Spongebob, Hello Kitty e Iceman in Pakistan

Dopo aver salito la cresta nord del Diran Peak in puro stile alpino (e dopo l’acclimatamento sullo Shishpare Peak), Hélias Millerioux, Patrick Wagnon e Yannick Graziani avevano in mente un traguardo dorato per la loro estate in Karakorum. Si sono così trasferiti nella valle di Hunza. Hanno scelto un obiettivo prestigioso, la salita in stile alpino di una via che in precedenza era stata fatta nel modo tradizionale himalayano (sistemazione dei campi e fissaggio delle corde attraverso diverse rotazioni). Si tratta del Rakaposhi 7788 m per la cresta ovest-sud-ovest, il cosiddetto Sperone degli Inglesi, i cui primi salitori erano stati Tom Patey e Mike Banks nel 1958. I due francesi sono arrivati in cima il 26 luglio 2021.

Spongebob, Hello Kitty e Iceman in Pakistan
di Yannick Graziani
(pubblicato su grivel.com il 19 gennaio 2022)

Ehi ehi! E’ in un giorno autunnale di vento a Chamonix che finalmente ho cominciato a scrivere questa storia.
Come spesso nella vita, non sai mai quando sarà il momento giusto finché non ti arriva addosso. Per quanto riguarda il mio lavoro, so sempre di cosa si tratti: grande alpinismo.

Equipaggiati con con una grande selezione di affilate, forgiate punte d’acciaio, presumibilmente indistruttibili ma talvolta deformate da una roccia nascosta sotto il ghiaccio, il nostro eterogeneo trio decise che era tempo di visitare un qualche paese lontano. Un luogo dove al solo guardare la cima ti viene un torcicollo tale da non poter distogliere lo sguardo.
Questo luogo si chiama Karakorum, uno dei posti naturali più eccezionali del Pianeta. Se si stabilisse di dare un premio all’area montana più bella del Mondo, sicuramente la Valle dell’Hunza sarebbe il vincitore unanime.
Il nostro trio non è accontentato di torcere il collo per guardare le cime, ma sperava di raddrizzarlo scalando le maestose vette di 7000 metri della regione e osservare le valli dall’alto.

Con tutto questo in mente, Hélias Millerioux, Patrick Wagnon ed io ci siamo messi in viaggio per il Pakistan all’inizio della scorsa estate. Con poco denaro in tasca, dopo l’anno tetro che ha visto il mondo fermarsi e mettere fine a tutte le nostre attività, arrivare in Karakorum è stato come entrare nel “Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll , ogni montagna era un gioiello negli occhi dei nostri alpinisti himalayani.

Una volta che si sono conosciute le delizie di questi magnifici gioielli, infinite torri di neve e rocce, è dura non tornare alla ricerca di queste alte vette, un parco d’attrazione sconfinato per alpinisti come noi.
Questo genere di giochi richiede un certo impegno, talvolta si deve mettere a rischio la vita, ma le cose migliori nella vita raramente arrivano senza senza un carico extra.

Prima di tutto siamo andati a verificare il versante meridionale dello Shishpare, una vetta di 7600 vicina a Karrimabad. Un pastore locale ci ha mostrato la via attraverso questo ghiacciaio frantumato. Un aiuto essenziale. Ma il verdetto è stato unanime: il versante meridionale dello Shishpare, che avevamo sognato e pianificato negli ultimi mesi, era un desiderio mortale . Impossibile immaginare una via che potesse evitare le gigantesche valanghe che si sono riversate sul versante durante la giornata.

Prima parte 
Naufragato il nostro obiettivo principale, abbiamo ricominciato da zero acclimatandoci sul Diran Peak a 7266 m. In particolare, speravamo di scalare la cresta nord.

Ero stato nell’area altre volte e conoscevo la strada. L’accesso è stato veloce, un sol giorno ci ha portati da Karimabad a un prato fiorito a 3600 m, circondati da mucche e yak giunti per godere dei pascoli estivi.

Il nostro cuoco e la sua accogliente e tenda-mensa aspettavano il nostro arrivo con i portatori del villaggio. Una volta pagati, i portatori sono partiti e siamo rimasti soli. La cresta nord del Diran appariva complicata, eravamo all’inizio di giugno e la neve abbondante non facilitava le cose. Avevamo portato con noi gli sci, attrezzi indispensabili in quel periodo dell’anno. Ciò che ci sembrava così semplice da realizzare, ha impiegato un mese per compiersi ed è stato in extremis, in una finestra di tempo molto breve, che ci siamo riusciti. Non c’è mai stato più di un giorno e mezzo di bel tempo consecutivo. Rovesci di neve e brutto tempo si alternavano a momenti di sole nella maggior parte dei giorni. Era impossibile pianificare seriamente una salita, così abbiamo passato tre settimane ad acclimatarci su a 5400 m, incapaci di andare oltre a causa della grandi quantità di neve instabile che implorava di liberarsi sotto i nostri piedi.

I tre personaggi del nostro fumetto himalayano si sono concessi il lusso di tornare al villaggio in valle a riposare per qualche giorno, godendo di ciliegie fresche, spiedini di carne e il generalmente squisito cibo di Hunza, caratterizzato dagli aromatici semi di albicocca, usati generosamente per insaporisce molti piatti.

Di ritorno al campo base con Jan, il nostro cuoco e compagno di squadra, indispensabile al buon successo di una spedizione in questo luogo remoto, ci prendevamo uno o due giorni di riposo ogni volta che arrivava il maltempo. Il signor Millerioux si è divertito a costruire una diga sul torrente che scorreva accanto al nostro campeggio. Mi chiedevo quale fosse lo scopo del suo mini laghetto, finché non si è rivelato ideale per bagni rinvigorenti e per lavare i panni!

Sarebbe facile immaginare il nostro trio come fossimo Spongebob, Hello Kitty e Iceman, oziando felici e in armonia in questa strana atmosfera.

Patrick “Iceman” in uno dei suoi momenti più leggeri ha deciso di andare a studiare il ghiacciaio rivelando ogni nuovo segreto – lo studio dei ghiacciai era il suo lavoro.
Eravamo abbastanza felici, ma nel contempo sentivamo la pressione di fondo che precede qualunque grande scalata e i quesiti che la accompagnano –

“Ce la faremo? I rischi sono troppo alti?”
Tempo per raccogliere le idee nella tenda-mensa.
“Hello Kitty alias Hélias, sei operativo? Non troppo stanco per il mese passato a fare avanti e indietro?”

“No ragazzi, sto bene”, ha risposto.

Patrick/Iceman, lui era più indistruttibile che mai, era nel suo mondo e tutte le montagne circostanti erano un invito.

“E tu Yannick/ Spongebob, sei motivato?”

Rimanevo un pochino indietro rispetto agli altri dopo troppi aperitivi e pasti gastronomici prima di partire dall’Europa, il che mi aveva lasciato qualche chilo di troppo.

“Andrà tutto bene, queste tre settimane di allenamento mi hanno rimesso in forma”

La nostra squadra di vagabondi era pronta.
Ci siamo dati quattro giorni di tempo, anche se non avevamo realmente altra scelta, visto che quella era l’unica finestra meteo a disposizione.

Nel bel mezzo di una notte di metà luglio, con le stelle che brillavano splendenti in cielo, i nostri tre moschettieri sono partiti per raggiungere la loro grotta di neve a 5400 m per trascorrere la notte, la prima della salita!
La chiave del successo passava intorno ai 6000 m con un terrificante traverso di 200 m su giganteschi flauti di ghiaccio sospesi nel vuoto, al di sopra al ghiacciaio sul versante occidentale della cresta.

“Hélias, stai andando dalla parte sbagliata!”

“No, non è così!” Sperava di superare quella porzione difficile passando dal versante est, che però non era visibile dal campo base.


“Dunque vai!” Quindi sono partito sprofondando fino alla vita, quasi nella neve verticale, per raggiungere un punto da dove la vetta sarebbe più visibile e quindi più concreta. Patrick mi ha raggiunto finalmente dopo alcune ore intense e si è precipitato al bivacco mentre faceva buio. Il tempo per il momento era bello.
Era un bivacco angusto, con uno che russava, l’altro scoreggiava e il terzo completamente sveglio.

“Giorno decisivo! È ora di alzarsi, dobbiamo partire all’alba!” E’ sempre dura cominciare a muoversi al mattino a quell’altitudine e ci avevamo 1200 metri di terreno sconosciuto davanti a noi.


Il tempo era fantastico e arrancavamo felicemente su neve abbastanza profonda con la ferma speranza che fa un certo punto si sarebbe rassodata, che si rivelò essere un errore, non successe mai. Più in alto salivamo e più lenti eravamo, l’equazione fondamentale di ossigeno rarefatto e capacità fisica!

Abbiamo finalmente raggiunto la vetta alle 15! 10 h per scalare 1200 m verticali dal nostro ultimo bivacco dove avevamo lasciato tenda e sacchipiuma. 

Così è ora di scendere, giusto in tempo per l’arrivo del cattivo tempo, gigantesche nuvole grigie e nere sono presto sopra di noi e la montagna. Inizia a nevicare e il vento si alza, è ora di accelerare per raggiungere il prima possibile il nostro campo a 6050 m. Le tracce della salita scompaiono velocemente, così montiamo una doppia doppia su un grande fungo di neve per attraversare un crepaccio, una breve schiarita ci permette di ritrovare di nuovo le nostre tracce e vediamo il nostro accampamento. Sfiniti e scomodi nella nostra minuscola tenda, cerchiamo di riposare mentre arriva il brutto tempo.
Patrick rompe il silenzio “Ehi Yannick, non sei preoccupato? Cosa faremo domani se nevica tutta la notte?”

Sono già stato trasportato nel sonno, stanco dopo la dura giornata, al momento non sono preoccupato di nulla. Hélias sembra un po’ preoccupato, ma non ha niente da dire.
Dobbiamo ripartire presto! Sappiamo che sarà lunga, dobbiamo fare questa maledetta traversata di flauti di ghiaccio che ci impedisce una discesa più serena verso la cresta che ci riporterà sul ghiacciaio. Per la gioia del nostro trio, dopo essere usciti sotto la neve che cade, il cielo si schiarisce e presto il sole torna a splendere e il ghiacciaio e il piano finalmente si avvicinano.
Alla fine del pomeriggio, sfiniti ma felici, indossiamo gli sci, perdiamo altri 1000 metri velocemente e troviamo il nostro caro 4° membro della squadra selvaggia, Jan, il nostro cuoco e manager del campo base, che ci viene incontro carico di cibo. Spongebob, Hello Kitty e Iceman, il nostro comico e improbabile trio, lo ringraziano per il suo prezioso supporto.
Tornati nella valle dell’Hunza all’hotel a Karrimabad, abbiamo una stanza ma con solo 2 letti e il tiro a sorte costringe uno a dormire su un materasso per terra. Carichi di fatica, ci riposiamo bene.
Dopo qualche momento di riposo abbiamo pensato al resto del viaggio.
Torneremo subito indietro? O ci imbarcheremo per un’altra salita? Le opinioni erano discordanti.
Io preferivo andare a casa, ma gli altri due volevano restare a fare un altro giro in questo gigantesco luna park.
La discussione si chiude quando il bel tempo sembra essere dalla nostra parte.

Seconda parte

Hélias and Friends partono per un’altra straordinaria avventura: TOTALLY FUCKED ON RAKAPOSHI; ma qual era questa nuova attrazione?
Dopo aver perso un po’ di tempo alla fine del mondo, un luogo oltre il quale nessuno voleva andare nonostante i nostri sforzi più persuasivi, SOST per la precisione, un villaggio sul confine pakistano-cinese ma che potrebbe essere anche fuori nel selvaggio West, ricco di ogni tipo di traffico tra i due paesi: esseri umani, animali, dai polli ai cammelli, e ogni tipo di cineseria. Dopo non essere riusciti a trovare un solo portatore disposto a portarci alla base della montagna che speravamo di scalare dal confine cinese, i nostri tre avventurieri si sono finalmente stabiliti al Rakaposhi a quasi 8000 m, con una sola foto presa da Internet come guida!

Il nostro progetto iniziale di approcciare la vetta dal confine cinese è fallito, nessun portatore vuole accompagnarci, chissà!
La finestra meteorologica era di soli 4 o 5 giorni, il che significa che dovevamo essere efficienti e che dovevamo arrivare rapidamente al campo base e aspettare 2 o 3 giorni nel maltempo per essere pronti al momento giusto.
Arrivando a 4000 m a 1 ora dal CB abbiamo subito una grandinata e una pioggia gelata che hanno messo a dura prova la nostra mini carovana. Dopo 30 anni in montagna senza infortuni, voilà! Sono crollato sul ghiacciaio con una distorsione alla caviglia, rientrando al campo zoppicando. Mi stavo davvero ponendo delle domande, dicendomi che sarei tornato prima ancora di poter iniziare la salita, un pasticcio. I nostri tempi erano risicati, il nostro rientro era programmato senza alcun margine dopo la salita…. Con una fascia elastica e pomata antinfiammatoria mi sono buttato, con i miei amici, tutto stretto nelle mie scarpe da montagna, nella salita di questa vetta impressionante.
Di questa montagna non sapevamo nulla a parte un semplice schema su una foto aerea, sapevamo che sarebbe stata lunga e il percorso era solo parzialmente visibile; dove una classica spedizione si studia ai piedi della montagna per almeno un mese, noi abbiamo avuto poco meno di una settimana!
Questo significava che bisognava andare veloci durante la salita per fare grandi passi, almeno i primi giorni. La mia caviglia si comportava abbastanza bene, anche se a volte con un forte dolore.

Siamo partiti perdendoci e, per paura del rischio valanghe e di qualche distacco di massi, con l’arrivo del sole abbiamo optato per la salita di uno sperone roccioso di 1000 m per raggiungere l’ampia cresta che ci avrebbe portato qualche km più avanti in cima.
1600 m di dislivello per raggiungere il bivacco quel giorno! Dal canto mio mi sentivo già un po’ stanco, l’idea di scendere mi preoccupava.
Dopo la notte eravamo di nuovo tutti operativi, il nostro formidabile trio non si sarebbe fermato qui, anche se non sapevo se ce l’avrei fatta ad arrivare in cima! Comunque, a questa domanda non possiamo mai rispondere prima! Essendo i compagni di buona compagnia, ero disposto ad andare più in alto con loro.
Poi due bivacchi si sono susseguiti, ma la sera ero ancora molto stanco della giornata, mi infilavo nel sacco a pelo senza fare altro.
A 6900 m alle 3 del mattino capitolai senza difficoltà di fronte alla mia forma trasandata e alla mia volontà ormai scossa, e mi decisi di aspettarli lì fino al loro ritorno.

Che notte magnifica vederli avanzare nella notte sotto questa luna piena, finché non li ho più visti a 7400 m. Ecco le loro parole relative a questo giorno, è il 26 luglio 2021.

Hélias
Il sole sorge a 7400 m, abbiamo fatto metà della strada. La gioia ci invade, siamo felici. Un eccesso di fiducia ci invade. Ci arriveremo! Facciamo una pausa per bere e mangiare. E comincio s vedere l’impegno di ciò che stiamo facendo. Entriamo nella quarta dimensione della nostra sfida.

Ci aspetta un lungo plateau di 500 metri di distanza. Questo è pieno di neve fresca dove sprofondiamo fino alle ginocchia. La vetta è così vicina e allo stesso tempo così lontana. Più ci avviciniamo ad essa, più si allontana da noi come se stessimo correndo dietro a un miraggio. Ancora una volta Patrick mi chiede se mi sento bene ad andare in vetta. Sono sempre schivo su questo tipo di domande ma, sì, voglio andare. Ma vuole andare? Non sono nella sua testa, non posso saperlo. Ho paura della sfida di questa montagna, sono intimidito dalle dimensioni del luogo, questo enorme teatro all’aperto dove recitiamo le nostre vite, misuriamo l’impegno destreggiandoci tra ragionevole, irragionevole, razionale e ciò che il nostro cuore ci dice. Per scalare a questa quota è necessario un vero amore per la montagna e fare le cose senza calcolare, con convinzione. Questo puro stile alpino mi tormenta. Scalare questo tipo di montagne non è ragionevole, eppure ci stiamo andando. Voglio andarci. Accettiamo la sfida, ci andiamo. 

Non senza difficoltà, l’altopiano che attraversiamo inizia a chiedere il pedaggio. La vetta inizia ad allontanarsi, rallentiamo il ritmo, diventa difficile, ora abbiamo un ritmo di 100 m, ora sprofondiamo profondamente fino alle ginocchia. Dobbiamo rompere questa neve appiattita dal vento, sotto è un universo di neve dolce. Il ritmo sta scendendo, ora stiamo avanzando al ritmo di 100 m ora e siamo sempre più stanchi dall’alta quota. Siamo a 7550 m e ci troviamo di fronte a una nuova decisione: è ragionevole continuare sapendo che ci stiamo muovendo lentamente, sapendo che la neve è ancora profonda? Patrick mi dice che non è sicuro di poter arrivare in cima in queste condizioni e che non è sicuro di avere abbastanza energia. Devi pensare alla discesa, devi mantenere il margine per scendere da lì, io batto traccia davanti e il distacco si allarga tra di noi. Facciamo una pausa. Mi sento in ottima forma, sono fiducioso per gli ultimi 200 metri; secondo i nostri calcoli, a questo ritmo arriveremo alle 13.30 in cima al Rakaposhi 7788 m. Patrick non se la sente, mi dice che non è sicuro di continuare e lì vivo un grande momento di solitudine: non sono sicuro di voler continuare da solo. Non sono un solitario, ho paura di andare lassù da solo e voglio davvero che andiamo in cima insieme; allo stesso tempo vivo la sensazione di vedermi sfuggire questo sogno, il mio compagno non se la sente di continuare a spingere, dice che dobbiamo rinunciare. Facciamo questa pausa con gel e salame, acqua calda. Suggerisco a Patrick di tracciare i restanti 200 m fino alla cima, mi sembra di aver finito, di provare a tracciare questa neve alta fino in cima, e prometto a Patrick di stare insieme senza che il divario tra noi si allarghi. Abbiamo bisogno di stare insieme, aiuterà la nostra mente. Per lui come per me. Non essere soli per uno e motivazione per l’altro. Siamo una cordata e saremo insieme fino alla fine. Si parte, lo sforzo diventa davvero duro. Sono a pezzi, attirerò l’energia dal profondo del mio cuore per salire lassù come al solito, qualche lacrima scorre dai miei occhi pensando a questo momento straordinario che sto vivendo lassù, penso alla mia vita, i miei amici e la fortuna di essere lì.
È davvero bellissimo e le emozioni mi travolgono dolcemente mentre traccio. Adoro questo. Sono senza peso, completamente oliato dall’altitudine, molto consapevole di tutto ma tutto è soffice e morbido. Sto bene lassù, in questo elemento, il ritmo continua a portarmi molto dolcemente in alto; Patrick è lì con me, siamo lì insieme in questa neve. Il cielo è blu petrolio come al solito. 100 m sotto la vetta Patrick cade per un ponte di neve fino alla vita, siamo quasi in cima e la corda era diventata inutile, quindi lo aiuto a mani nude.

Ci stiamo avvicinando alla vetta. La pressione sale, gli ultimi passi sono famigerati. Siamo ai piedi di una placca a vento 50 m sotto la vetta. Sarebbe un peccato morire travolti da una placca a vento qui, Patrick mi spinge a tirare fuori la corda per tracciare la neve. È ragionevole, ha ragione. Alle 13.30 siamo in cima, il Rakaposhi 7788 m è formato da un filo di rasoio affilato dove il versante nord si tuffa nella valle del Karimabad, non c’è proprio posto dove restare lassù. Tempo per stare 3 minuti e fare delle foto e siamo già ripartiti, i venti reclamano la nostra discesa”.

Yannick
Quanto a me, aspetto molto gentilmente in tenda mentre mi preparo qualcosa da bere e da mangiare, intervallo i miei pasti con lunghi sonnellini, approfitto di questo torpore che mi dà il caldo della giornata. Ancora non li vedo! Immagino il peggio, cerco di essere razionale ma è difficile.
Nella notte, dopo 20 ore da solo li vedo finalmente apparire, sono super lenti, quindi esco dalla tenda e cammino per 200 m per raggiungerli e congratularmi con loro, baciarli e dire loro quanto sono felice di vederli. Quanto a me, nessuna delusione, semplicemente non era la mia giornata. Avrei potuto provarci ma ho preferito risparmiare energie per questa discesa il giorno dopo, che sarà lunga e complicata, tutti sono completamente straziati nella nostra minuscola tenda.


Yannick Graziani
, nato nel 1973 a Cagnes-sur-Mer (Francia). Atleta Grivel da oltre 20 anni, è membro della Compagnie des Guides de Chamonix. Alpinista versatile, Yannick pratica arrampicata su roccia, ski touring, alpinismo classico e ha compiuto grandi spedizioni in territorio Himalayano.
Prodotto Grivel preferito: ramponi  G22 Plus.

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1 Comments

  1. says: Trojan 1

    Una montagna alta, tre amici scanzonati e simpatici, cosa c’è di meglio per una grande avventura e un piacevole racconto

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