Mattia Zurbriggen: luci e ombre di una guida alpina formidabile

A 106 anni dalla sua scomparsa, la storia di Mattia Zurbriggen, la più celebre guida alpina in attività alla fine del XIX secolo. Alpinista di prim’ordine e guida fuori dagli schemi, ricordiamo un fuoriclasse.
Matthias Zurbriggen (Mattia è il nome italianizzato) era nato a Saas-Fee il 15 maggio 1856 e morì a Ginevra il 21 giugno 1917.

Mattia Zurbriggen: luci e ombre di una guida alpina formidabile
di Giovanni Baccolo
(pubblicato su loscarpone.cai.it il 21 luglio 2023)

Zeus in cima al Cervino
Una bella giornata estiva ha attirato sulla Gran Becca una piccola folla da mezza Europa. Fanno chiasso. C’è chi sorride e scherza per aver raggiunto la cima, chi ha lo sguardo soddisfatto e chi vorrebbe essere da tutt’altra parte.

All’improvviso diverse cordate iniziano la discesa nello stesso momento. La carovana di uomini e corde si muove disordinata creando un gran caos. Grovigli, pietre che si smuovono e le urla di chi in basso non vorrebbe finire centrato da un masso. Ci sono tutti gli ingredienti per un incidente. Le guide si scambiano occhiate serie ma nessuno ha la decisione per intervenire. Ma ecco che quando il caos raggiunge il parossismo, un urlo si impone su tutto e tutti: “Guai a chi si muove senza mio ordine, gli spacco la testa! Se no ci lasciamo la pelle tutti quanti!”.

Mattia Zurbriggen, guida di Macugnaga, 1880 ca. Centro Documentazione Museo Nazionale della Montagna – CAI Torino

Il monito è lanciato da un uomo che pare Zeus tonante. Ha una cinquantina di anni e in volto porta i segni lasciati da decenni di montagna, di quella alta, fredda e selvaggia. Ha gli occhi vispi incorniciati da una barba rossiccia e ispida come un riccio di castagne, agita due mani che paiono di pietra e agli orecchi porta un sfilza di anelli d’oro che brillano al sole. Anche se tanti alpinisti non conoscono l’italiano, tutti gli occhi sono rivolti alla guida Mattia Zurbriggen e nessuno si muove più. Nascosto sotto alla barba Mattia cela il sorriso di chi si compiace nel vedere riconosciuta la propria autorità. D’altronde tutti sul Cervino sanno chi è la guida di Macugnaga; Zurbriggen è una delle prime celebrità internazionali dell’alpinismo. Dopo il richiamo all’ordine, Zurbriggen inizia a dispensare alle cordate una miscela di ordini e improperi in quattro lingue. In pochi minuti tutto torna alla normalità e il pericolo è scampato.
Sebbene il racconto sembri per molti versi attuale, l’episodio risale in realtà al 1911 e a raccontarcelo fu Aldo Bonacossa.

Chi era Mattia Zurbriggen?
Mattia Zurbriggen fu tra le più famose guide alpine di fine ‘800. Tra il 1880 e il 1900 era ricercato dai più importanti alpinisti dell’epoca, i quali pur di ottenere i suoi servigi erano disposti a pagare cifre considerevoli con anni di anticipo. Il suo nome iniziò a circolare grazie alle imprese che portò a termine sul Monte Rosa, la sua montagna di casa. Mattia – Mathis come lo chiamavano i conoscenti – era svizzero di nascita (nacque a Saas Fee nel 1856), ma italiano d’adozione. Trascorse la maggior parte della vita a Macugnaga, dove esercitò per decenni la professione di guida alpina. La sua esistenza fu letteralmente sovrastata da una delle architetture alpestri più ardite: la Est del Rosa, la gemma himalayana incastonata nel cuore delle Alpi Pennine. Ferdinand Imseng -primo vincitore di quel versante, dove cadde nel 1881- disse di Zurbriggen che egli era “l’unico a non avere paura della Parete Est”.

Teatro di tante imprese messe a segno da Mattia Zurbriggen, la parete est del Monte Rosa. La fotografia è scattata dal Passo del Monte Moro, il valico che Mattia percorse con la famiglia per raggiungere Macugnaga in cerca di fortuna. Fu così che il Monte Rosa si presentò a uno dei suoi più grandi conoscitori di sempre. Foto: Marco Vespa.

Mattia iniziò a lavorare a 8 anni, quando il padre rimase ucciso per un crollo in miniera. Partì facendo il malgaro: tanta fatica su e giù per i pascoli e in cambio una paga da fame. Bastarono pochi anni di questa vita per spingerlo a cercare fortuna altrove. Nel 1870 Zurbriggen fece a ritroso il percorso che aveva seguito da bambino e tornò in Svizzera dove lavorò come stalliere, fabbro, minatore, operaio tessile e cocchiere. Tanti mestieri che diedero a Zurbriggen una sorprendente manualità e gli permisero di apprendere i rudimenti di diverse lingue.

Dopo 11 anni tornò a Macugnaga per portare un saluto prima di imbarcarsi per il Sud America. Quella che doveva essere una visita fugace alla famiglia si trasformò però in altro. Mattia cambiò piani e si stabilì nel borgo walser, dove aprì una piccola fucina. Lavorava tra il maglio e la fornace, ma come lui stesso ricorda “Il sangue ribolliva nelle mie vene ed anelavo a diventare guida e compagno di scalate e questo desiderio cresceva in me finché non diventò inarrestabile.”. Il dado fu tratto, Mattia divenne guida alpina. Sappiamo che il primo incarico che portò a termine è del 1884, quando accompagnò un alpinista svizzero da Macugnaga a Zermatt attraverso i ghiacciai del Rosa. Il primo incontro con la Est del Rosa risale invece al 1886, quando guidò in quel mare verticale di roccia e ghiaccio l’alpinista triestino Julius Kugy che così ricordava quel primo incontro con Zurbriggen: “Quella faccia dal taglio ardito e dall’occhio che lampeggiava temerario la vedo ancor sempre chiaramente davanti a me.”. Da lì i successi di Mathis esplosero: prime vie, clienti tra i più celebri, spedizioni, cime conquistate, esplorazioni. Zurbriggen ebbe l’onere e l’onore di accompagnare sulle Alpi e sulle montagne di mezzo pianeta tra i più importanti esponenti dell’alpinismo esplorativo. Per citarne uno, alla sua corda volle legarsi anche Edward Whymper, il vincitore del Cervino.

La professione di guida in quel periodo viveva una prima età dell’oro grazie ai tanti esponenti della borghesia europea che trascorrevano l’estate sulle Alpi con l’intento di fare alpinismo. Eppure già da queste poche informazioni possiamo intravedere che Mattia Zurbriggen era una guida sui generis. Non divenne tale per necessità come tanti suoi colleghi. Il lavoro e le competenze anzi non gli mancavano; la sua fu una scelta guidata solamente dalla passione.

Il successo internazionale
Da Macugnaga l’attività alpinistica di Mattia Zurbriggen si sviluppò con cerchi concentrici sempre più ampi, che dal borgo ossolano si dilatarono fino a lambire catene montuose mai esplorate prima. Dal Monte Rosa la guida allargò il raggio d’azione a tutti i gruppi delle Alpi Occidentali, dove affrontò le salite principali e tracciò tante prime. Poi nel 1892 il grande salto: dalle Alpi al Karakorum. Quell’anno Mattia fu ingaggiato dall’alpinista inglese Martin Conway per esplorare un’ampia porzione della catena a ovest dell’Himalaya, allora praticamente sconosciuta. In sei mesi la comitiva esplorò il sistema glaciale Biafo-Hispar, il più lungo del pianeta se non consideriamo le regioni polari. Raggiunsero le pendici del K2 e salirono diversi picchi inviolati. Il più alto fu il Pioneer Peak. 6890 metri sul livello del mare che consegnarono agli esploratori il record per la quota più alta mai raggiunta. In vetta alpinisti e portatori crollarono per la stanchezza e la mancanza di ossigeno. Non Zurbriggen che con le lacrime agli occhi dalla gioia pensò bene di fumarsi un sigaro.

Nei resoconti pubblicati sulla spedizione le lodi spese per Mattia non si contano. Tutti gli riconobbero un ruolo fondamentale, non solamente per la bravura alpinistica, ma anche per la capacità di intendersi con i portatori, organizzare la logistica e curarsi di tanti aspetti pratici, dalla riparazione delle pedule alla medicazione delle ferite. Con una pubblicità simile le richieste per Zurbriggen piovvero come acqua dal cielo e in pochi anni la guida visitò la Nuova Zelanda, le Ande e il remoto Tien Shan in Asia Centrale.

Forse il suo successo più grande fu la prima ascensione dell’Aconcagua, la cima più alta delle Ande e del Sud America. Alle cinque del pomeriggio del 14 gennaio 1897 Mattia Zurbriggen calcò la vetta del continente latino. Queste le sue parole a ricordo del momento: “Vedevo l’intero Sudamerica che si estendeva sotto di me, con i suoi mari, montagne e pianure, costellato di villaggi e città che parevano macchioline”. Quel giorno sulla cima fu solo. Gli altri membri della spedizione si erano fermati molto al di sotto alla cima, sfiancati dal mal di montagna. Una guida come le altre non avrebbe continuato per la cima, sarebbe tornata indietro con i clienti. Non Mattia, in lui la passione per le Terre Alte era troppo forte per rinunciare a una splendida avventura. Successe qualcosa di simile in Nuova Zelanda, quando nel 1895 la guida di Macugnagna portò a termine in solitaria la seconda salita del Monte Cook/Aoraki, massima elevazione della Alpi Neozelandesi.

L’oblio e la fine
Alla fine del XIX secolo sembrava davvero non esistesse montagna che poteva opporsi al talento e alla bravura di Mattia Zurbriggen. Chiunque lo ingaggiasse aveva la certezza di realizzare l’impresa alpinistica designata. Non importava in quale regione della Terra o con quale difficoltà. La guida aveva accumulato un’esperienza tale da riuscire a rendere semplici anche le più complesse spedizioni. Non tutto quello che luccica è oro, però.

Se tanti successi illuminarono l’esistenza di Zurbriggen, nelle pieghe del suo volto si nascondevano anche profonde ombre, scure come il fondo dei crepacci che amava superare con un balzo. Chi ebbe a che fare con lui racconta di un uomo autoritario e poco incline all’ascolto. Forse senza la proverbiale cocciutaggine che lo contraddistinse, per Mattia non sarebbe stato possibile raggiungere tanti risultati. Con gli anni però questo tratto della sua personalità divenne sempre più deciso, accresciuto da un consumo di alcol che divenne incontrollabile. Verso il 1910 viene raccontato che non era raro incontrare Mathis ubriaco per le vie di Macugnaga, pronto ad attaccar briga e a denigrare i colleghi.

A un certo punto sparì da Macugnaga abbandonando moglie e figli. Nessuno seppe nulla di lui fino al 1917, quando il 21 luglio (altre fonti dicono 21 giugno) un barbone venne trovato impiccato nello scantinato di un albergo a Ginevra. Quel barbone, inutile dirlo, era Mattia Zurbriggen, forse la più formidabile guida alpina della sua generazione.

L’uomo che si era fumato un sigaro sul punto più alto mai calcato da piede umano finì i suoi giorni in uno scantinato maleodorante. Quali pensieri lo spinsero al suicidio? Forse la consapevolezza che i giorni luminosi del successo erano tramontati per sempre? Oppure la disperazione per una dipendenza, quella per l’alcol, invincibile e così potente da distruggere un fisico considerato inossidabile? Al netto di queste speculazioni, quello che si può dire è che tanto è più intensa la luce che illumina una figura, tanto più scura è l’ombra proiettata da essa.

Mattia Zurbriggen in Nuova Zelanda nel 1895. National Library of New Zealand.

Oggi alla guida nata a Saas Fee e vissuta a Macugnaga sono intitolati un passo sul Monte Rosa, una cresta sul Monte Cook in Nuova Zelanda e una punta dell’Aconcagua in Argentina.

Dei suoi giorni grandi rimangono queste tracce sulle mappe della Terra e la bella testimonianza che rese di sé nella sua autobiografia. Anche in questo Mattia Zurbriggen precorse i tempi.

Fu la prima guida alpina a lasciare traccia scritta della propria storia, dando alle stampe nel 1899 il libro Dalle Alpi alle Ande – Memorie di una guida alpina.

Ciò che sicuramente traspare da quelle pagine è una passione invincibile per la montagna e il forte desiderio di condividerla. Forse l’amore per la natura e l’avventura furono troppo intensi e alla fine il vecchio Mathis crollò sotto al loro peso. Non lo sapremo mai. A 106 anni dalla sua scomparsa, salutiamolo con l’ingenuo e appassionato desiderio che espresse in calce alle sue memorie:

“Vi è ancora una grande ascensione che intendo portare a termine. Desidererei salire l’Everest. Ogni grande montagna ha una buona via, e sono sicuro che ce n’è una anche per salire il Monte Everest, il più grande di tutti.”

Con queste parole Mattia Zurbriggen ricorda che i grandi alpinisti non sono quelli più forti o veloci, ma quelli che sognano le più belle e impossibili avventure.

More from Alessandro Gogna
Lo squalo di Paul & Shark arriva sulle Dolomiti
Con il progetto Paul & Shark takes Cortina il brand di outwear...
Read More
Join the Conversation

3 Comments

  1. “…la comitiva esplorò il sistema glaciale Biafo-Hispar, il più lungo del pianeta se non consideriamo le regioni polari”.

    Questo lo sostiene Wikipedia che pubblica informazioni libere inserite da chiunque voglia farlo.
    Non sono un glaciologi e posso sicuramente sbagliarmi ma la massa glaciale, escludendo Antartide e Groenlandia, più vasta (e/o anche lunga) della Terra, dovrebbe essere lo Hielo Patagonico Sur, la cui lunghezza supera i 340 km (nel punto più largo la dimensione arriva a ca. 70 km) contro i poco più di 100 del sistema Biafo-Hispar.

  2. Che bello quando le guide alpine erano dotate di grande e meritata personalità!
    Oggi ce ne sono troppe che si riducono a un ruolo di baby sitter facendosi schiavizzare dai clienti per paura di lavorare meno.
    Cose tristi che purtroppo coinvolgono negativamente la nostra nobile professione.

  3. Nonostante consumato da una vita bruciante, sia morto relativamente giovane, Diego Armando Maradona, non si può negare che sia stato il migliore nel suo ambito.

Leave a comment
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *