Dopo aver vinto il campionato del Mondo e la Sanremo, Maurizio Fondriest da più di 20 anni si è dato allo scialpinismo. Ecco i suoi consigli da esperto, a partire dalle calze contenitive…
Quando si pedala con le pelli
(l’esempio di Maurizio Fondriest)
di Luca Castaldini
Fotografie di Matteo De Mayda
(pubblicato su Sportweek n. 48/19 del 30 novembre 2019 e su gazzetta.it il 2 dicembre 2020)
Le calze contenitive da donna no, non le avevamo previste. Scegliendo l’ex ciclista Maurizio Fondriest per farci indicare consigli e piccoli segreti dello scialpinismo, disciplina che pratica come amatore da più di vent’anni, ci aspettavamo – come poi si sono dimostrati – consigli puntuali e competenti. Ma non, appunto, quello di indossare le calze contenitive. «Mi hanno salvato», spiega il trentino, 54 anni e una bacheca su due ruote dove brillano, più di tutte, le vittorie ai Mondiali 1988 e alla Sanremo ’93. «Da quando le uso non ho più avuto problemi con le vesciche, uno dei “compagni di viaggio” ahimé più frequenti e sgraditi per chi fa scialpinismo». Ausili da vene varicose a parte, il vademecum dell’ex ciclista – che premette: «Non sono un professionista ma un grande appassionato» – è decisamente esaustivo. Anche perché oggi le sue uscite con le pelli, effettuate insieme alla moglie o ai colleghi ciclisti Nicola Conci o Paolo Bettini (altro ex), sono quasi alla portata di tutti, ma in passato Fondriest ha partecipato, tra le altre, anche a gare durissime come il Trofeo Mezzalama. «Era il 2003. Con i miei due compagni stavamo andando bene, poi però sul Castore mi sono a dir poco spaventato. Avevo il crepaccio a sinistra e il crepaccio a destra, a un certo punto avrei voluto procedere a gattoni…».
Se serve, rinuncia
Proprio tornando con la memoria a quell’esperienza, Fondriest inizia la sua serie di consigli con una premessa: «Dividerei le uscite in due tipi: quelle di massa, più tranquille, e quelle che invece contemplano un certo coefficiente di rischio. In base a quale delle due si decide di seguire, ne conseguono tipo di materiali, attrezzatura e, soprattutto, scelta del compagno. Tra le uscite “normali” cito alcune di quelle che faccio io abbastanza spesso, come la strada nel bosco a Fai della Paganella oppure la salita alla Malga Vagliana, a Madonna di Campiglio. Le uscite rischiose, invece, per definizione vanno affrontate con chi è esperto o molto esperto, penso in primis alle guide alpine». Insomma, quando con le pelli il gioco si fa duro, «nello zaino non devono assolutamente mancare Artva (l’apparecchio di ricerca in valanga; ndr), pala e sonda. In ogni caso, chi non si sente in grado, rinunci ad affrontare un’uscita. Saper rinunciare è importante. Di più, è fondamentale».
Vestirsi a strati
Capitolo-abbigliamento: «Per la salita, indosso calzamaglia termica leggera e, sopra, pantaloni tecnici. Sopra le calze contenitive ne indosso un paio tecniche (non pesanti, mi raccomando). Poi maglia termica (maniche corte o lunghe è soggettivo), giacca antivento e guanti da scialpinismo. Quelli pesanti li tengo nello zaino per la discesa insieme al cambio (maglia ed eventuale secondo strato), pantaloni impermeabili, piumino e due copricapi. Come si suol dire, meglio vestirsi a “cipolla”, cioè a strati: leggeri in salita e ben coperti in discesa. E non può mancare il casco, da agganciare esternamente nello zaino e indossare tornando verso valle». Poi tocca all’attrezzatura: «Se lo scialpinista un po’ esperto punta a sci stretti e quindi più leggeri, il neofita è meglio che ricerchi la comodità. Di conseguenza, sia sci, sia scarponi potranno essere anche meno performanti, l’importante è che non facciano male ai piedi».
Thermos e frutta
Precise anche le indicazioni sul fronte mangiare&bere. «Per gite “normali” come quelle che abitualmente affronto io, mi porto un thermos di tè (a me piace quello verde, ma è uguale), addolcito eventualmente con il miele. E, per alimentarmi, non rinuncio mai alla frutta secca, un alimento calorico che però non appesantisce».
C’era pure Bettini
«Tra i tragitti che posso consigliare, al primo posto direi la Malga Monte Sole, in Val di Rabbi. Partendo dalle Rabbi Fonti lungo la strada forestale si affrontano circa mille metri di dislivello, che diventano quasi 1.300 se invece si vuole puntare alla cima del Sole. A Madonna di Campiglio, invece, c’è la gita fino alla Malga Magliana. Due anni fa, a Capodanno, in zona siamo arrivati fino al Rifugio Graffer del mio amico Roberto Manni e abbiamo coinvolto anche Bettini (due volte campione del mondo e olimpionico ad Atene 2004, NdR). A lui piacerebbe fare più uscite, ma abitando a Cecina non è molto facile».
Sulle piste
«Una delle tendenze recenti riguarda le località più basse (diciamo quelle con piste a quota 1.500-1.700 metri). Più di una ha deciso negli ultimi anni di aprire le piste battute agli scialpinisti dopo la chiusura degli impianti. In questo modo si può salire con le pelli, rifocillarsi all’arrivo e poi scendere lungo la stessa pista (con la luce frontale, se c’è buio). Il che rappresenta un eccellente allenamento». Tra le località da citare il Monte Pora (dal Colle Vareno a Cima Pora) e Spiazzi di Gromo (tre sere alla settimana dopo la chiusura impianti fino alle 23).
Scialpinismo con Fondriest
di Carlo Crovella
Chi segue il mondo del ciclismo professionistico conosce il nome di Maurizio Fondriest: vincitore del mondiale 1988 e della Sanremo 1993, ha una bacheca di primordine.
Pochi sanno, però, che Fondriest è un appassionato di scialpinismo. Il primo riscontro “pubblico” giunse con la pubblicazione del bellissimo libro Voglia di ripido di Igor Napoli [L’Arciere, Dronero (CN), edizione 2002]. L’autore ricorda che, nel maggio 2002 mentre stavano sparapanzati sui prati di ritorno dal Canale Beurra Nord alla Cima della Candlea (Val Gesso, Cuneo), sulla strada passarono in bici Fondriest e Davide Cassani (oggi CT della Nazionale azzurra di ciclismo) che, ancora in piena attività professionistica, si stavano allenando con foga. Fondriest si fermò di colpo a chiedere informazioni sulla discesa in sci, esprimendo molto entusiasmo per l’attività. E’ facile immaginare che Cassani, romagnolo, “friggeva” lì a fianco, smanioso di riprendere l’allenamento in bici più che si parlare di sci.
L’articolo riportato in calce è uscito a fine novembre 2019 su Sportweek che è il supplemento settimanale della Gazzetta dello Sport. Si tratta di una pubblicazione diretta al grande pubblico generalista. Non deve stupire quindi che si sia strumentalizzato il campione di successo (ciclistico) per parlare di scialpinismo. Il nome attira l’attenzione dei comuni lettori, che poi seguono l’articolo e magari qualcosa imparano.
Certo i suggerimenti che dispensa Fondriest suscitano un sorrisino di compiacenza in vecchie volpi delle nevi come me. A cominciare dall’incipit (calze contenitive) per giungere fino alla frutta secca. Per alcune cose (frutta secca), non ci vuole una gran scienza, per altre (calze) è più un’eventuale esigenza personale che un comportamento di tutti.
Però l’articolo, nella sua imprecisione generalista, ha un piccolo merito che è il motivo per cui mi fa piacere riproporlo: segnala che fare gite in sci non è (o, quanto meno non è soltanto) “correre, correre, correre”, visto che lo stesso Fondriest suggerisce itinerari molto tranquilli, denunciandosi implicitamente come un appassionato oggi molto tranquillo.
In fondo, vista la caratura del personaggio sul fronte ciclistico, un giornale sportivo a tiratura nazionale avrebbe potuto sfruttarlo come testimonial di uno scialpinismo “no limits”, sia in termini atletici che tecnici.
Niente di tutto ciò: anzi Fondriest ha l’umiltà di riconoscere che, nella sua partecipazione al Trofeo Mezzalama, sul Castore si è sentito “intimidito” quando si è trovato circondato dai crepacci…
Nell’attuale approccio dominante, dove ciò che conta è “chiudere il grado” (in roccia come sugli sci), un personaggio famoso, che indica pubblicamente che esiste anche un modo tranquillo per frequentare le montagne, è un’eccezione molto apprezzabile.