L’eruzione di Heimaey (Islanda) 50 anni fa

Sono passati 50 anni da quando un bambino tedesco – il sottoscritto – leggeva nei giornali di una drammatica e spettacolare eruzione vulcanica avvenuta sull’isola di Heimaey, al largo della costa meridionale dell’Islanda. Oltre a stimolare il mio interesse per la vulcanologia, quella eruzione causò danni considerevoli nella cittadina di Vestmannaeyjar, ma è stata anche lo scenario di enormi sforzi in una lotta contro le piogge di materiale piroclastico e le colate laviche. Qui racconto la storia di questa eruzione, che all’epoca ebbe un fortissimo impatto mediatico. Da allora sono avvenute nel mondo solo poche eruzioni con una fenomenologia e un impatto simili – per esempio quella del 2021 a La Palma (isole Canarie, Spagna).

L’eruzione di Heimaey (Islanda) 50 anni fa
di Boris Behncke
(pubblicato su ingvvulcani.com il 23 gennaio 2023)

I due uomini passeggiavano nel buio della notte, nella periferia orientale della piccola città di Vestmannaeyjar sull’isola di Heimaey, distante poco più di 10 km dalla costa meridionale dell’Islanda. Dopo una giornata di violenta tempesta, il vento si era calmato. La città si stava addormentando.

Un’immagine emblematica del vulcano Eldfell in eruzione sull’isola di Heimaey, 23 marzo 1973. In primo piano il porto dell’isola, elemento fondamentale per l’economia non solo della stessa isola, ma di tutta l’Islanda, dietro le luci della città di Vestmannaeyjar, dove le squadre di soccorso stanno lavorando senza tregua per salvare il salvabile. Sullo sfondo a destra, la sagoma silenziosa dell’antico vulcano Helgafell, che con la sua eruzione di circa 5900 anni fa ha creato il terreno sul quale si è costruita la città. Foto: Hjálmar R. Bárðarson.

D’un tratto, i due uomini videro delle scintille enormi schizzare nell’aria non lontano dalla loro posizione, prima da un punto, poi da diversi altri, espandendosi in direzioni opposte. Il primo sospetto, quello di una casa che aveva preso fuoco, fu rapidamente sostituito da una drammatica certezza: stava iniziando un’eruzione vulcanica, lì, a pochi passi dalle case più vicine di Vestmannaeyjar.
Erano le ore 01.55 di martedì, 23 gennaio 1973.

Figura 1 – Poco dopo l’inizio dell’eruzione, il fotografo islandese Kristján H. Kristjansson scattò questa foto, che guarda dal porto dell’isola attraverso la città di Vestmannaejyar in direzione della fessura eruttiva con dozzine di fontane di lava. Una densa nube di vapore (a sinistra) si alza da dove la lava entra nel mare.

In poco tempo il fianco orientale dell’isola, con il suo antico cono vulcanico chiamato Helgafell (montagna sacra in lingua islandese), venne squarciato da una fessura eruttiva, che dopo poche ore aveva raggiunto una lunghezza di 3.5 km, una tipica fessura “a bottoniera”, con decine di piccole bocche eruttive allineate. L’attività variava da esplosioni stromboliane a piccole fontane di lava alte fino a 150 m. Grazie alla posizione delle bocche su un versante inclinato verso il mare – al di fuori del perimetro cittadino – le prime colate laviche presero quella direzione, cioè fluirono verso est; in più, il vento soffiava nella stessa direzione e anche i prodotti piroclastici (cenere e lapilli) ricaddero verso est, risparmiando la città.

La notizia dell’eruzione si diffuse rapidamente tra gli abitanti, che vennero allertati da vicini e amici ma anche da polizia e vigili del fuoco. Tutti furono increduli, ma allo stesso tempo erano pronti a reagire; anche se sull’isola di Heimaey non c’era stata eruzione da diverse migliaia di anni, gli islandesi sono abituati agli eventi vulcanici. Solo pochi anni prima, tra il 1963 e il 1967, a una ventina di chilometri a sud da Heimaey, a seguito di un’eruzione sottomarina si era formata l’isola di Surtsey, ben visibile per gli abitanti di Vestmannaeyjar. La storia islandese è marcata da frequenti eruzioni: in media, ogni 5 anni in quella nazione uno dei suoi numerosi vulcani attivi entra in eruzione. 

Nel 1973 solo poche stazioni sismiche erano in funzione in Islanda, e nessuna di esse a Heimaey. La stazione più vicina si trovava nel sud dell’Islanda, a circa 60 km. Questa stazione registrò, nelle 36 ore precedenti l’eruzione, uno sciame di circa 200 piccoli terremoti, che però non potevano essere localizzati precisamente, mancando le altre due stazioni utili a compiere questa operazione. Successivamente alcune scosse furono avvertite anche a Heimaey ma nessuno immaginava che questa attività sismica potesse essere segno di un’eruzione imminente.

Figura 2 – Nello stesso giorno dell’eruzione a Heimaey, i giornali islandesi “Morgunblaðið” e “Tíminn” pubblicarono edizioni speciali con foto della fessura eruttiva apertasi a pochi passi dalle prime case della città di Vestmannaeyjar.

L’evacuazione
Poco dopo l’inizio dell’eruzione, il consiglio comunale si riunì e decise immediatamente di ordinare l’evacuazione della città. Una volta allertati, gli abitanti presero il necessario e si recarono autonomamente – chi a piedi, chi in macchina – al porto, dove per una coincidenza fortunata si trovava una flotta di circa 70 navi.  Durante la tempesta del giorno precedente molte imbarcazioni avevano, infatti, cercato riparo nel porto della cittadina, protetto da imponenti barriere rocciose alte più di 100 m a nord e ovest. Solo i pazienti dell’ospedale e le persone con difficoltà di movimento dovettero essere trasportati all’aeroporto dell’isola, pericolosamente vicino alle bocche eruttive più meridionali.

Figura 3 – A sinistra, abitanti di Vestmannaeyjar in attesa dell’imbarco per lasciare l’isola (Heimaey in islandese significa “Isola che è casa”), l’angoscia si legge nelle loro facce. A destra, una nave piena di evacuati in partenza da Heimaey. Foto di Sveinn Þormóðsson in Stern Magazin 6/1973 e in Gunnarsson, “Volcano: Ordeal by fire in Iceland’s Westmann Islands” (destra).

In poche ore, più di cinquemila persone (il censimento di dicembre 1972 aveva rilevato 5273 abitanti a Vestmannaeyjar) lasciarono l’isola e rimase solo una squadra di poche decine di volontari, determinata a seguire l’evoluzione dell’eruzione e occuparsi delle prime operazioni di salvataggio di oggetti di valore. Gli evacuati furono accolti dai propri connazionali con grande solidarietà e rapidamente trovarono alloggio in diversi centri abitati, soprattutto nel sud del paese, consapevoli, tuttavia, di dover affrontare un’enorme incertezza – quella, possibilmente, di non rivedere mai più la propria casa.

Un arcipelago vulcanico
L’isola di Heimaey è la più grande tra quelle dell’arcipelago delle Vestmannaeyjar (in islandese “isole degli uomini dell’ovest”) e si trova su un braccio secondario dell’asse vulcanico attivo che da nord-est a sud-ovest attraversa l’Islanda. Con una superficie di 13.4 chilometri quadrati, Heimaey è poco più grande dell’isola di Stromboli, però presenta una morfologia molto più bassa (il cono dell’Helgafell arriva a 226 m di altezza sul mare) e più complessa, essendo composta da alcuni centri eruttivi attivi in epoche diverse.

Figura 4 – Mappa dell’arcipelago delle Vestmannaeyjar (Fonte: User Pinpin su Wikipedia, https://en.wikipedia.org/wiki/Vestmannaeyjar#/media/File:Vestmannaeyjar_archipelago_topographic_map-en.svg)

Gran parte delle isole delle Vestmannaeyjar – una trentina in tutto – non sono che scogli, resti di antichi vulcani fortemente erosi.  A parte Heimaey, solo gli isolotti Bjarnarey ed Elliðaey, ambedue molto più piccoli, hanno delle superfici che si prestano al pascolo e vi si trovano edifici, anche se non continuamente abitati. Surtsey, la seconda più grande delle isole, è un’area protetta ed accessibile solo per motivi di ricerca. Oltre alle isole, sono presenti diversi centri eruttivi sottomarini. In tempi storici, una sola eruzione è documentata con certezza, quella del 1963-1967 che avrebbe fatto nascere l’isola di Surtsey.

A Heimaey, l’eruzione più recente prima del 1973 era avvenuta circa 5900 anni prima, costruendo il cono simmetrico dell’Helgafell e un vasto campo lavico intorno ad esso. Come tutti gli edifici vulcanici presenti nelle Vestmannaeyjar, anch’esso è monogenetico – cioè si è formato durante una singola eruzione. Oggi si conosce bene la storia geologica di Heimaey, fulcro dell’attività vulcanica nell’arcipelago, però all’epoca nessuno si sarebbe immaginato di vedere un’eruzione su quell’isola.

Il vulcano “aggredisce” la città e il porto
Poche ore dopo la fine delle operazioni di evacuazione, il vento cambiò direzione e si mise a soffiare verso ovest, causando così la prima ricaduta di materiale piroclastico sulla città. Nella periferia orientale dell’abitato, più vicina alla fessura eruttiva, caddero frammenti lavici incandescenti e presto presero fuoco le prime case. Nel frattempo, la frattura eruttiva si propagava ulteriormente, soprattutto nella sua parte settentrionale, e alcune bocche si aprivano oltre la costa dell’isola, sul fondale marino, producendo intensa attività freatomagmatica.

Figura 5 – Già nei primi giorni dell’eruzione, le ricadute di bombe vulcaniche incandescenti misero a fuoco le prime case nella parte orientale della città di Vestmannaeyjar. Sullo sfondo si vede l’inizio della formazione di un nuovo cono in corrispondenza delle bocche eruttive. Foto del 24 gennaio 1973, scattata da Kristin Benediktsson, nel libro di Gunnarsson “Volcano: Ordeal by fire on Iceland’s Westmann Islands”.

Nella città, i volontari cercavano freneticamente di contenere il danno: dalle case recuperavano oggetti di valore e elettrodomestici. Per proteggere le case dagli incendi causati dall’impatto di frammenti di roccia incandescente, sbarravano finestre e caminetti con lastre di alluminio. Quando le ripetute piogge di materiale piroclastico cominciarono a seppellire le case nella parte orientale della città, le squadre di lavoro si affrettarono a liberare i tetti da questo materiale per evitarne i crolli. Alla fine di gennaio e nei primi giorni di febbraio però, la situazione peggiorò ulteriormente. In più, le colate di lava non solo si spingevano sempre più verso l’ingresso al porto – il porto di pesca più importante dell’Islanda – ma anche verso la parte orientale della città.

Figura 6 – Operazioni di salvataggio. A sinistra: le squadre di volontari recuperano mobili dalle case più vicine alle bocche eruttive; a destra: elettrodomestici in attesa di essere caricati sulle navi per la “terraferma” (Islanda). Foto di Fred Ihrt, Stern Magazin 6/1973 (sinistra) e Sigurgeir Jónasson in Gunnarsson, “Volcano: Ordeal by fire in Iceland’s Westmann Islands” (destra).

Dopo i primi giorni dell’eruzione l’attività esplosiva si concentrò nella parte centrale della fessura eruttiva, proprio nel punto più vicino alla città, dove rimasero attive tre bocche, poi due, e infine una sola. Con l’accumulo di materiale piroclastico si cominciò a formare un cono, che in un paio di settimane superò i  200 m di altezza e che fu chiamato Kirjkufell (Monte della Chiesa) dai locali, ma poi denominato ufficialmente Eldfell (Monte di Fuoco). Il 19 febbraio, il fianco occidentale del cono cominciò a franare, seppellendo decine di case nella parte più vicina della città. Molte case erano già crollate sotto il peso del materiale piroclastico, altre erano state raggiunte e sepolte dalla lava. La preoccupazione maggiore, però, era quella per il porto: se la lava avesse chiuso lo stretto tra la costa nord-orientale dell’isola e la grande parete rocciosa sul lato opposto, il porto sarebbe diventato irraggiungibile, con conseguenze economiche notevoli non solo per Heimaey ma per tutta l’Islanda.

Figura 7 – Il nuovo cono vulcanico sta rapidamente crescendo, raggiungendo un’altezza di oltre 200 m nella prima metà di febbraio 1973. Gli isolani lo chiamano “Kirkjufell”, riferendosi al nome della prima casa distrutta dall’eruzione, Kirkjubær; il suo nome ufficiale sarà invece “Eldfell”. Foto a sinistra di Hjálmar R. Bárðarson, a destra fotografo sconosciuto.

Acqua contro lava
In quel periodo buio e apparentemente senza speranza, fu proposta un’idea che sembrava pura follia: fermare la colata lavica con l’acqua. Nella squadra di emergenza che da ormai diverse settimane stava lavorando sull’isola, qualcuno si ricordò che durante l’eruzione di Surtsey era stato fatto un esperimento, spruzzando acqua di mare su una piccola colata di lava per rallentarla o addirittura fermarla. Anche se l’esito di quell’esperimento era stato tutt’altro che chiaro, si decise di fare lo stesso a Heimaey, ma su una scala molto più grande. 

Un fattore era a favore di una tale impresa: la vicinanza di un’immensa riserva di acqua, il mare! Così, già a partire dal 6 febbraio 1973, fu installata una prima pompa per estrarre l’acqua dal mare e portarla ai fronti lavici attivi. Gli Stati Uniti fornirono diverse pompe molto potenti, e con il tempo si creò un sistema molto articolato di pompe e tubi, integrato con battelli antincendio, che permise di portare volumi di acqua sempre più grandi sui fronti lavici. In supporto di queste azioni venne costruito un enorme terrapieno lungo il margine occidentale del campo lavico, per proteggere ciò che restava della città.

Figura 8 – Raffreddamento della lava con getti d’acqua. (a) Battello antincendio nel porto, dove acqua di mare viene pompata verso i tubi d’acqua. (b) Getti di acqua lanciati verso la lava che minaccia di superare la barriera protettiva al margine della città, 6 marzo 1973. (c) Sembra una battaglia impari: mentre si tenta di raffreddare la lava con getti d’acqua, la stessa lava riesce ugualmente ad incendiare case, marzo 1973. Foto da Clapperton, “Thrice threatened Heimaey” (a), Einarsson, “The Heimaey eruption in words and pictures” (b) e Sigurgeir Jónasson in Gunnarsson, “Volcano: Ordeal by fire in Iceland’s Westmann Islands” (c).

Sin dai primi giorni dell’eruzione erano in azione le ruspe per liberare le strade dalle ripetute ricadute di lapilli e le squadre che si occupavano di spazzare il materiale piroclastico dai tetti delle case per evitare che crollassero. Tuttavia, quasi ogni giorno andò persa qualche casa, incendiata da bombe incandescenti, schiacciata dal peso del deposito piroclastico, sepolta dalla lava.

La sconfitta?
La permanenza delle squadre che lavoravano per proteggere la città e il porto veniva ripetutamente messa a dura prova. A febbraio la lava, spingendosi sul fondo del mare davanti all’ingresso del porto, interruppe i cavi elettrici e il tubo d’acqua più efficiente e moderno, lasciando solo un vecchio tubo con una portata minore; per generare elettricità serviva un generatore che preventivamente era stato installato nel centro della città. Dal 12 al 20 febbraio il porto rimase chiuso, per paura che le imbarcazioni in viaggio da e per l’isola potessero essere colpite dall’attività esplosiva originata dal contatto fra la lava e l’acqua del mare.

Durante i mesi di febbraio e marzo, gran parte della lava si era accumulata lungo il lato orientale della città, formando una cresta sempre più alta. Le azioni di raffreddamento erano concentrate sul margine settentrionale del campo lavico, nella speranza di impedire che la lava chiudesse l’ingresso al porto. Quando, intorno al 20 marzo, un ramo di lava cominciò a muoversi rapidamente verso la città, non ci fu il tempo di spostare il sistema di pompe e getti d’acqua in quella zona e in pochi giorni vennero sepolti circa 200 edifici. La lava minacciava di spingersi verso il centro di Vestmannaeyjar, dove si trovavano diversi edifici amministrativi, la centrale telefonica e alcune fabbriche per la lavorazione del pesce. Per una decina di giorni sembrò che tutto fosse andato perduto.

Figura 9 – Tra il 20 marzo e i primi di aprile 1973, un ramo di lava avanza rapidamente verso il centro della città, distruggendo decine di case (a sinistra) e invadendo la piscina di Vestmannaeyjar (a destra). Foto di Tíminn (a sinistra) e di Kristján Gudnason in Gunnarsson, “Volcano: Ordeal by fire in Iceland’s Westmann Islands” (a destra).

Nello stesso tempo, in tutta la città furono misurate alte concentrazioni di gas, soprattutto CO2 e CO, gas letali, che a causa della loro alta densità tendono ad accumularsi in zone morfologicamente depresse e nelle cantine. Un uomo trentenne fu trovato morto in una farmacia, dove aveva cercato medicinali, il 4 aprile. Per un breve tempo circolarono voci, rumours, innescate dalle pessimistiche dichiarazioni pubbliche di un noto vulcanologo straniero, che l’isola stava per esplodere a causa del gas, oppure sarebbe stata completamente sepolta da lava e materiale piroclastico. In realtà, però, l’eruzione aveva già perso molta energia: l’attività esplosiva si era notevolmente ridotta ed erano finite le pesanti ricadute di cenere e lapilli. Gli sforzi per raffreddare la lava con getti di acqua erano sempre più massicci e portarono effettivamente a un rallentamento di molti fronti lavici che, raffreddati, diventavano sostanzialmente come dighe che contenevano la lava ancora fluida all’interno, deviandola altrove.

La fine dell’eruzione
Dopo il drammatico avanzamento della lava verso il centro della città, iniziato nella seconda metà di marzo e che terminò nei primi giorni di aprile, la situazione cominciò gradualmente a migliorare sull’isola di Heimaey. Anche se il vulcano continuò ad eruttare, in maniera sempre più modesta, fino al 28 giugno,  cominciò a diffondersi un timido ottimismo. La lava che continuava ad uscire dalla bocca eruttiva si faceva strada verso il mare ad est dell’isola, senza più minacciare né la città, né il porto.

Figura 10 – Ultime settimane dell’eruzione. Ormai l’attività del vulcano si è notevolmente affievolita e la lava non minaccia più la città. Le squadre di volontari si occupano dello sgombero delle strade (a sinistra), e il sistema di pompe e tubi di acqua è stato esteso quasi fino alla bocca eruttiva (a destra). Foto di Otto Hahn, Frankfurter Allgemeine Zeitung 2 luglio 1973 (sinistra) e Fred Ihrt, Stern Magazin 27/1973 (destra).

Le squadre in azione nella città si occupavano della liberazione di strade ed edifici dal materiale piroclastico e dell’estensione del sistema di pompe e tubi per il raffreddamento della lava quasi fino alla bocca effusiva. Alcuni abitanti cominciavano a ritornare per recuperare le loro case, soprattutto nelle parti della città meno colpite dall’eruzione. L’attività di pesca e di lavorazione del pesce non si era mai fermata ad eccezione di una settimana a febbraio, quando il porto rimase chiuso.

L’ultima, debole manifestazione esplosiva nel cratere del nuovo vulcano Eldfell avvenne il 26 giugno; l’ultima lava in movimento fu osservata il 28 giugno. Il 4 luglio l’eruzione fu ufficialmente dichiarata terminata. Il volume totale di lava emessa era stato di circa 230 milioni di metri cubi, mentre il volume di materiale piroclastico eruttato, compreso quello che costituì il cono dell’Eldfell, era stato stimato intorno ai 20 milioni di metri cubi. La superficie dell’isola era cresciuta di 2.2 km2. L’ altezza raggiunta dall’Eldfell era di circa 225 m, ridotta successivamente dal crollo del fianco occidentale del cono del 19 febbraio e per altri piccoli crolli ed assestamenti avvenuti dopo la fine dell’eruzione, attestandosi infine a circa 200 m.

Figura 11 – Foto aeree verticali dell’isola di Heimaey il 4 agosto 1960 (a sinistra) e l’8 settembre 1973 (a destra). Si vede la cospicua crescita dell’isola nella sua parte orientale durante l’eruzione dell’Eldfell. Da Williams & Moore, “Man against volcano: The eruption on Heimaey, Vestmannaeyjar, Iceland”.

Un conto pesante, ma non troppo
Anche se si riuscì a salvare il porto e una parte significativa della città, compreso l’ospedale e gli uffici amministrativi nonché diverse fabbriche per la lavorazione del pesce, il bilancio dei danni dell’eruzione fu pesante. 417 strutture edilizie, per lo più abitazioni, erano state distrutte perché schiacciate dal materiale piroclastico, bruciate o sepolte dalla lava. Le abitazioni distrutte furono circa un terzo del totale, un altro 20 per cento furono danneggiate ma recuperabili.

Tuttavia, seppur negativo, questo bilancio era molto meno grave di quanto potesse sembrare durante i giorni più bui dell’eruzione. Il porto era salvo, e non solo: grazie all’enorme e spesso accumulo di lava al di là dell’ingresso al porto, quest’ultimo era diventato protetto meglio dalle tempeste provenienti da sud ed est. Lo stesso campo lavico, con spessori che in molti punti superavano i 100 m, sarebbe rimasto caldo al suo interno per molto tempo, dando l’opportunità di generare energia geotermica per oltre 10 anni.

Figura 12 – A sinistra, il concetto della centrale geotermica installata a Heimaey dopo l’eruzione, a destra una foto della fine degli anni 70 che mostra la centrale in funzione. Da Williams & Moore, “Man against volcano: The eruption on Heimaey, Vestmannaeyjar, Iceland” (sinistra), e fotografo sconosciuto (destra).

Ma era stato soprattutto lo sforzo delle squadre che avevano lavorato per proteggere tutto il possibile durante l’eruzione, che aveva fortemente ridotto gli effetti distruttivi dell’attività vulcanica. Queste squadre erano state in azione senza tregua per blindare e proteggere finestre e caminetti e ridurre così il rischio di ingresso di materiale incandescente, per sgomberare strade e liberare edifici dal peso del deposito piroclastico e per gettare acqua sulle colate laviche. Ad eccezione di una settimana a febbraio, il lavoro di pesca e lavorazione del pesce nelle fabbriche della città non si è mai fermato, garantendo una fonte di guadagno per gli isolani.

Gli evacuati di Heimaey furono accolti generosamente dalla popolazione islandese e furono numerose le offerte di aiuto sia economico sia materiale da parte di molte nazioni, soprattutto dagli stati scandinavi, ma anche dagli Stati Uniti, il cui contributo era stato soprattutto costituito da sistemi di pompe potentissime, necessarie per il raffreddamento della lava.

Già nelle ultime settimane dell’eruzione, alcuni abitanti avevano deciso di ritornare a Vestmannaeyjar, ma dopo la fine dell’attività eruttiva molti altri decisero di rientrare. A novembre 1973, circa 2000 abitanti erano presenti sull’isola, l’anno successivo circa 4000. La popolazione attuale (riferita al 2021) è di 4095 persone, quasi 1200 in meno rispetto al momento dell’eruzione di 50 anni fa. Oggi, la fonte principale di guadagno per gli abitanti è il turismo: sono in tanti a cercare la “Pompei del nord”, dove negli ultimi anni sono state riportate alla luce diverse case sepolte dalle piroclastiti nel 1973 e trasformate in museo, nonché itinerari geoturistici illustrativi sul campo lavico e sul cono dell’Eldfell.

Bibliografia
Clapperton, C.M. (1973) Thrice threatened Heimaey. Geographical Magazine, 45, 495-500.

Einarsson, Th. (1974) The Heimaey eruption in words and pictures. Heimskringla, Reykjavík, 56 pp & 32 tavv.

Gunnarsson, A. (1973) Volcano: Ordeal by fire on Iceland’s Westmann Islands. Iceland Review Books, Reykjavík, 96 pp.

Kristjansson, Kristjan H. (2014) Volcanic eruption in Heimaey 1973. Interesting World. http://www.interestingworld.info/volcanic-eruption-heimaey-1973/

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Mattson, Hannes B. – Höskuldsson, Ármann (2005) Eruption reconstruction, formation of flow-lobe tumuli and eruption duration in the 5900 BP Helgafell lava field (Heimaey), south Iceland. Journal of Volcanology and Geothermal Research 147, 157-172. https://doi.org/10.1016/j.jvolgeores.2005.04.001

Pálsson, Gísli (2020) Down to Earth. A Memoir. (e-book gratuito) https://punctumbooks.com/titles/down-to-earth/

Pfeffer, Melissa Anne – Barsotti, Sara – Jensen, Esther Hlíðar – Pagneux, Emmanuel-Pierre – Björnsson, Bogi Brynjar – Jóhannesdóttir, Guðrún – Höskuldsson, Ármann – Sandri, Laura – Selva, Jacopo – Tarquini, Simone – de Michieli Vitturi, Mattia – Jónsdóttir, Ingibjörg – Egilson, Davið – Giroud, Marine – Karlsdóttir, Sigrún – Óladóttir, Bergrún – Roberts, Matthew J. – Vogfjörð, Kristín – Harðardóttir, Jórunn (2020) An initial volcanic hazard assessment of the Vestmannaeyjar Volcanic System: Impacts of lava flow and tephra deposit on Heimaey. Skýrsla, Veðurstofa Íslands, 75 pp. https://en.vedur.is/media/vedurstofan-utgafa-2020/VI_2020_011_en.pdf

Taylor, Alan (2017) The Eldfell eruption of 1973. The Atlantic. https://www.theatlantic.com/photo/2017/01/the-eldfell-eruption-of-1973/514394/

Thorarinsson, S., Steinthórsson, S., Einarsson, Th., Kristmannsdóttir, H., Oskarsson, N. (1973) The eruption on Heimaey, Iceland. Nature, 241, 371-375. https://doi.org/10.1038/241372a0

Williams, Richard S. jr – Moore, James G. (1983) Man against volcano: The eruption on Heimaey, Vestmannaeyjar, Iceland. United States Geological Survey General Information Product, 19 pp. https://pubs.usgs.gov/gip/heimaey/heimaey.pdf

Heimaey su Wikipedia (italiano): https://it.wikipedia.org/wiki/Heimaey

Archivi di giornali islandesi (formato pdf)
Morgunblaðið: https://timarit.is/page/1194992#page/n0/mode/2up

Tíminn: https://timarit.is/page/993222#page/n0/mode/2up

Vísir: https://timarit.is/page/1109120#page/n0/mode/2up

Filmati su YouTube
“Eldfjall” opening credits: 1973 Heimaey eruption:

Heimaey volcanic eruption 1973:

Volcanic eruption 1973 in Heimaey island (collezione fotografica di K. Kristiansson): 
parte 1 https://youtu.be/b0nkhbQLRQI
parte 2 https://youtu.be/koZWhxs5YNw
parte 3 https://youtu.be/X7uj-Ms3ruc 

Season of fire 1973: Iceland’s Pompeii: https://youtu.be/zbsEWj5qpD4

Heimaey 1973: how to stop lava flow with water: https://youtu.be/jwCQoOe0B38

20 anni dopo l’eruzione vulcanica di Vestmannaeyjar – Conseguenze: https://youtu.be/921znk177J0

1973 eruzione in Islanda:

Loðnubræðsla FIVE í Heimaeyjargosinu 1973:

Come Heimaey è oggi (video promozionale): Unique Iceland, Vestmannaeyjar – Westmann Islands:

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