di Ercole Giammarco
(pubblicato su itacatheoutdoorcommunity.it il 5 giugno 2020)
Foto: Fondazione Sella onlus, Biella
“Se le tue foto non sono abbastanza buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino (Robert Capa)”.
Per chi non è appassionato di cultura di montagna “sella” è il nome di un finimento per cavalcare. Per molti è anche il nome di una banca fondata nel 1886 a Biella e diventata dopo cento anni uno dei più importanti gruppi bancari in Italia. Ma per i cultori della fotografia di montagna Sella è il cognome di Vittorio, uno dei grandi maestri di fotografia di montagna.
In realtà fra il noto istituto creditizio e il grande fotografo c’è meno di un grado di separazione: la banca fu fondata infatti da Gaudenzio Sella, fratello di Vittorio. Famiglia rimarchevole quella dei Sella: imprenditori, banchieri, alpinisti, artisti, fu una delle grandi famiglie borghesi del Nord Italia che traghettarono il nostro Paese da una diffusa condizione rurale e arcaica verso una dimensione moderna e industriale.
Era, quella dei Sella, una famiglia dove il successo economico, il piacere dell’avventura e la coltivazione di valori spirituali e culturali partecipavano tutti insieme, e con la stessa dignità, a un unico progetto di uomo, un po’ come nel Rinascimento.
Che Vittorio diventi fotografo non desta stupore: suo zio Quintino era un grande alpinista e esploratore (è stato lui uno dei fondatori del Club Alpino Italiano: per raccontare le sue imprese non basterebbe un’enciclopedia) e la sua famiglia era provvista delle risorse necessarie per finanziare una passione che allora era molto costosa.
Colpiscono invece gli ingredienti delle sue fotografie, da un lato “l’occhio fotografico” infallibile e il raffinatissimo senso dell’inquadratura, che sono il segno di un innato talento artistico, dall’altro la ricerca quasi paranoica della perfezione tecnica, presenti nel dna di un ingegnere (in questo ci ricorda un altro grande maestro dell’immagine nato quasi un secolo dopo, Stanley Kubrik).
L’incisione e la profondità vertiginosa di certi ritratti di montagna sono dovuti all’uso di lastre fotografiche di 30×40 cm, nonostante le difficoltà che comportava il loro trasporto e quello del resto dell’equipaggiamento in luoghi remoti. Per poter effettuare questi trasporti in sicurezza disegnò un equipaggiamento apposito, comprese delle sacche da sella e degli zaini modificati. E mi torna ancora in mente Kubrick, che volle illuminare gli interni-notte di Barry Lindon solo con la luce naturale delle candele (“perché nel ’700 così si illuminavano le case”) e costrinse la Kodak a sviluppare una pellicola ad alta sensibilità e al produttore di creare una telecamera ad hoc capace di lavorare con quella poca luce.
Ma c’è un terzo ingrediente che rende le fotografie di Vittorio Sella così autentiche, così intense, quasi spirituali: ogni suo scatto se lo conquistava, i suoi memorabili ritratti di montagne in Italia, nel Caucaso, in Alaska, al Ruwenzori in Uganda e al K2 erano il frutto di altrettante, memorabili spedizioni, e quegli scatti se li conquistò da grande alpinista, senza scorciatoie, sudando sognando e rischiando la vita come gli altri grandi alpinisti pionieri: e il frutto di un’esperienza autentica, è il caso di dirlo, lo riconosci “al primo sguardo”.
Preferisco non dilungarmi più a lungo su questo personaggio perché penso sia meglio lasciar parlare qualcuna delle grandi immagini di questo grande biellese.
Prima di salutarvi voglio però consigliarvi una visita alla Fondazione Sella, fondata dall’omonima famiglia nel 1980, a Biella, in memoria di Vittorio: la Fondazione contiene tutto il suo archivio fotografico, migliaia di lastre fotografiche di altri grandi fotografi di montagna e decine di migliaia di volumi di geografia, spedizioni scientifiche, esplorazioni. Vale un viaggio, vi assicuro…
articolo interessante