Sono passati 50 anni da quando un bambino tedesco – il sottoscritto – leggeva nei giornali di una drammatica e spettacolare eruzione vulcanica avvenuta sull’isola di Heimaey, al largo della costa meridionale dell’Islanda. Oltre a stimolare il mio interesse per la vulcanologia, quella eruzione causò danni considerevoli nella cittadina di Vestmannaeyjar, ma è stata anche lo scenario di enormi sforzi in una lotta contro le piogge di materiale piroclastico e le colate laviche. Qui racconto la storia di questa eruzione, che all’epoca ebbe un fortissimo impatto mediatico. Da allora sono avvenute nel mondo solo poche eruzioni con una fenomenologia e un impatto simili – per esempio quella del 2021 a La Palma (isole Canarie, Spagna).
L’eruzione di Heimaey (Islanda) 50 anni fa
di Boris Behncke
(pubblicato su ingvvulcani.com il 23 gennaio 2023)
I due uomini passeggiavano nel buio della notte, nella periferia orientale della piccola città di Vestmannaeyjar sull’isola di Heimaey, distante poco più di 10 km dalla costa meridionale dell’Islanda. Dopo una giornata di violenta tempesta, il vento si era calmato. La città si stava addormentando.

D’un tratto, i due uomini videro delle scintille enormi schizzare nell’aria non lontano dalla loro posizione, prima da un punto, poi da diversi altri, espandendosi in direzioni opposte. Il primo sospetto, quello di una casa che aveva preso fuoco, fu rapidamente sostituito da una drammatica certezza: stava iniziando un’eruzione vulcanica, lì, a pochi passi dalle case più vicine di Vestmannaeyjar.
Erano le ore 01.55 di martedì, 23 gennaio 1973.

In poco tempo il fianco orientale dell’isola, con il suo antico cono vulcanico chiamato Helgafell (montagna sacra in lingua islandese), venne squarciato da una fessura eruttiva, che dopo poche ore aveva raggiunto una lunghezza di 3.5 km, una tipica fessura “a bottoniera”, con decine di piccole bocche eruttive allineate. L’attività variava da esplosioni stromboliane a piccole fontane di lava alte fino a 150 m. Grazie alla posizione delle bocche su un versante inclinato verso il mare – al di fuori del perimetro cittadino – le prime colate laviche presero quella direzione, cioè fluirono verso est; in più, il vento soffiava nella stessa direzione e anche i prodotti piroclastici (cenere e lapilli) ricaddero verso est, risparmiando la città.
La notizia dell’eruzione si diffuse rapidamente tra gli abitanti, che vennero allertati da vicini e amici ma anche da polizia e vigili del fuoco. Tutti furono increduli, ma allo stesso tempo erano pronti a reagire; anche se sull’isola di Heimaey non c’era stata eruzione da diverse migliaia di anni, gli islandesi sono abituati agli eventi vulcanici. Solo pochi anni prima, tra il 1963 e il 1967, a una ventina di chilometri a sud da Heimaey, a seguito di un’eruzione sottomarina si era formata l’isola di Surtsey, ben visibile per gli abitanti di Vestmannaeyjar. La storia islandese è marcata da frequenti eruzioni: in media, ogni 5 anni in quella nazione uno dei suoi numerosi vulcani attivi entra in eruzione.
Nel 1973 solo poche stazioni sismiche erano in funzione in Islanda, e nessuna di esse a Heimaey. La stazione più vicina si trovava nel sud dell’Islanda, a circa 60 km. Questa stazione registrò, nelle 36 ore precedenti l’eruzione, uno sciame di circa 200 piccoli terremoti, che però non potevano essere localizzati precisamente, mancando le altre due stazioni utili a compiere questa operazione. Successivamente alcune scosse furono avvertite anche a Heimaey ma nessuno immaginava che questa attività sismica potesse essere segno di un’eruzione imminente.

L’evacuazione
Poco dopo l’inizio dell’eruzione, il consiglio comunale si riunì e decise immediatamente di ordinare l’evacuazione della città. Una volta allertati, gli abitanti presero il necessario e si recarono autonomamente – chi a piedi, chi in macchina – al porto, dove per una coincidenza fortunata si trovava una flotta di circa 70 navi. Durante la tempesta del giorno precedente molte imbarcazioni avevano, infatti, cercato riparo nel porto della cittadina, protetto da imponenti barriere rocciose alte più di 100 m a nord e ovest. Solo i pazienti dell’ospedale e le persone con difficoltà di movimento dovettero essere trasportati all’aeroporto dell’isola, pericolosamente vicino alle bocche eruttive più meridionali.

In poche ore, più di cinquemila persone (il censimento di dicembre 1972 aveva rilevato 5273 abitanti a Vestmannaeyjar) lasciarono l’isola e rimase solo una squadra di poche decine di volontari, determinata a seguire l’evoluzione dell’eruzione e occuparsi delle prime operazioni di salvataggio di oggetti di valore. Gli evacuati furono accolti dai propri connazionali con grande solidarietà e rapidamente trovarono alloggio in diversi centri abitati, soprattutto nel sud del paese, consapevoli, tuttavia, di dover affrontare un’enorme incertezza – quella, possibilmente, di non rivedere mai più la propria casa.
Un arcipelago vulcanico
L’isola di Heimaey è la più grande tra quelle dell’arcipelago delle Vestmannaeyjar (in islandese “isole degli uomini dell’ovest”) e si trova su un braccio secondario dell’asse vulcanico attivo che da nord-est a sud-ovest attraversa l’Islanda. Con una superficie di 13.4 chilometri quadrati, Heimaey è poco più grande dell’isola di Stromboli, però presenta una morfologia molto più bassa (il cono dell’Helgafell arriva a 226 m di altezza sul mare) e più complessa, essendo composta da alcuni centri eruttivi attivi in epoche diverse.

Gran parte delle isole delle Vestmannaeyjar – una trentina in tutto – non sono che scogli, resti di antichi vulcani fortemente erosi. A parte Heimaey, solo gli isolotti Bjarnarey ed Elliðaey, ambedue molto più piccoli, hanno delle superfici che si prestano al pascolo e vi si trovano edifici, anche se non continuamente abitati. Surtsey, la seconda più grande delle isole, è un’area protetta ed accessibile solo per motivi di ricerca. Oltre alle isole, sono presenti diversi centri eruttivi sottomarini. In tempi storici, una sola eruzione è documentata con certezza, quella del 1963-1967 che avrebbe fatto nascere l’isola di Surtsey.
A Heimaey, l’eruzione più recente prima del 1973 era avvenuta circa 5900 anni prima, costruendo il cono simmetrico dell’Helgafell e un vasto campo lavico intorno ad esso. Come tutti gli edifici vulcanici presenti nelle Vestmannaeyjar, anch’esso è monogenetico – cioè si è formato durante una singola eruzione. Oggi si conosce bene la storia geologica di Heimaey, fulcro dell’attività vulcanica nell’arcipelago, però all’epoca nessuno si sarebbe immaginato di vedere un’eruzione su quell’isola.
Il vulcano “aggredisce” la città e il porto
Poche ore dopo la fine delle operazioni di evacuazione, il vento cambiò direzione e si mise a soffiare verso ovest, causando così la prima ricaduta di materiale piroclastico sulla città. Nella periferia orientale dell’abitato, più vicina alla fessura eruttiva, caddero frammenti lavici incandescenti e presto presero fuoco le prime case. Nel frattempo, la frattura eruttiva si propagava ulteriormente, soprattutto nella sua parte settentrionale, e alcune bocche si aprivano oltre la costa dell’isola, sul fondale marino, producendo intensa attività freatomagmatica.

Nella città, i volontari cercavano freneticamente di contenere il danno: dalle case recuperavano oggetti di valore e elettrodomestici. Per proteggere le case dagli incendi causati dall’impatto di frammenti di roccia incandescente, sbarravano finestre e caminetti con lastre di alluminio. Quando le ripetute piogge di materiale piroclastico cominciarono a seppellire le case nella parte orientale della città, le squadre di lavoro si affrettarono a liberare i tetti da questo materiale per evitarne i crolli. Alla fine di gennaio e nei primi giorni di febbraio però, la situazione peggiorò ulteriormente. In più, le colate di lava non solo si spingevano sempre più verso l’ingresso al porto – il porto di pesca più importante dell’Islanda – ma anche verso la parte orientale della città.

Dopo i primi giorni dell’eruzione l’attività esplosiva si concentrò nella parte centrale della fessura eruttiva, proprio nel punto più vicino alla città, dove rimasero attive tre bocche, poi due, e infine una sola. Con l’accumulo di materiale piroclastico si cominciò a formare un cono, che in un paio di settimane superò i 200 m di altezza e che fu chiamato Kirjkufell (Monte della Chiesa) dai locali, ma poi denominato ufficialmente Eldfell (Monte di Fuoco). Il 19 febbraio, il fianco occidentale del cono cominciò a franare, seppellendo decine di case nella parte più vicina della città. Molte case erano già crollate sotto il peso del materiale piroclastico, altre erano state raggiunte e sepolte dalla lava. La preoccupazione maggiore, però, era quella per il porto: se la lava avesse chiuso lo stretto tra la costa nord-orientale dell’isola e la grande parete rocciosa sul lato opposto, il porto sarebbe diventato irraggiungibile, con conseguenze economiche notevoli non solo per Heimaey ma per tutta l’Islanda.

Acqua contro lava
In quel periodo buio e apparentemente senza speranza, fu proposta un’idea che sembrava pura follia: fermare la colata lavica con l’acqua. Nella squadra di emergenza che da ormai diverse settimane stava lavorando sull’isola, qualcuno si ricordò che durante l’eruzione di Surtsey era stato fatto un esperimento, spruzzando acqua di mare su una piccola colata di lava per rallentarla o addirittura fermarla. Anche se l’esito di quell’esperimento era stato tutt’altro che chiaro, si decise di fare lo stesso a Heimaey, ma su una scala molto più grande.
Un fattore era a favore di una tale impresa: la vicinanza di un’immensa riserva di acqua, il mare! Così, già a partire dal 6 febbraio 1973, fu installata una prima pompa per estrarre l’acqua dal mare e portarla ai fronti lavici attivi. Gli Stati Uniti fornirono diverse pompe molto potenti, e con il tempo si creò un sistema molto articolato di pompe e tubi, integrato con battelli antincendio, che permise di portare volumi di acqua sempre più grandi sui fronti lavici. In supporto di queste azioni venne costruito un enorme terrapieno lungo il margine occidentale del campo lavico, per proteggere ciò che restava della città.

Sin dai primi giorni dell’eruzione erano in azione le ruspe per liberare le strade dalle ripetute ricadute di lapilli e le squadre che si occupavano di spazzare il materiale piroclastico dai tetti delle case per evitare che crollassero. Tuttavia, quasi ogni giorno andò persa qualche casa, incendiata da bombe incandescenti, schiacciata dal peso del deposito piroclastico, sepolta dalla lava.
La sconfitta?
La permanenza delle squadre che lavoravano per proteggere la città e il porto veniva ripetutamente messa a dura prova. A febbraio la lava, spingendosi sul fondo del mare davanti all’ingresso del porto, interruppe i cavi elettrici e il tubo d’acqua più efficiente e moderno, lasciando solo un vecchio tubo con una portata minore; per generare elettricità serviva un generatore che preventivamente era stato installato nel centro della città. Dal 12 al 20 febbraio il porto rimase chiuso, per paura che le imbarcazioni in viaggio da e per l’isola potessero essere colpite dall’attività esplosiva originata dal contatto fra la lava e l’acqua del mare.
Durante i mesi di febbraio e marzo, gran parte della lava si era accumulata lungo il lato orientale della città, formando una cresta sempre più alta. Le azioni di raffreddamento erano concentrate sul margine settentrionale del campo lavico, nella speranza di impedire che la lava chiudesse l’ingresso al porto. Quando, intorno al 20 marzo, un ramo di lava cominciò a muoversi rapidamente verso la città, non ci fu il tempo di spostare il sistema di pompe e getti d’acqua in quella zona e in pochi giorni vennero sepolti circa 200 edifici. La lava minacciava di spingersi verso il centro di Vestmannaeyjar, dove si trovavano diversi edifici amministrativi, la centrale telefonica e alcune fabbriche per la lavorazione del pesce. Per una decina di giorni sembrò che tutto fosse andato perduto.

Nello stesso tempo, in tutta la città furono misurate alte concentrazioni di gas, soprattutto CO2 e CO, gas letali, che a causa della loro alta densità tendono ad accumularsi in zone morfologicamente depresse e nelle cantine. Un uomo trentenne fu trovato morto in una farmacia, dove aveva cercato medicinali, il 4 aprile. Per un breve tempo circolarono voci, rumours, innescate dalle pessimistiche dichiarazioni pubbliche di un noto vulcanologo straniero, che l’isola stava per esplodere a causa del gas, oppure sarebbe stata completamente sepolta da lava e materiale piroclastico. In realtà, però, l’eruzione aveva già perso molta energia: l’attività esplosiva si era notevolmente ridotta ed erano finite le pesanti ricadute di cenere e lapilli. Gli sforzi per raffreddare la lava con getti di acqua erano sempre più massicci e portarono effettivamente a un rallentamento di molti fronti lavici che, raffreddati, diventavano sostanzialmente come dighe che contenevano la lava ancora fluida all’interno, deviandola altrove.
La fine dell’eruzione
Dopo il drammatico avanzamento della lava verso il centro della città, iniziato nella seconda metà di marzo e che terminò nei primi giorni di aprile, la situazione cominciò gradualmente a migliorare sull’isola di Heimaey. Anche se il vulcano continuò ad eruttare, in maniera sempre più modesta, fino al 28 giugno, cominciò a diffondersi un timido ottimismo. La lava che continuava ad uscire dalla bocca eruttiva si faceva strada verso il mare ad est dell’isola, senza più minacciare né la città, né il porto.

Le squadre in azione nella città si occupavano della liberazione di strade ed edifici dal materiale piroclastico e dell’estensione del sistema di pompe e tubi per il raffreddamento della lava quasi fino alla bocca effusiva. Alcuni abitanti cominciavano a ritornare per recuperare le loro case, soprattutto nelle parti della città meno colpite dall’eruzione. L’attività di pesca e di lavorazione del pesce non si era mai fermata ad eccezione di una settimana a febbraio, quando il porto rimase chiuso.
L’ultima, debole manifestazione esplosiva nel cratere del nuovo vulcano Eldfell avvenne il 26 giugno; l’ultima lava in movimento fu osservata il 28 giugno. Il 4 luglio l’eruzione fu ufficialmente dichiarata terminata. Il volume totale di lava emessa era stato di circa 230 milioni di metri cubi, mentre il volume di materiale piroclastico eruttato, compreso quello che costituì il cono dell’Eldfell, era stato stimato intorno ai 20 milioni di metri cubi. La superficie dell’isola era cresciuta di 2.2 km2. L’ altezza raggiunta dall’Eldfell era di circa 225 m, ridotta successivamente dal crollo del fianco occidentale del cono del 19 febbraio e per altri piccoli crolli ed assestamenti avvenuti dopo la fine dell’eruzione, attestandosi infine a circa 200 m.

Un conto pesante, ma non troppo
Anche se si riuscì a salvare il porto e una parte significativa della città, compreso l’ospedale e gli uffici amministrativi nonché diverse fabbriche per la lavorazione del pesce, il bilancio dei danni dell’eruzione fu pesante. 417 strutture edilizie, per lo più abitazioni, erano state distrutte perché schiacciate dal materiale piroclastico, bruciate o sepolte dalla lava. Le abitazioni distrutte furono circa un terzo del totale, un altro 20 per cento furono danneggiate ma recuperabili.
Tuttavia, seppur negativo, questo bilancio era molto meno grave di quanto potesse sembrare durante i giorni più bui dell’eruzione. Il porto era salvo, e non solo: grazie all’enorme e spesso accumulo di lava al di là dell’ingresso al porto, quest’ultimo era diventato protetto meglio dalle tempeste provenienti da sud ed est. Lo stesso campo lavico, con spessori che in molti punti superavano i 100 m, sarebbe rimasto caldo al suo interno per molto tempo, dando l’opportunità di generare energia geotermica per oltre 10 anni.

Ma era stato soprattutto lo sforzo delle squadre che avevano lavorato per proteggere tutto il possibile durante l’eruzione, che aveva fortemente ridotto gli effetti distruttivi dell’attività vulcanica. Queste squadre erano state in azione senza tregua per blindare e proteggere finestre e caminetti e ridurre così il rischio di ingresso di materiale incandescente, per sgomberare strade e liberare edifici dal peso del deposito piroclastico e per gettare acqua sulle colate laviche. Ad eccezione di una settimana a febbraio, il lavoro di pesca e lavorazione del pesce nelle fabbriche della città non si è mai fermato, garantendo una fonte di guadagno per gli isolani.
Gli evacuati di Heimaey furono accolti generosamente dalla popolazione islandese e furono numerose le offerte di aiuto sia economico sia materiale da parte di molte nazioni, soprattutto dagli stati scandinavi, ma anche dagli Stati Uniti, il cui contributo era stato soprattutto costituito da sistemi di pompe potentissime, necessarie per il raffreddamento della lava.
Già nelle ultime settimane dell’eruzione, alcuni abitanti avevano deciso di ritornare a Vestmannaeyjar, ma dopo la fine dell’attività eruttiva molti altri decisero di rientrare. A novembre 1973, circa 2000 abitanti erano presenti sull’isola, l’anno successivo circa 4000. La popolazione attuale (riferita al 2021) è di 4095 persone, quasi 1200 in meno rispetto al momento dell’eruzione di 50 anni fa. Oggi, la fonte principale di guadagno per gli abitanti è il turismo: sono in tanti a cercare la “Pompei del nord”, dove negli ultimi anni sono state riportate alla luce diverse case sepolte dalle piroclastiti nel 1973 e trasformate in museo, nonché itinerari geoturistici illustrativi sul campo lavico e sul cono dell’Eldfell.
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Archivi di giornali islandesi (formato pdf)
Morgunblaðið: https://timarit.is/page/1194992#page/n0/mode/2up
Tíminn: https://timarit.is/page/993222#page/n0/mode/2up
Vísir: https://timarit.is/page/1109120#page/n0/mode/2up
Filmati su YouTube
“Eldfjall” opening credits: 1973 Heimaey eruption:
Heimaey volcanic eruption 1973:
Volcanic eruption 1973 in Heimaey island (collezione fotografica di K. Kristiansson):
parte 1 https://youtu.be/b0nkhbQLRQI
parte 2 https://youtu.be/koZWhxs5YNw
parte 3 https://youtu.be/X7uj-Ms3ruc
Season of fire 1973: Iceland’s Pompeii: https://youtu.be/zbsEWj5qpD4
Heimaey 1973: how to stop lava flow with water: https://youtu.be/jwCQoOe0B38
20 anni dopo l’eruzione vulcanica di Vestmannaeyjar – Conseguenze: https://youtu.be/921znk177J0
1973 eruzione in Islanda:
Loðnubræðsla FIVE í Heimaeyjargosinu 1973:
Come Heimaey è oggi (video promozionale): Unique Iceland, Vestmannaeyjar – Westmann Islands:
Avvenimento molto interessante di cui non ero a conoscenza!