotti che durano più cicli di utilizzo

• Adottare delle soluzioni digitali per identificare i prodotti

• Uniformare sul tema la comunicazione del brand e delle personalità coinvolte (es. influencer)

• Rendere le pratiche rapidamente scalabili all’interno del brand anche grazie a delle partnership strategiche

• Sostenere lo sviluppo di policy regolamentarie per creare delle condizioni favorevoli per tutti gli sviluppi di business futuro

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1 Comments

  1. says: Carlo Crovella

    Il principio ideologico è stimolante specie per uno sostenitore della decrescita felice quale sono io. Ho una sola perplessità, che mi è sorta vedendo le pubblicità dei siti di rivendita. parlo di siti dove si può rivendere ogni tipo di oggetti, non solo esclusivamente legati alla montagna e all’outdoar. In genere il loro messaggio incentivante è del tipo “farai soldi dal divano di casa, semplicemente rivendendo le cose che non usi più”. Ottimo, ma se un oggetto si è rivelato inutile e superfluo, a tal punto che lo si rivende, cosa cambierà quando quello stesso oggetto sarà nelle mani di un altro individuo? Sempre inutile e superfluo si rivelerà l’oggetto in questione e quindi, dopo un po’, anche il suo nuovo possessore lo rivenderà sulle piattaforme, dando la “sola” (alla romana) a un nuovo ingenuone. Non essendo io un amante della tecnologia, mi guardo bene da cacciarmi su piattaforme del genere per testarle a titolo personale, ma la mia sensazione, guardandole dall’esterno, è che sia forte il rischio che si tratti più che altro di un gran giro di fiammiferi che bruciano, finché l’ultimo ingenuone della serie si brucia le dita. Il tutto alimentando, a ogni transazione, provvigioni su provvigioni per le piattaforme…

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