di Massimo Bursi, pubblicato sulla Rivista della Giovane Montagna, 01/2020
La mia prima reazione è stata… “non capisco!” Poi mi hanno spiegato che diverse attività immateriali, come ad esempio la transumanza o le famosissime danze baltiche, sono state insignite della patacca di “Patrimonio dell’Unesco”. L’11 dicembre 2019 l’Unesco ha ufficialmente iscritto l’alpinismo, cioè «l’arte di scalare le montagne e le pareti rocciose, grazie a capacità fisiche, tecniche e intellettuali», nella propria lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale.
La mia interpretazione molto semplicistica della dichiarazione dell’Unesco è la seguente: “non capiamo bene quello che fate, ma ci pare costituisca qualcosa di grande per l’umanità”. In fin dei conti c’erano già le Dolomiti etichettate con il logo di patrimonio dell’Unesco ed è immediato notare che, dietro lo scudo di questo logo, affaristi, palazzinari ed investitori ne hanno approfittato, a man bassa, per far soldi a spese di un ambiente sempre più deteriorato. L’iscrizione delle Dolomiti nel patrimonio mondiale dell’umanità è avvenuta per legittimare i governanti allo sfruttamento delle stesse, malgrado l’obiettivo di facciata fosse quello di voler trattare il nostro ambiente con maggior rispetto.
Si è parlato di “valorizzazione”… ma quando io sento parlare di valorizzazione delle montagne, so che cosa significa! Significa che qualcuno deve guadagnarci a spese dell’ambiente o della comunità, insomma valorizzazione è una parola assai pericolosa e, laddove la leggo, capisco che devo mettermi in guardia! Ora come si riesca ad utilizzare lo scudo della patacca di patrimonio dell’Unesco per fare business o per infangare l’alpinismo, a me, anima ingenua, non è ancora dato di sapere e forse questo è solo un mio retropensiero pessimista.

Nel migliore dei casi questo riconoscimento non serve proprio a nulla e, come quando si prepara lo zaino per un’escursione, una patacca che non serve è meglio lasciarla a casa, poiché pesa o ingombra inutilmente.
Vista la mia impossibilità a trovare una giustificazione di questa marchetta pubblicitaria, vediamo come hanno commentato la notizia altri titolati alpinisti.
Ci sono i distinguo di Reinhold Messner: “Sono molto contento che l’alpinismo sia stato riconosciuto come bene immateriale dell’Unesco, ma occorre definire di quale alpinismo si tratta. Di quello che sarà presente alle Olimpiadi di Tokyo attraverso le gare di arrampicata? Questo è sport. Delle salite su piste già preparate da altri per arrivare sulla cima dell’Everest o del Monte Bianco? Questo è turismo. Ecco, nella mia vita io ho fatto qualcosa di diverso. Secondo me va considerato l’alpinismo tradizionale, quello che va dal 1786 con la prima salita del Monte Bianco ad oggi, che è un fatto culturale, un approccio con la montagna. Questo è un bene che va messo sotto tutela. Personalmente sento la responsabilità di salvare la narrativa dell’alpinismo tradizionale, di raccontarlo affinché non si perda. Nei prossimi anni della mia vita ho deciso di prendere quest’impegno”.
Altri alpinisti sono molto più perplessi, scettici o disillusi… Pierangelo Verri, un alpinista assai noto per il suo rigoroso stile dolomitico, chiosa “Ormai l’Unesco è diventato un logo pubblicitario, e penso che nell’alpinismo interessi solo a chi ci specula. L’andar per i monti è l’ultima spiaggia per chi cerca una dimensione al di fuori degli schemi, fuori dalla società vincolata a logiche commerciali. Fuori da ogni sicurezza, da ogni sigla o medaglia che sia”. Parafrasando la geniale citazione di Terray di alpinisti come conquistatori dell’inutile, Alessandro Gogna ha sentenziato questo patrocinio così: “L’idiozia di un riconoscimento culturale all’alpinismo è pari solo alla sua totale inutilità. Quell’inutilità di cui, da Lionel Terray in poi, siamo tutti fieri.” Io non saprei come meglio essere d’accordo con quest’ultima affermazione!
Ma all’orizzonte ci sono ben altre preoccupazioni che ci aspettano: le olimpiadi invernali a Cortina del 2026 si preannunciano come una grande occasione per valorizzare gli sport invernali in Dolomiti, dove gli speculatori stanno già progettando di collegare il giro della Sella Ronda con il giro della Grande Guerra e con il comprensorio di Cortina. Magari, già che ci siamo, possiamo spostare tutti gli impianti un po’ più in alto visto che con il cambio del clima è sempre più difficile avere neve naturale da dicembre ad aprile. Insomma, si sta parlando di un bell’investimento da cento milioni di euro… certamente un investimento “green” visto che le funivie consentiranno di ridurre il traffico di auto! Immagino che anche voi non crediate più a queste affermazioni sbandierate dai nostri imprenditori, a braccetto con il politico di turno, ben presentate su una bella brochure che “valorizza” le nostre Dolomiti “patrimonio dell’Unesco”.
Per fortuna non si è più parlato di ‘sta stronzata.
Solita pu**anata di quegli sfaccendati dell’Unesco.