Chi ha paura della Montagna Sacra?
Il Progetto “Una Montagna Sacra per i 100 anni del Parco nazionale Gran Paradiso” ha suscitato fin da subito perplessità e contrarietà. Reazioni ampiamente prevedibili, ma anche benvenute: scopo primo della proposta era (e continua a essere) far discutere e questo scopo è parzialmente raggiunto.
Ragion prima delle reazioni negative è stato il termine “sacro”, considerato non opportuno, o addirittura blasfemo: nessuno può arrogarsi il diritto di dichiarare sacra una montagna, o qualsiasi altro luogo. Non sono filosofo né teologo e, a tal proposito, invito chi vuole approfondire il tema “sacro sì-sacro no” a visitare la pagina web appositamente creata per divulgare il progetto (https://www.sherpa-gate.com/la-montagna-sacra/).
La non opportunità del termine sacro è anche la tesi principale emersa nel consiglio direttivo del parco che non ha (finora) aderito al progetto. Ma io credo che in realtà, consiglio del parco a parte, le reali motivazioni siano altre, e che in gran parte dei casi la questione sacralità sia strumentale. Una scusante, in sostanza.

La vera motivazione dei dinieghi sta nel limite.
Nel progetto si chiede a te, Homo sapiens, alpinista o meno, di non mettere più piede su quella Cima. A te che tutto puoi e che hai calpestato ogni angolo di questo pianeta (e neppure ti basta). A te che non hai fatto altro che infrangerli i limiti. Che hai fatto del “no limit” una filosofia. Un brand, come si usa dire.
Si chiede a te di lasciare quella sommità a esclusiva presenza di altri esseri viventi, in difficoltà per la tua invasiva, asfissiante presenza. E ti si chiede di farlo non per una regola imposta (peraltro inopportuna, e comunque non possibile), ma per libera accettazione.
Sei invitato a guardarla dal basso quella Montagna e provare per questo un sottile, intimo piacere. Generato non dalla conquista ma dalla rinuncia. Dall’assenza.
“Mi piace pensare che lassù non ci andrò mai, e non perché non posso (io posso tutto), ma perché non voglio. Non solo, mi piace pensare che nessuno ci andrà mai più”.
Mai più…
“Ma siamo matti! Un limite a me, Homo sapiens, che ho modificato il pianeta a mio uso e consumo. Si chiede a me di fermarmi. E di limitarmi a osservarla quella Montagna. Guardare la cima dal basso, io che sono arrivato sulla luna. E che mi appresto ad andare ancora più lontano nel cosmo infinito”.
“Io non posso fermarmi. Non è nella mia natura”.
Sto banalizzando, me ne rendo conto. Ma è proprio così? Io credo che in realtà la proposta Montagna Sacra sia sovversiva, perché sovverte modi (soprattutto occidentali) profondi di essere.
In realtà è una proposta che fa paura. Perché abbiamo paura del limite.
Una proposta “ridicola”. Mi dicono che sia stata questa la definizione coniata da un amministratore di uno dei due comuni sui quali insiste la montagna individuata nel progetto. Al di là della mancanza di correttezza istituzionale, si tratta di una definizione che suona quanto meno strana in questi giorni di caldo alpino “anomalo”. Giorni di caldo ridicolo?
Come accade nei confronti del lupo (che non è né cattivo né buono, ma solo lupo) questa Montagna da non salire fa paura. Genera ansie. Perché ci pone brutalmente di fronte alle nostre contraddizioni. E come la convivenza con il lupo, la montagna da-non-salire-più è una sfida. Ma, come la convivenza con il lupo, è una sfida necessaria. Non eludibile.
Affrontarla presuppone un cambio di paradigma.
Come diceva un poeta genovese, occorre imboccare una “direzione ostinata e contraria”.
Riusciremo?
Anzi che andare a limitare la presenza dell’uomo in un posto dove si contano rarissimi passaggi e quindi dove la natura e la sacralita già regna sovrana, si vada a riconsacrare alla natura luoghi dove davvero l’uomo che tutto può, sfrutta e deturpa l’ambiente con funivie o quant altro.